Domenica prossima 4 dicembre si tiene il referendum per l’approvazione della riforma costituzionale Renzi-Boschi. Non si tratta, infatti, di referendum a norma dell’art. 75 Cost., che serve per abrogare le leggi dello Stato, ma di referendum cosiddetto confermativo ai sensi dell’articolo 138 comma 2 Cost., tramite il quale gli elettori sono chiamati a dare definitiva approvazione ad una legge predisposta dal Parlamento e non ancora in vigore.
Questo referendum è libero dal vincolo del quorum partecipativo, pertanto il risultato, che sia positivo o che sia negativo, sarà valido a prescindere dai numeri di affluenza alle urne.

In previsione delle urne di domenica, la redazione del Baco si è rivolta a Daniele Giacomazzi di Lugagnano, avvocato e promotore del comitato Basta un Sì di Sona, che sostiene pubblicamente le ragioni del Sì, e a Gianluigi Sette di San Giorgio in Salici, architetto e tesoriere di Indipendenza Noi Veneto, che sostiene pubblicamente le ragioni del No, per creare un’intervista doppia e agevolare il cittadino nella scelta di un voto consapevole e responsabile.
L’intervista si articola per argomenti: viene proposto un breve riassunto del contenuto della riforma e il riferimento agli articoli e, seguire, le due posizioni contrapposte.

La riforma costituzionale, infatti, modifica 47 articoli su 139 della nostra Legge fondamentale; inoltre, con essa, cambia anche la legge elettorale con l’introduzione del sistema elettorale chiamato Italicum.
Di seguito il testo del quesito che voteremo domenica, così come approvato lo scorso 8 agosto dall’Ufficio Centrale per il referendum della Corte di Cassazione:
Approvate voi il testo della legge costituzionale concernente “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?
BICAMERALISMO
In Italia vige bicameralismo perfetto (eguale, paritario, indifferenziato), in forza del quale una legge per poter essere approvata deve essere votata nello stesso identico testo sia dalla Camera che dal Senato. La fine della parità assoluta tra Camera e Senato è sancita dall’art. 55 della riforma.
Viene effettivamente superato il bicameralismo perfetto?
Giacomazzi:
Sì, non c’è dubbio che l’attuale sistema legislativo, con il quale una legge è sottoposta alla c.d. navetta tra Camera e Senato prima di essere approvata, venga superato. Con la riforma costituzionale, invece, sarà la sola Camera ad avere la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo. Non a caso, infatti, solo la Camera voterà la fiducia del Governo. Nel sistema costituzionale riformato la Camera sarà dunque il vero organo legislativo dello Stato ed avrà l’ultima parola sulla gran parte dei progetti di legge (si stima sia circa il 95%). In tutti questi casi, il Senato potrà proporre delle modifiche, entro 10 o 15 gg a seconda delle materie, ma sarà la Camera ad avere l’ultima parola. In alcun materie (leggi costituzionali, minoranze linguistiche, referendum, leggi elettorali, organi e funzioni degli enti locali), invece, il Senato conserva il pieno potere legislativo per garantire la tutela dell’interesse delle Regioni e degli enti locali. In definitiva, la riforma introduce un bicameralismo differenziato attraverso procedimenti legislativi accelerati e tempi certi per l’approvazione delle leggi.
Sette:
Con la riforma costituzionale che ci viene proposta, il bicameralismo paritario si trasforma in realtà in un bicameralismo talmente complesso che contribuirà solamente ad aumentare la confusione del sistema istituzionale. Tutti sanno che la Costituzione ha un testo volutamente semplice, breve ed essenziale. Comprensibile a tutti. La riforma Boschi invece, soprattutto nell’articolo 70, quello che riguarda l’applicazione del superamento del bipolarismo perfetto, è così difficile che nemmeno i professori di diritto costituzionale riescono ad interpretarlo. Si passa dall’attuale procedura sostanzialmente unica per tutte le leggi ad almeno nove procedure diverse contenute nella proposta di riforma (ma secondo alcuni costituzionalisti più di dodici). Se tutta la riforma è un’alluvione di parole, l’art. 70 è pure un traboccare di citazioni ad altri articoli, senza dire di cosa parlano. Il tutto mi ricorda l’Europa e i sui trattati.
