Sona nella Serenissima

All’inizio del XV secolo, caduti gli Scaligeri e passate le brevi dominazioni dei Visconti di Milano e dei Carraresi di Padova, Sona entrò a far parte della repubblica di Venezia assieme a tutto il territorio veronese cambiando, oltreché il padrone, anche la situazione amministrativa; con la Serenissima terminava infatti la lunga comunanza, durata per gran parte del Medioevo, con il cosiddetto Colonello della Gardesana: con questa denominazione (da “colono”, contadino) era infatti indicato un territorio in cui erano accorpati vari paesi, tra cui il nostro, del circondario del lago di Garda.

 

Con Venezia, Sona venne inserita assieme a Palazzolo in un nuovo assetto politico-amministrativo, il vicariato di Bussolengo; capo di questa comunità era il vicario: nominato annualmente fra i cittadini veronesi dal Comune di Verona, risiedeva a Bussolengo ed esercitava la giustizia civile in prima istanza su tutto il territorio di sua competenza, mentre la seconda istanza era dovuta al podestà di Verona; a livello locale l’amministratore del Comune di Sona si chiamava massaro, ed era coadiuvato dai consiglieri, eletti dalla Vicinìa, ossia l’assemblea dei capi-famiglia.

 

I quattro secoli sotto il leone di San Marco portarono innanzitutto una evoluzione dal punto di vista economico; l’agricoltura registrò un buon incremento, e nuove redditizie attività come la coltivazione del gelso per alimentare l’industria della seta presero piede anche a Sona. Ci fu inoltre la riorganizzazione della proprietà terriera nelle mani di pochi signori, in gran parte mercanti arricchiti.

 

Vaste estensioni, rimaste per secoli di dominio pubblico, erano acquistate e recintate, si scavavano canali e lungo questi si piantavano pioppi e salici: al centro di esse era la villa, intesa non più come villaggio, ma come complesso di costruzioni consistente in casa signorile e in abitazioni dei contadini, espressione visibile e simbolo della nuova unità economica, centro organizzativo di una struttura produttiva fondata sulla policoltura, condotta parte in economia, parte ceduta a mezzadria e ad affittanza.

 

Anche il paesaggio si andava caratterizzando, assumendo quei lineamenti che ha conservato in gran parte fino ai nostri giorni: le zone ancora coperte da boscaglie (si pensi il toponimo Bosco) si alternavano ad altre dove l’opera dell’uomo occupava spazi sempre maggiori. L’arretramento delle zone coltivate e il loro sfruttamento intensivo, causa di mutamento dell’impianto urbanistico rispetto al passato, fu imposto dai bisogni della popolazione sempre più numerosa.

 

Il lunghissimo e tranquillo periodo veneziano fu intervallato da una breve e tristissima dominazione straniera, quella degli Asburgo, dal 1509 al 1516. In quel primo anno truppe spagnole e borgognone compirono scorrerie e saccheggi nei paesi di Sona, Palazzolo, Sommacampagna, Bussolengo e Piovezzano con danni gravissimi. Per fortuna i Veneziani ripresero il potere, e tornò la calma.

 

La chiesa medioevale di S. Quirico, ricostruita dopo una distruzione, fu abbellita con affreschi della scuola del Liberale, ma ben presto la parrocchia venne trasferita nella chiesetta di S. Salvatore (ora nel cimitero). Stabilmente officiata dal secolo XV, ma probabilmente risalente al XIII, questa cappella era dipendente dalla pieve di Sandrà. Il tempio non era quello spoglio e disadorno di oggi: munito di ben cinque piccoli altari ed altri arredi, aveva annessi il campanile e la canonica.

 

 Nel 1538 la parrocchia cambiò di nuovo sede; si trasferì nella più comoda chiesa dedicata alla Visitazione della B.V. Maria a S. Elisabetta. In questo periodo la chiesa del cimitero era già in stato di abbandono. Il 1630 fu l’anno della terribile pestilenza che decimò la popolazione italiana. Il “Gran Contagio”, descritto anche dal Manzoni nei capitoli 31-35 del suo celebre romanzo, fu portato in Italia dall’esercito imperiale, sceso durante la guerra per la successione al Ducato di Mantova.

 

Dalla Lombardia il morbo si diffuse in tutto il territorio veneto: a Verona fece la sua comparsa nella casa di pensione di una certa Lucrezia lsolana, in contrada San Salvatore corte Regia, una zona fra le più centrali e povere della città. Pochi giorni dopo, la pestilenza dilagò nel centro cittadino, diffondendosi rapidamente anche nelle campagne. Con celerità estrema la mortalità salì ad un livello impressionante, con anche 300 vittime al giorno. Per fare in breve una valutazione dei danni di questa calamità, durata circa un anno, bastano queste poche considerazioni: a Verona su 53000 cittadini i superstiti furono 20000, nel paese di Sona morirono 247 residenti su 399. La nostra chiesetta di S. Quirico, nel frattempo annessa a un convento di Domenicani, venne impiegata per l’assistenza ai malati di peste: lo testimoniano le finestre murate e forate attraverso cui venivano introdotti vivande e medicamenti.

 

Nel secolo successivo fu ricostruita in stile neoclassico (quale oggi ci appare) la chiesa parrocchiale; a consacrarla fu il vescovo di Verona Giovanni Bragadino il 22 settembre 1743. Con l’arrivo di Napoleone, per la millenaria repubblica di Venezia fu la fine. La mattina del 1 giugno 1796 l’esercito francese, forte di dodicimila uomini, comparve sulla alture di Sona e dintorni fra lo sventolio delle bandiere, il fragore dei tamburi, lo squillare delle trombe, le grida di trionfo; dopo un’ora di marcia, il generale Bonaparte era alle porte di Verona.

 

L’anno dopo la Serenissima, ceduta dai francesi all’Austria, cessò di esistere, e anche per Sona cominciò una nuova storia. La dominazione veneziana portò al nostro territorio quasi quattrocento anni di tranquillità e discreto progresso. Non è il caso di idealizzare troppo: povertà e ignoranza c’erano anche allora, sebbene in misura minore che in altri Stati. Il grande merito di quel governo fu di aver garantito un periodo lunghissimo di pace (delle guerre contro i Turchi a noi giungeva solo un’eco lontana).

 

Se a un cittadino di Sona, vissuto nel pieno di quell’epoca, avessero predetto che tra la fine del Settecento e la prima metà del Novecento (arco di tempo inferiore alla durata complessiva del dominio veneziano) i suoi discendenti sarebbero stati toccati dalle devastazioni napoleoniche, da due guerre d’indipendenza e da due conflitti mondiali, avrebbe stentato a crederlo.

 

Nato a Verona nel 1956, lavora come medico di base. Dal 2003 è redattore del “Baco da seta”, su cui pubblica articoli che trattano quasi sempre di storia del nostro Comune. E’ presidente del “Gruppo di ricerca per lo studio della storia locale di Sona”, che fa parte della Biblioteca comunale di Sona.