Volontariato uguale gratuità? La risposta è un “Nì”, perchè esistono costi che un’associazione deve comunque sostenere

Un commento “pepato” su un post di una pagina Facebook mi da il là per approfondire un argomento che spesso trascina con sé interpretazioni non corrette, giudizi affrettati, disinformazione. Ma anche , purtroppo, situazioni non propriamente  “limpide e pulite”.

Il quesito al centro del contendere è: volontariato=gratuità? La risposta è articolata ma potremmo sintetizzarla in un .

Il volontariato è la seconda (o talvolta principale) spina dorsale per  il paese Italia. Ora più che mai. Quindi è normale che desti interesse a tutti i livelli. La parola volontariato porta con sé un concetto fondamentale che è la gratuità. Attenzione però, gratuità di prestazione d’opera e assenza di profitto. E’ necessario e fondamentale specificarlo.

Le forme di volontariato spontanee non organizzate sono altrettanto importanti quanto quelle organizzate tipicamente in Associazioni, Imprese Sociali, Fondazioni o altre forme giuridiche. Una forma di volontariato spontanea non organizzata è caratterizzata da una prestazione gratuita non regolata da accordi, contratti, lettere di incarico, statuti, affiliazioni, regolamenti tipici delle forme organizzate. In questo senso, giusto per dare un idea, chi si prende cura a titolo gratuito di un parente o un vicino ammalato, chi segue nipoti a casa per aiutare i figli genitori o altro. Sono forme di volontariato caratterizzate dall’assenza sostanziale di regole scritte se non un accordo verbale tra le parti.

Altro discorso sono le forme di volontariato organizzate. Esiste un ente (Associazione, Fondazione, Impresa sociale od altro) che ha una sua natura giuridica un codice fiscale e in alcuni casi una partita iva, è retto da un Consiglio Direttivo eletto democraticamente, è legalmente rappresentato da un Presidente, redige verbali e bilanci sociali ed economici, rendiconta entrate ed uscite e, soprattutto, non ha fini di lucro.

Strutture organizzate che erogano servizi alla comunità di qualsiasi genere, si attengono a contratti, bandi, convenzioni od altro con enti Pubblici o privati. Per espletare questi incarichi devono sottostare a regole contrattuali imposte dal committente, regole  imposte dalla normative regionali o nazionali, leggi nazionali specifiche per il Volontariato. Ciò significa strutturarsi e sostenere dei costi  che non possono essere completamente sostituiti dalla prestazione gratuita di chi opera nello stesso ente in qualità di socio. Nella mia lunga esperienza nel mondo del volontariato non ho mai incontrato gratuità in un commercialista, in un assicuratore, in un benzinaio, in un meccanico o elettrauto, in un fornitore di presidi di sicurezza individuale, in prestatori di servizi professionali in genere. Attenzioni particolari verso forme di volontariato sì, ma gratuità totale no. Di conseguenza tali costi devono essere sostenuti anche dalla forme organizzate di volontariato, che non ne sono esenti.

Non confondiamo quello che una Associazione chiede come rimborso al committente di un  servizio con la gratuità del servizio. La gratuità è insita nell’opera svolta dal socio volontario di quell’ente. I costi sono costi per tutti e devono essere, in qualche modo, coperti. La gratuità per l’ente è data dall’insindacabile obbligo del non fine di lucro. Tutto quanto l‘ente genera in termini di ricchezza deve essere obbligatoriamente re-investito nell’ente stesso.

Ci sono regole ben precise che regolano il rapporto tra un volontario e la sua Associazione. In materia di tutela del volontario stesso, l’Organizzazione è paragonabile a tutti gli effetti ad un datore di lavoro. I Dispositivi di Protezione Individuale ove necessari e richiesti o le Assicurazioni RC, Infortuni e Malattie sono precisi obblighi, solo per citare alcune delle voci di costo dei bilanci delle Associazioni.

Con la riforma del Terzo Settore tutte le forme organizzate del Volontariato diventeranno ETS (Enti Terzo Settore) con riforme sostanziali. Tanto per dirne una, tutti gli ETS saranno soggetti alla obbligatorietà dell’Assicurazione contro infortuni e malattie dei propri associati, oltre alla Responsabilità Civile già ad oggi obbligatoria per tutte le forme Associative. Chi paga questi costi? In forma calmierata e distribuita non potranno che ricadere sui rimborsi richiesti dalle Associazioni agli utenti dei proprio servizi. Attenzione, sottolineo la parola rimborsi e non tariffe. Sono due cose diverse, le tariffe lasciano presagire attività economica. Anche se la stessa, in forma ridotta, è comunque consentita anche agli enti no-profit.

Qui si apre un mare magnum su un mondo illecito in cui forme di Volontariato (e quindi di gratuità) sono in realtà paraventi di forme di profitto a “fiscalità agevolata”. Dietro la forma dell’Associativismo no-profit  si nascondo spesso anche situazioni che dovrebbero essere di pertinenza del diritto aziendale e non di quello del volontariato. Ma mi fermo qui. Mi gratifica di più parlare di Volontariato Sano con la “V” e la “S” maiuscole.

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