Venticinque anni fa la musica si è spenta

Era il 9 settembre nel 1998, stavo per cominciare la mia giornata lavorativa percorrendo la solita strada in macchina, ed ecco arrivare dalla mia autoradio – inevitabilmente  accesa come sempre – una notizia dolorosissima, violenta come un barbaro temporale estivo; improvvisa come un sogno nel pieno della notte, con una lama calata dall’alto e destinata a scendere esattamente nella direzione del mio collo per una inevitabile decapitazione: “Poco fa, intorno alle 8 del mattino, ci ha lasciati Lucio Battisti” .

Ho passato tutto il giorno senza rivolgere parola a nessuno, lasciando stupefatti i miei compagni di lavoro e la mia famiglia, conscia almeno quanto loro, di cosa volesse dire per me la scomparsa del grande artista di Poggio Bustone.

Lucio è stato il nuovo, il non convenzionale, il sorprendente, l’inatteso, il musicalmente mai scontato, l’irresistibile… l’Unico (la U maiuscola è voluta). La sua discografia parla per lui, condita da quella schiva diversità di essere uomo, che anziché essere un limite, diventò fonte di energia ulteriore per alimentarne il mito. Cose mai sentite, ma nate sui giri armonici e sugli accordi più semplici, conditi da una metrica disarmante quanto centrata, pulita, ammiccante.

E’ chiaro che i riferimenti sull’esplosione del fenomeno Battisti vanno al ventennio 60-70 in cui le parole di Mogol andavano ad essere appoggiate alle musiche, in un cesello che la definizione “perfetto” sarebbe assolutamente insignificante a spiegarne l’efficacia.

Battisti era un maniaco ricercatore di idee musicali, di soluzione tecniche atte a realizzarle, di suoni, arrangiamenti e modi alternativi di utilizzare voce e falsetto che diventarono assolutamente sue peculiarità assolute. Alla faccia dei soliti critici benpensanti dell’epoca che, abituati a proposte pop incanalate su binari sicuri ma scontati, vedevano in quel pazzo dalla testa riccia un rischioso elemento destabilizzante, un cantante bizzarro e incosciente, tanto da etichettarlo in qualche occasione stonato, e addirittura “fascista”.

Anche se ci ha lasciato a soli cinquantacinque anni, è opinione diffusa che i Battisti siano stati due. Quello appunto dell’era Mogol, dal 1966 anno della sua prima incisione, sino al 1980 con l’album Una giornata uggiosa; e poi “quello senza” che iniziò nel 1982 con i testi scritti dalla moglie dal titolo E’ già,  e proseguiti con quelli criptici dal 1985 al 1994 a cura di Pasquale Panella, compositore con Cocciante di Notre Dame De Paris (giusto per dire una cosetta da niente).

Fu una sorta di sfida che il testardo Battisti volle inscenare tra il suo essere musicista e il suo essere interprete, atto a cercare di smentire il pensare comune che gran parte del merito del suo successi sia stato determinato più dalle parole che dalla musica delle sue canzoni. Sfida assolutamente insensata dal momento che certe formule magiche acquisiscono la loro eccezionalità dal processo di fusione, e non dalla disgregazione dei componenti.

Pensate che Battisti (diventato sempre più elettronico all’inverosimile) scriveva le musiche, e le mandava a Panella che gli mandava i testi via fax senza che tra i due ci fosse un reale confronto. Il risultato del “secondo Lucio” fu innovativo e molto interessante dal punto di vista musicale, ma il suo graduale concedersi più all’elettronica che ai testi e agli arrangiamenti orchestrali (gli album più importanti di fine anno 70 vedevano la supervisione dell’immenso Geoff Westley), tolse alle canzoni quell’anima che le aveva fatte andare nel cuore e nella bocca di tutti, e che la voce di Lucio aveva vestito in modo artisticamente sontuoso.

L’analisi sommaria è semplice: nella sua discografia nulla è banale, nulla sente il peso del tempo che passa. Perché Battisti è e sarà sempre cosi: non collocabile in un contesto, un un tempo, in un genere, in un filone musicale. Non si può definire, collocare, catalogare, spiegare completamente. A dispetto delle centinaia di libri, più o meno legati ad effettive verità, usciti su di lui.

Nei miei anni vissuti a raccontare gli artisti con le mie interviste, non ho purtroppo mai conosciuto Lucio. Ho parlato di lui con Umberto Tozzi, che mi raccontòdi un periodo in cui si vedevano spesso perché erano entrambi legati alla famosa etichetta “Numero Uno” (quella dei dischi con il numero uno arancione e l’etichetta verde”).

Tozzi non aveva ancora iniziato la sua fortunata carriera di solista, faceva il chitarrista, fu chiamato (parliamo del 1972) come candidato a suonare nel disco Il mio canto libero ma non fu scelto. Chiesi a Umberto come mai, e la sua risposta di disarmante sincerità fu “perché ne scelse uno molto più bravo di me”.  Il musicista in questione è uno dei due tra il mitico Alberto Radius e l’altrettanto eccezionale musicista e produttore Massimo Luca. Umberto non mi disse mai, nonostante la mia insistenza, quale fosse dei due. “Tanto – specifica scherzosa ma non troppo –  erano entrambi molto più bravi di me”.

In ogni caso Umberto mi raccontò anche che Battisti continuava a dirgli che per comporre pezzi importanti bisognava continuare a suonare “i giri più semplici”. Ecco che, ad esempio, il grande successo di Tozzi Ti amo nacque sul “giro di la”, per cui Umberto continuò a scegliere quella strada anche per comporre canzoni quali Tu e Gloria. Di fatto pertanto la conoscenza diretta di Battisti fu per Tozzi ispirazione preziosa.

Venticinque anni che ci ha lasciato, venticinque anni che non c’è più. Ma il patrimonio musicale che ci ha donato Lucio Battisti resterà incancellabile. Come i più grandi pensatori, i più grandi condottieri, i più grandi eroi o patrioti, i più grandi in ogni campo ed epoca. Le canzoni di Battisti sono come le poesie di Giovanni Pascoli, o come i quadri di Van Gogh. “Sono”: nel passato, nel presente e nel futuro.

L’unico rimpianto che ci rimane è quello di sapere cosa avrebbe potuto fare se non se ne fosse andato a 55 anni, ma fosse ancora tra noi. Ma i rimpianti passano, mentre la musica resta. Per fortuna.

Massimo Bolzonella nasce a Verona il 13 maggio 1965 intorno alle ore 22. Giornalista pubblicista dal 1991, ha prestato la sua voce alla radiofonia veronese per quasi 40 anni. Scrive e vive di musica Italiana, ha curato la comunicazione web di Umberto Tozzi per 12 anni. Sposato, ha due figli, due gatti e un cane. La frase della sua vita è "Sai dove vado adesso? A farmi il mondo", pronunciata da John Travolta nel film "Stayin'alive" dopo il trionfo da primo ballerino a Broadway.