Amici del Baco, prestate attenzione, oggi interroghiamo. Qualcuno si offre volontario? No? Beh, allora chiamo io. “Pierino: rispondi tu”. Immaginiamo di essere un po’ tutti Pierino e di dover rispondere alla domanda: “Chi ha vinto le elezioni?”.
Facile – starà pensando qualcuno – lo dice la parola stessa. Elezioni fa rima con… Meloni! Ma come proprio tu, caro Massimo, che sei giornalista pubblicista da oltre trent’anni, non lo sai? Capisco che di solito ti occupi di musica, ma non ti pare esagerato non riuscire a rispondere a questa domanda?
Diciamo che il Pierino che c’è in me, ha cercato di trovare la risposta meno logica, meno immediata, magari più d’effetto. Sì, perché la vera risposta credo sia un’altra. Uso una espressione magari poco elegante, anche un po’ sgrammatica e abusata se volete, ma in realtà ha vinto il partito del “Non voto”, o, se preferite con una espressione meno rustica e un pelo più intellettuale, ha vinto l’astensionismo.
Il 36 per cento ha disertato le urne, oltre un italiano su tre. Mi pare che nessuna forza politica abbia portato a casa un risultato che si avvicini a questo. Come dicono spesso, e a ragione, gli analisti, i numeri non sono discutibili. I numeri sono numeri, e questo dato, il peggiore di sempre, va decisamente analizzato o quantomeno commentato con delle riflessioni.
A mio avviso l’aspetto più preoccupante è che questa situazione si sia creata, non tanto di fronte a uno dei referendum di nicchia in cui nessuno ci capisce un tubo come spesso accade nel nostro complicato sistema italico, ma al cospetto di elezioni importanti in un momento storico delicatissimo.
Sia chiaro, non si legga quanto sto scrivendo come un monito dispregiativo verso chi ha preferito farsi un giretto sul lago o una escursione in montagna, perché non ho né l’autorità né l’autorevolezza per farlo. Vorrei invece condividere con voi l’amarezza che sorge spontanea al cospetto della constatazione di quanto le persone si stiano allontanando dall’interesse comune, peraltro in un esercizio una volta tanto “attivo” e non “passivo” della partecipazione alla vita del nostro Paese.
Ci tengo a sottolinearlo perché oramai va troppo di moda puntare il dito verso qualcosa o qualcuno, verso il colpevole o verso un bersaglio. Bisogna capire che, come canta Arisa, si può essere “né vincitori né vinti, si esce sconfitti a metà”. Qui abbiamo perso tutti, perché se i non partecipanti fanno più punti dei concorrenti, c’è qualcosa nel gioco che davvero non funziona più.
Ho scritto niente dita puntate altrimenti sarebbe semplice dire “è colpa dei politici”, che magari sarebbe anche vero. Anche perché invece di usare l’espressione denigrativa “colpa”, trovo molto più rispettoso usare la parola meno discriminante “causa”.
Per esempio, potrei asserire che una delle cause della crescita dell’astensionismo è stata Tangentopoli. La nostra ancor recente storia che racconta la disaffezione politica parte senza ombra di dubbio dall’ondata impetuosa del famosissimo scandalo. Ma siamo certo che questa considerazione ci risolva il problema? Non votare risolve il problema?
Attenzione, mi risulta che “non fare” sia sempre una scelta, una posizione netta che comporta delle conseguenze. Mi viene in mente la canzone del mio amico Umberto Tozzi, Gli altri siamo noi che dice “Noi che siamo in comodi deserti, di appartamenti e di tranquillità”. Lo dico in altre parole: siamo certi di essere ancora disposti a fare fatica per tenerci informati, per leggere oltre le righe, di sacrificare tempo ed energie per capire in modo più profondo quanto ci sta intorno? O invece abbiamo la tendenza a scegliere la via meno impegnativa?
A costo di essere noioso lo riperto: non sto puntando dita contro nessuno. Sto cercando di interrogarmi e di interrogarci. Di chiedermi e chiederci, se siamo diventati troppo comodi con tutto. Ricordo che quando ero ragazzino i miei comprarono uno dei primi tv color (indebitandosi fino al collo) della Seleco (non faccio pubblicità occulta, l’azienda non esiste più) che non aveva il telecomando. Io mi alzavo ad accendere la tv, a spegnerla, ad alzare e abbassare il volume, a cambiare i canali. Oggi che sono possessore di una comodissima smart tv: quando bisogna effettuare una qualsiasi operazione con il telecomando e lo stesso è appoggiato su un tavolino attiguo o sul tavolo della cucina, mi alzo scocciato e infastidito perché devo fare l’immane fatica di spostare il mio rilassatissimo corpo e compiere quei cinque metri di deambulazione che sembrano faticosi come una scalata ciclistica sul passo del Pordoi.
Ho usato ancora la parola “fatica”, una che, come la sua amica “pazienza”, trova davvero uno spazio decisamente ridotto nella nostra contemporaneità. Diciamocelo, affermare che “la politica fa schifo e non vale la pena di perdere tempo per votare gente che fa quello che vuole” è un atto di qualunquismo e di autogiustificazione davvero poco edificante. E’ un po’ come professarsi cristiani e non andare a messa la domenica. “Non credo nei preti e nel messaggio,” o invece preferisco farmi una bella dormita rinfrancante festiva, che dovrei interrompere per andare in chiesa?
Ora Massimo ci dice di andare a Messa. Roba da matti! No ragazzi, non sono diventato Don Matteo e nemmeno Padre Ralph. Continuo semplicemente a cercare di smuovere la mia e, scusate l’invadenza, la vostra coscienza. Questo perché, tornando al tema di questo editoriale piuttosto che alle similitudini, continuando a non puntare il dito verso chi non è andato a votare, mi rendo conto che “votare male” è sempre meno peggio di “non votare”. Perché fare una scelta, anche rischiosa o non frutto di illuminanti certezze, è sempre una esperienza. Senza scomodare De Coubertin, o anche facendolo, l’importante non è vincere ma partecipare. Farsi parte attiva, capire, rischiare, avere paura di scegliere.
Tutto meglio del restare nascosti, del rannicchiarsi, del chiudersi nelle proprie presunte certezze. Siamo tutti di fronte a scelte importantissime. I costi di luce e gas lievitano vistosamente, i nostri politici e legislatori dovranno cercare di aiutarci a non diventare poveri, a poterci ancora permettere una pizza con gli amici, un acquisto compulsivo dal web, un vestito nuovo per uscire il sabato sera (se riusciremo a permetterci il carburante).
Il 64 per cento di noi potrà avere la libertà di dire “grazie anche a me” oggi il Parlamento ha approvato questa legge di cui avevamo bisogno. Oppure “grazie anche a me” si è respinta questa proposta pazza perché il partito che ho votato si è opposto e ha bloccato questa assurdità.
Alla meno peggio potremo anche dire “ma guarda che scelta scellerata ha fatto il partito che ho votato. La prossima volta non lo voterò più”. Ma ci resterà la sensazione di aver partecipato, di averci provato, di non essere rimasti soltanto a guardare.