Proseguiamo il progetto di informazione sulle attività degli Scout di Lugagnano, in maniera da far conoscere a tutta la comunità – tramite questo sito e tramite la nostra rivista – i progetti che portano avanti.
Tra questi pubblichiamo periodicamente un’iniziativa su cui il Clan degli Scout lavora in maniera continuativa: L’analisi ed il commento critico di articoli che appaiono sulla stampa nazionale e che riguardano grandi temi di comune interesse. Oggi si parla della terribile vicenda di Giulio Regeni e del suo assassinio in Egitto, prima con un articolo apparso su La Repubblica a firma di Paolo Gallori e poi con il commento che ne ha fatto Davide Bressan del Clan.
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Caso Regeni, i genitori: “Giulio torturato, non è caso isolato. Non vorremmo dover mostrare le foto”
Paola e Claudio, i genitori di Giulio Regeni, il ricercatore scomparso al Cairo il 25 gennaio e ritrovato senza vita il 3 febbraio, ucciso in circostanze che restano tutte da chiarire, incontrano la stampa alla Sala Nassiryia del Senato. In un momento molto delicato, non solo per l’inchiesta che tra Roma e il Cairo vorrebbe arrivare a far luce sulla fine di loro figlio, anche per i rapporti tra Italia ed Egitto. Delicato perché nonostante l’impegno personale del presidente Al Sisi, i nuovi dettagli emersi sul caso non fugano i dubbi sulla ricostruzione fornita dalla polizia egiziana del distretto di Shobra al Khaima: omicidio ad opera di una banda criminale locale che ha rapito, torturato e ucciso Giulio Regeni, prima di essere a sua volta sterminata dalle forze dell’ordine. A questo balletto i genitori di Giulio Regeni non ci stanno.
Paola Regeni: “Giulio non era una spia, era un ragazzo del futuro”. “Sono la mamma di Giulio, non è facile essere qui. E’ il dolore necessario, ce lo diciamo ogni giorno a casa, ma ora dobbiamo dircelo tutti insieme. Perché non è un caso isolato, come dicono gli egiziani. Questo caso ‘isolato’ lo analizzerei da due prospettive. Se pensiamo a quello che è successo a un cittadino italiano, forse è un caso isolato. Ripenso a un amico e a una professoressa con cui ho discusso: è dal nazifascismo che non viviamo una morte sotto tortura. Ma noi non siamo in guerra, Giulio faceva ricerca, era un ragazzo di oggi. Ed è morto sotto tortura. Noi abbiamo educato i nostri figli ad aprirsi al mondo. E adesso siamo qui. Penso poi a quanto hanno detto gli egiziani, la parte amica degli egiziani: lo hanno ucciso come un egiziano. Per questo non possiamo dire: è un caso isolato. Credo sia accaduto anche ad altri, egiziani e non solo. Ma volevo dirvi delle cose di Giulio. Non era un giornalista, non era una spia, era un ragazzo del futuro, perché se il suo essere non è stato capito, è del futuro e non di oggi”.
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Giulio Regeni era uno studente italiano di 28 anni proveniente dal Friuli Venezia Giulia. Studiava per un dottorato a Cambridge, in Inghilterra, e si trovava in Egitto per una tesi sull’economia del Paese. Le cause della sua morte non sono chiare e gettano numerose ombre sulla vicenda. La tesi della polizia egiziana parlò inizialmente di un incidente stradale, ma le ferite e i segni di tortura ritrovati sul cadavere fanno pensare a tutt’altro. La cosa che mi lascia più sconcertato è legata a questo fatto: sul corpo del giovane sono stati rinvenuti segni di percosse e le orecchie erano state mozzate, provocando così una morte lenta. Nella storia a pagare le conseguenze sono sempre i più deboli, ma non avrei mai pensato che nel 2016 in Italia si potesse ancora sentir parlare di tortura. Dal mio punto di vista è evidente che la questione è legata a fattori interni del Governo egiziano; infatti le varie versioni fornite dalle istituzioni locali riguardo la vicenda mi fanno pensare a un modo per nascondere la realtà dei fatti, che temo non verrà mai alla luce. Mi preoccupa inoltre che il coinvolgimento di interessi economici tra il nostro Paese e l’Egitto possa causare un occultamento della verità.
Davide Bressan
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