Da qualche giorno i docenti italiani e il personale scolastico di ogni ordine e grado si stanno interrogando sull’opportunità o meno di aderire allo screening preventivo Covid-19. La campagna, su base volontaria, ha preso avvio il 24 agosto e proseguirà sino ad una settimana prima dell’inizio delle attività didattiche.
Il percorso di screening consiste in due fasi: la prima prevede la somministrazione su richiesta del test sierologico, la seconda la somministrazione obbligatoria del test molecolare a chi dovesse risultare positivo al test sierologico. Le due fasi sono condotte dal medico di medicina generale. Non è detto però che tutti i medici aderiscano, per cui, se non fosse possibile rivolgersi al proprio, si può fare il test presso l’ULSS.
“Ho dato all’ULSS la mia disponibilità per lo screening sierologico preventivo del personale scolastico – spiega il dottor Mario Nicoli – e così hanno fatto i miei tre colleghi della Medicina di Gruppo del Centro Vesalius di Lugagnano, dove possiamo avvalerci della collaborazione della nostra infermiera professionale. Ho già ricevuto alcune chiamate dal personale scolastico, do per scontato che ne seguiranno altre, si parla di una media di circa 25-30 persone per medico di base”.
A questo proposito, noi del Baco abbiamo chiesto agli insegnanti, attraverso un breve sondaggio anonimo, di rispondere ad alcuni quesiti relativi alla loro decisione di fare o meno il test, alle motivazioni che li hanno portati a operare una scelta e anche allo stato d’animo con cui si apprestano ad iniziare un anno scolastico pieno di criticità ed incertezze.
Al questionario hanno risposto 65 insegnanti, che lavorano negli istituti di Sona e dei comuni limitrofi (nidi, scuole dell’infanzia, primarie, secondarie di primo grado) o che risiedono sul nostro territorio ma svolgono la professione fuori dal comune o nella secondaria di secondo grado.
Il 91% di loro ha detto che ha intenzione di sottoporsi al test sierologico perché crede sia giusto “tutelare la salute di alunni e colleghi”, “facendo la propria parte” e “garantire un ritorno a scuola con il più alto livello di sicurezza sanitaria possibile”. Qualcuno si augura pure che “però venga attivata una sorveglianza sanitaria, perché un test solo ha un’utilità limitata” quando si lavora a stretto contatto coi minori. Ci sono state anche alcune risposte negative, motivate dalla convinzione che il test “pungi-dito” possa rivelarsi poco preciso ed attendibile.
“Si tratta di test sierologici rapidi per la ricerca di anticorpi specifici nei confronti del virus SARS-CoV-2 – precisa il dottor Nicoli – che si eseguono sul sangue capillare prelevato dal polpastrello di un dito; dopo quindici minuti si legge la risposta. E’ vero, essi non hanno la stessa affidabilità del tampone nasofaringeo, ma costituiscono comunque uno screening. Nel caso il test rapido risulti positivo, il paziente viene inviato al più presto al Distretto ULSS di competenza per la conferma o meno mediante l’esecuzione del tampone, senza impegnativa del medico, è sufficiente esibire il tesserino sanitario, e messo in isolamento fiduciario in attesa della risposta di questo.”
Agli insegnanti il sondaggio si rivolgeva anche per conoscere le emozioni provate alla vigilia della ripresa scolastica dopo i lunghi mesi di lockdown e tamponamento con la didattica a distanza. Il 37% di loro rivela di sentirsi disorientato in questo momento e il 21% ansioso. C’è anche un 20% che dichiara di essere preoccupato per la propria salute.
A questo proposito, le scuole del territorio stanno provvedendo a emanare circolari legate alle linee-guida per il contenimento della diffusione del virus, come l’IC di Lugagnano, che sul sito ha pubblicato pochi giorni fa una serie di suggerimenti per le famiglie, in modo che preparino i figli ad un rientro in sicurezza.
“La sicurezza rispetto al contagio – precisa la dirigente Cattaneo nella circolare – non riguarda soltanto le istituzioni, ma anche i comportamenti dei singoli cittadini e l’azione educativa che le famiglie devono svolgere coi propri figli. Il rispetto delle norme previste per il contenimento del contagio è fondamentale: i bambini ci guardano e per questo il primo atto educativo è quello dell’esempio”.
Se non ci sarà un’alleanza scuola/famiglia efficace, le conseguenze saranno serie e anche la DAD potrebbe diventare l’unica opzione. Come sappiamo, la didattica a distanza per i docenti è stata sicuramente utile come mezzo per non far fermare la scuola e quindi continuare l’attività anche durante la chiusura degli istituti scolastici, ma ha comportato un certo numero di conseguenze negative, sia per chi insegna sia per chi apprende, senza contare il fatto che non tutti sono stati raggiunti dalla DAD, nonostante gli sforzi delle scuole e dei Comuni.
A proposito delle lezioni a distanza, il sondaggio ha visto un 38% dei docenti affermare che non è stato facile adattare velocemente la propria metodologia didattica alle modalità virtuali e il 26% si è ritrovato a gestire un carico di lavoro molto pesante, in cui la sensazione prevalente era quella di non staccare mai. Qualcuno (il 7%) ha avuto anche molti problemi di connessione.
Tutti (studenti, famiglie, docenti) concordano sulla necessità di ripartire ma la situazione non è semplice e sarà necessario usare tanta prudenza, evitare leggerezze, scovando nell’angolo più angusto delle proprie tasche una briciola di ottimismo, per crederci noi per primi e per far sentire il più possibile sicuri e a proprio agio i nostri studenti.
La scuola italiana – di cui tutti pensano di sapere qualcosa perché ci sono andati da piccoli – è abituata a soffrire e ad arrangiarsi. Ne ha passate tante, si è reinventata mille volte e ce la farà ancora, con o senza banchi a rotelle, con o senza DAD. Oggi più che mai ci vogliono passione, impegno, meno polemiche e più maniche arrotolate, anche sorrisi e meno mugugni scettici. Da ambo le parti.