SENATO (artt. 55, 57, 94)
Il Senato diventerebbe il Senato delle Autonomie e il numero dei senatori scenderebbe da 315 a 100 (95 Senatori, eletti dai Consigli Regionali tra i propri membri, e 5 Senatori nominati dal Presidente della Repubblica; l’elezione dei senatori non avviene dal popolo, ma è indiretta); svolgerebbe funzioni di raccordo tra lo Stato, gli enti locali e l’Unione Europea, eserciterebbe la funzione legislativa in concorso con la Camera solo con riferimento ad alcune materie; parteciperebbe al procedimento di revisione costituzionale ed all’elezione del Presidente della Repubblica; controllerebbe l’operato del Governo, a cui però non voterebbe la fiducia. La modalità di scelta dei senatori rimane indeterminata, rinviata ad una successiva legge ordinaria.
Alla luce della modifica del ruolo e della composizione del Senato, qual è il suo giudizio su questo ente legislativo? Non essendo più un organo rappresentativo, vi è un’antitesi con il principio fondamentale secondo cui la sovranità appartiene al popolo? I senatori rappresenteranno le varie Regioni in proporzione alla loro popolazione?
Giacomazzi:
In questo il nuovo Senato italiano è complessivamente in linea con le esperienze di altri Paesi europei, che in generale hanno funzionato bene. Si può aggiungere che, in questo modo, le questioni dei rapporti fra Stato e autonomie non saranno più soltanto discusse al chiuso delle Conferenze intergovernative, ma in un’assemblea democratica, dove per definizione vige il principio di pubblicità e trasparenza. Questo aumenta il tasso di democraticità del nostro sistema, senza per questo abolire le Conferenze, che potranno continuare a svolgere le loro funzioni amministrative. Il metodo di elezione dei Senatori dovrà essere definito con legge ordinaria ma un principio molto importante è già scritto nella nuova costituzione: dovranno essere scelti in “conformità alle scelte espresse dagli elettori”. Il principio di rappresentanza è dunque garantito e la proposta del PD, il c.d. ddl. Chiti-Fornaro, prevede che durante le elezioni regionali gli elettori voteranno chi si candiderà a senatore. Chi sarà più votato, siederà in parlamento e rappresenterà il territorio di provenienza. Ogni regione avrà un numero di senatori proporzionale alla popolazione, così da dare un diverso “peso” alle regioni maggiormente popolose. Il Veneto avrà 7 senatori.
Sette:
Traduco le caratteristiche del nuovo Senato: i territori non potranno obiettare sulle scelte del governo e verrà data la possibilità al presidente di dare l’immunità a 5 amici. Gli altri 95 senatori invece di fare i sindaci o i consiglieri regionali, saranno sempre in viaggio tra il loro comune o la loro regione e Roma. In poche parole, non faranno né i sindaci, né i consiglieri regionali né i senatori. Ma godranno dell’immunità parlamentare. La formula per la ripartizione dei seggi prevista dalla riforma è la seguente: i senatori rappresenteranno in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. La sovranità non appartiene quasi più al popolo. L’ultima volta che in un colpo di reni il popolo l’ha esercitata, e mi riferisco ai referendum sull’acqua e sul nucleare (12 e 13 giugno 2011), dopo un brevissimo tempo fu messo in riga. Qualcuno si accorse che il popolo aveva alzato la testa. Gli stessi poteri che allora ci dicevano che il nucleare era un bene e che l’acqua privatizzata avrebbe portato investimenti e migliorie, ora sono di nuovo in campo a paventare mali assoluti se non passa la riforma. Allora per sedarci ci dissero che l’Italia era sull’orlo del precipizio, vi ricordate? “Non ci sono più soldi per pagare le pensioni”. Ci indicarono una serie di misure da attuarsi al più presto o tutto sarebbe crollato. Arrivarono a far dimettere un governo eletto. Nota: il precipizio all’arrivo di Monti era profondo 1900 miliardi di debito pubblico. Sembrava l’ecatombe. Oggi il debito pubblico è di 2228 miliardi. Non è una bella cosa, ma Votiamo No e non ricadiamo nel tranello.
Vi è un effettivo contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni?
