Già in un articolo precedente avevamo cominciato a trattare il tema della presenza sempre più rilevante di stranieri nel Comune di Sona. In quel pezzo sottolineavamo il fatto di come esperienze comparate – sia nazionali che di altre nazioni – hanno da tempo dimostrato come una vera integrazione parta sempre dai bambini, che sono il veicolo tramite il quale gli adulti imparano a conoscersi e a superare differenze culturali ed etniche che all’apparenza potrebbero talvolta apparire difficilmente amalgamabili.
Punto focale di questo processo diventa pertanto la scuola, e già scrivevamo come nel nostro Comune siano presenti dei protocolli specificamente pensati per inserire i piccoli stranieri nella nostra realtà.
Per approfondire questo tema estremamente interessante abbiamo incontrato un’insegnante di Lugagnano, Serena Caceffo, nel bagaglio una laurea in Scienze dell’Educazione con tesi sull’Educazione Interculturale e il Cooperative Learning, che da qualche anno affianca alla sua attività di maestra presso la scuola primaria di Lugagnano (nella foto) anche quella di seguire l’inserimento dei bambini stranieri.
Le chiediamo innanzittutto di delinearci, a grandi linee, la sua attività e la situazione generale nelle scuole di Sona. “A Lugagnano non è moltissimo che siamo interessati dal fenomeno di una presenza significativa di bambini stranieri nella scuola, da circa tre anni. Nelle altre frazioni del Comune invece è da più anni che si è dovuto pensare a come affrontare questa nuova realtà. Comunque sia, utilizzando degli appositi fondi messi a disposizione dal 2003 dello Stato specificamente come misure incentivanti per progetti relativi alle aree a rischio a forte processo migratorio e contro l’emarginazione scolastica, si sono cominciati a disegnare una procedura e degli strumenti che permettessero a questi piccoli un ingresso scolastico, e quindi sociale, il più facilitato possibile”.
I fondi a cui avete accesso sono sufficienti? “Purtroppo, come spesso capita, le idee sono molto buone, ma poi si rischia di far mancare il necessario sostegno economico. Le segnalo solo che per l’anno scolastico 2004/2005 i fondi per l’Istituto Comprensivo di Lugagnano ammontavano ad euro 6.065, che sono scesi ad euro 3.960 nell’anno scolastico 2006/2007. I fondi vengono stanziati alla presentazione di un preciso progetto di inserimento, che provvedo personalmente, in collaborazione con una professoressa della scuola secondaria di primo grado, a predisporre ed a inoltrare annualmente”.
Proviamo a raccontare in cosa consiste l’attività di inserimento dei piccoli stranieri? “Gli stranieri a Lugagnano, o meglio, i bambini stranieri con cui abbiamo a che fare, provengono soprattutto dall’est europeo e dall’America Latina, oltre a qualcuno dall’Africa e dall’India. Nella maggioranza dei casi – prosegue Serena – il primo ad arrivare in Italia è il papà, che tenta di sistemarsi e di trovare un lavoro e poi fa arrivare moglie e bambini”.
“Talvolta purtroppo capita che il capo famiglia non riesca a trovare una sistemazione che gli consente di sopravvivere e quindi la famiglia è costretta a tornare nel paese d’origine. Comunque, quando arrivano i bambini e si presentano a scuola, comincia il nostro lavoro” Cioè? “Esiste un Protocollo per l’Accoglienza degli Alunni Stranieri, approvato da qualche anno dal Collegio Docenti ed elaborato dalla commissione intercultura dell’Istituto Comprensivo, che è formata da insegnanti dei tre ordini di scuole dell’Istituto – infanzia, primaria e secondaria – più due insegnanti definiti “Funzioni strumentali per l’intercultura”.
Funzioni Strumentali? Serena sorride e ci risponde “in effetti sono termini di difficile comprensione se non si vive nel mondo della scuola. In ogni Istituto ci sono degli insegnanti che rivestono anche il ruolo di “Funzioni strumentali”, nel senso che oltre ad insegnare si occupano anche di aspetti specifici della scuola. Uno di questi è l’inserimento-integrazione di alunni stranieri e a Lugagnano Funzioni Strumentali siamo io e la Professoressa Veronesi Goretta, con la quale c’è sempre stata un’ottima e proficua collaborazione”.
Perfetto. Torniamo al Protocollo? Serena prende in mano alcuni documenti e prosegue. “Si tratta di uno strumento pensato per creare un’efficace collaborazione tra Dirigente scolastico, Insegnanti, personale A.T.A, Ufficio stranieri dell’ASL e servizi sociali ed educativi territoriali, finalizzato a facilitare l’inserimento degli alunni stranieri e delle loro famiglie nelle scuole, nel nostro caso dell’Istituto di Lugagnano, ma in generale anche nelle altre frazioni. Il Protocollo stabilisce le procedure pratiche da seguire per inserire il bambino straniero”.
Che consistono in? “Sintetizzando, quando la Segreteria della Scuola riceve l’iscrizione di un bambino straniero deve immediatamente avvisare le Funzioni Strumentali. Che nel giro di brevissimo tempo organizzano un incontro alla presenza dei genitori del piccolo – anche se non sempre intervengono sia il papà che la mamma – il bambino stesso e l’insegnante o gli insegnanti delle classi dove si ipotizza verrà fatto l’inserimento. In quella sede ci si confronta e si tenta di capire quale sia la soluzione migliore per il piccolo”.
