Il grande Jorge Valdano, tra le altre cose campione del mondo con l’Argentina nel 1986, raccontava che “Garrincha, la funambolica e straordinaria ala destra del Brasile di Pelè, morì senza spiegare perché aveva lasciata con il sedere per terra i migliori difensori del mondo. La sua elementare teoria era assai poco scientifica: ‘Come fa per seminare gli avversari?’ gli chiese un giornalista. ‘Facile. Loro si distraggono e io passo” rispose l’angelo dalle gambe storte”.
Ecco, facile. Perché il calcio è facile, il calcio è libertà, è lo sport di tutti, lo sport che si gioca dall’Islanda alla Terra del Fuoco, il gioco che appassiona tutti. D’altra parte, come sostiene Simon Kuper, il calcio è un gioco ma anche un fenomeno sociale. Quando miliardi di persone si preoccupano di un gioco, esso cessa di essere solo un gioco.
Un fenomeno sociale, anzi, IL fenomeno sociale che a causa della nostra assenza ai campionati del mondo che si stanno disputando in Russia questa estate non ci è stato dato modo di celebrare, nemmeno a Sona. Forse a qualcuno sembra cosa da poco, ma un’estate di mondiali senza mondiali significa un’estate minore, inutile girarci attorno.
Certo, ora tutti facciamo gli indifferenti, magari tifiamo Islanda per simpatia, o Germania per riverenza sportiva, oppure l’eterno Brasile perché non si possono non amare i campioni carioca. Oppure non tifiamo nessuno e guardiamo qualche partita (poche, eh!) con l’indifferenza sonnolenta con la quale assisteremmo ad un torneo di biliardo. E magari l’un l’altro ci confidiamo che, in fondo, non ce ne importa nulla.
Ma dentro di noi no. Dentro di noi, maledizione, sappiamo bene che stasera vorremmo assolutamente indossare quelle magliette azzurre che teniamo nel cassetto in basso, magari quelle che risalgono a venti anni fa e che ormai ci tirano maledettamente sulla pancia. Vorremo dare fiamma ai nostri barbecue, invitare gli amici ed i vicini di casa, portare la televisione in giardino o sul balcone (in casa troppo caldo, si muore) e calarci pienamente e senza ritegno nel meraviglioso rito del tifo della Nazionale.
Qui a Sona ricordiamo ancora bene il Mondiale vinto nel 2006 (per non parlare di quello vinto nel 1982). Ricordiamo quell’urlo di Grosso (che un po’ ricorda l’urlo di Tardelli dell’82), quel gol di Del Piero, quel sigaro di Lippi.
Soprattutto ricordiamo tutti quel trattore con carretta traboccante di tifosi tricolori che dopo la vittoria, la notte del 9 luglio, attraversò maestoso Lugagnano come un carro del trionfo di qualche imperatore romano che tornava vincitore dalla Gallia.
Come tutti ricordiamo che in quelle notti mondiali la baita degli Alpini di San Giorgio in Salici si trasformò in una vera curva da stadio. Che Palazzolo nella notte del trionfo mondiale semplicemente non andò a dormire, e che a Sona i cori si sentivano fino a Madonna di Monte (ne abbiamo una testimonianza diretta riportata proprio sul Baco).
Perchè le partite della nazionale d’estate significano anche e soprattutto – come negarlo – grigliate con gli amici, birre fredde tutti stretti su un divano, megaschermi in piazza o alla sagra o dietro la chiesa o nella baita degli Alpini, abbracci accaldati e occhi lucidi, risate e pacche sulle spalle, gelati che si sciolgono in mano mentre non riusciamo a staccare gli occhi da un pallone, papà che provano a spiegare il 4:3:3 ai figli di sei mesi, ragazze e ragazzi che approfittano di un gol per darsi finalmente quel bacio tanto desiderato (e temuto), tuffi in piscina a mezzanotte, mamme che si scoprono più competenti di Sacchi nelle ripartenze, lune piene come solo giugno e luglio sanno regalare e la medesima telecronaca che esce trionfale in stereofonia da tutte le finestre, spalancate per il caldo. Il calcio come rito collettivo nel suo senso più nobile: lo stare assieme per il piacere di stare assieme.
Quest’anno non ci siamo. Ma torneremo, statene certi. E tra quattro anni nell’estate del 2022 dobbiamo assolutamente riaprire quei cassetti, quei barbecue e quei sogni di bambini anche a settant’anni. L’appuntamento è già per allora.
Il più grande giornalista sportivo che abbiamo avuto in Italia, Gianni Brera, un giorno scrisse che “può succedere che una partita venga dilatata a saga, a poema epico, e che ogni suo episodio si colori come nessuno avrebbe mai pensato assistendovi o addirittura prendendovi parte. Il calcio è straordinario proprio perché non è mai fatto di sole pedate. Chi ne delira va compreso, non compatito; e va magari invidiato, non deriso. Il calcio è davvero il gioco più bello del mondo per noi che abbiamo giocato, giochiamo e vediamo giocare”.
Tra quattro anni, a Lugagnano, Palazzolo, San Giorgio e Sona. Con le nostre maglie azzurre sempre più strette. Voi ci sarete?