Qual è il criterio che porta a scegliere in quale classe inserire un bambino? “Inizialmente si tendeva ad inserire l’alunno straniero nella classe di un anno inferiore alla sua età anagrafica pensando così che per il soggetto fosse più facile il “recupero didattico”; poi l’esperienza ha portato a capire che è più importante il requisito anagrafico in quanto predominante è la necessità dell’inserimento-integrazione sociale con i coetanei. Tengo a sottolineare che in qualche realtà scolastica purtroppo si segue ancora il criterio iniziale: in specifico per Lugagnano, ciò è avvenuto, anche se per breve tempo, quando non esisteva ancora la commissione intercultura con le relative funzioni strumentali: in seguito non è stato facile evitare l’inserimento “automatico e selvaggio” di alunni stranieri da parte del dirigente scolastico di turno, noi funzioni strumentali abbiamo dovuto “esercitare una certa pressione” affinché venissero rispettate le procedure del Protocollo d’Accoglienza”.
Com’è l’approccio dei genitori stranieri in questa fase? “Quasi sempre è il padre, che è qui da più tempo e conosce la lingua, a fare da tramite tra noi, la moglie ed il bambino. Spesso la madre è un po’ intimorita da una realtà molto differente da quella di provenienza. Comunque si tratta sempre di incontri molto proficui, che permettono di creare da subito un clima di fiducia tra la scuola e la nuova famiglia. Ed in caso si verificassero difficoltà supplementari, proprio derivanti dalle differenze culturali o sociali della nuova famiglia, facciamo intervenire il Mediatore Culturale dell’Asl che ha proprio la funzione di fare da ponte tra culture diverse”.
Il sistema funziona? “Direi di sì. Talvolta verrebbe più comodo scavalcare il Protocollo e lasciare che sia il Dirigente Scolastico a decidere dove inserire il bambino. Ma sarebbe un grave errore ignorare questo passaggio di reciproca conoscenza, e quindi ci teniamo che la procedura si svolga sempre secondo questi criteri”.
Cosa succede poi quando il bambino viene inserito nella sua nuova classe? “A questo punto la palla passa all’insegnante o alle insegnanti di quella classe. E qui gli approcci possono essere differenti. Il sistema che personalmente trovo migliore è quello del cooperative learning. Che consiste, sintetizzando al massimo, nell’abbandonare temporaneamente – in realtà è un “falso abbandono” perché si investe in maniera specifica sulle relazioni sociali che avranno ricaduta positiva sull’apprendimento, quindi è un investimento – le attività ordinarie di classe e di favorire attività sociali attraverso simulazioni e giochi in piccoli gruppi per creare tra i bambini situazioni di forte interdipendenza positiva. Ciò permette ai nuovi arrivati di sentirsi parte del gruppo e ai bambini che già facevano parte della classe di rafforzare il loro senso sociale. I risultati sono di solito molto positivi”.
Oltre al lavoro in classe esistono poi attività specifiche per i bambini stranieri, soprattutto nel primo periodo? “Per quanto ce lo consentano i pochi fondi a disposizione – e qui il sorriso di Serena è molto amaro – vengono attivate ore di alfabetizzazione individuale ed è stato creato un laboratorio interculturale. Dobbiamo anche ringraziare i volontari CESTIM che ci danno una grande mano in questo senso. Esistono poi degli ottimi progetti del Comune di Sona, come “Imparare insieme” per far crescere assieme nella conoscenza della lingua genitori e bambini, e che si tengono nelle case delle nuove famiglie”.
Per chiudere, quali difficoltà trovate nel vostro lavoro di inserimento? Serena ci pensa un attimo e poi riprende decisa “Guardi, ci sono difficoltà tecniche connaturate con l’insegnamento, ma che riguardano le attività con i bambini in generale siano stranieri o italiani, e a ciò aggiungiamo la scarsità di fondi di cui abbiamo già parlato, devo dire che veri problemi non ne abbiamo mai avuti. Ne’ tra i bambini ne’ tra gli adulti. Ci sono stati, è vero, un paio di casi isolati in questi anni, ma si sono trattate di dinamiche non riconducibili al fattore italiani/stranieri. Quello che invece mi sento di dire è che – a fronte di una pubblica informazione che insiste anche giustamente su tutte le difficoltà che talvolta nascono dal rapporto di questi nuovi residenti stranieri con la realtà italiana – noi possiamo descrivere la situazione della scuola a Lugagnano come un grande laboratorio di inserimento-integrazione nel complesso riusciti, e le soddisfazioni non le nascondo che sono notevoli e premiano il grande lavoro che si sta facendo”.
“Mi permette, per chiudere, una precisazione dal punto di vista semantico ma che veicola molti significati ed obiettivi per il futuro?” Prego. “Quello che stiamo tentando costruire non è un progetto solo multiculturale, dove cioè si “affiancano” culture differenti, lasciandole però separate. Quello che si sta provando è un progetto di intercultura, che significa confrontarsi e condividere il mondo e la cultura da cui si proviene con altri mondi e “culture altre” per trovare più in la’ qualcosa in più e di nuovo in cui riconoscersi tutti. Senza mai dimenticare le proprie identità e le proprie origini”.