Giacomazzi:
La riduzione del numero dei parlamentari, 315 in meno perché i circa 100 senatori che rimarranno avranno anche la funzione di consigliere regionale o di sindaco, comportano un risparmio di circa 80 milioni di euro. Si riducono però complessiva del 20% i parlamentari per cui è atteso un risparmio conseguente dei costi della struttura di oltre 300 milioni. L’abolizione del CNEL incide per un risparmio di quasi 9 milioni. Infine, la riduzione delle indennità dei consiglieri regionali e l’abolizione dei contributi ai gruppi consiliari regionali porterà un risparmio di spesa di 32 milioni di euro. La riduzione dei costi della politica è innegabile.
Sette:
I veri costi non sono i senatori o i deputati. Certo, bisogna ridurli. I veri costi sono dovuti a circa 1.100.000 persone che vivono di politica! Burocrati che invece di dare soluzioni alla gente procurano solo problemi. I risparmi previsti dalla riforma Boschi sono l’equivalente di due gocce in un oceano. È come andare in una cava a prelevare sabbia con un secchiello da bambino per le vacanze al mare. La riforma in questo senso è ridicola. Per tagliare i costi del Senato andava eliminato. A casa pure i parrucchieri che percepiscono 200 mila euro all’anno. Non mi risulta che l’abbiano fatto.
NUOVO PROCEDIMENTO LEGISLATIVO (artt. 70, 71, 73, 75, 134)
L’iter di formazione delle leggi prevede l’istituzione di un bicameralismo differenziato, in forza del quale le due Camere del Parlamento eserciterebbero la funzione legislativa solo per alcune materie specifiche e circoscritte. La camera avrebbe competenza legislativa per tutte le altre leggi, con contestuale previsione di un ruolo consultivo e non vincolante del Senato. Sono infine previste modifiche ai quorum per l’iniziativa legislativa popolare e per il referendum abrogativo, nonché l’introduzione del referendum propositivo.
Il nuovo procedimento legislativo è più efficiente e veloce? Può aumentare il contenzioso tra Camera e Senato?
Giacomazzi:
Il nuovo procedimento legislativo consente certamente una maggior efficienza e velocità nell’approvazione delle leggi. In media ci vuole quasi un anno e mezzo per l’approvazione di una legge, in alcuni casi quasi 1000 giorni. Se pensiamo alla velocità con cui un imprenditore è chiamato a prendere delle decisioni nel contesto della globalizzazione, è chiara l’inadeguatezza di un sistema che nel migliore dei casi offre soluzioni in ritardo, nei peggiori quando non servono più. L’art. 70, tanto vituperato per la sua lunghezza, delinea nel dettaglio le materie di cui si occuperà il nuovo Senato evitando ogni rischio di conflitto di competenze. La brevità attuale sarà anche esteticamente apprezzabile, ma è la causa della confusione del nostro sistema legislativo. Inoltre oggi tutte le leggi sono eguali: importantissime, discusse per anni, possono essere cambiate o derogate dal comma nascosto in qualsiasi leggina successiva. Il nuovo testo sarà lungo e brutto ma serve a distinguere con precisione le 14 leggi che restano bicamerali dalle altre. Per farlo bisogna individuarle una per una.
Sette:
La velocità e l’efficienza di un procedimento legislativo è direttamente proporzionale alla semplicità della norma che lo regola. Essendo la nuova riforma complessa ed indecifrabile è condizione sufficiente per capire che le cose saranno peggiori. I contenziosi per me potranno solo che aumentare. La cosa più semplice era eliminare del tutto il Senato.
Alla luce dei nuovi quorum per l’iniziativa legislativa popolare e per il referendum abrogativo, nonché l’introduzione del referendum propositivo, è più agevole o più arduo per il cittadino fare uso concretamente di questi strumenti di partecipazione diretta alla formazione delle leggi?
Giacomazzi:
Uno degli obiettivi che si prefigge questa riforma è, contrariamente a quanto spesso viene millantato, quello di promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini alle decisioni adottate dalla politica. Oltre alla possibilità di avere un quorum più basso per i referendum abrogativi, nel caso in cui si raggiungano 800mila firme – così come disciplinato da nuovo disposto dell’articolo 75 – la riforma costituzionale teorizza ed inserisce nel nostro ordinamento costituzionale due nuovi istituti: il referendum propositivo ed il referendum d’indirizzo.
I cittadini potranno quindi indire una consultazione referendaria per far disciplinare al legislatore una specifica materia o proporre la soluzione ad un particolare problema. Infine, non va dimenticato che il Parlamento sarà finalmente obbligato a votare le leggi di iniziativa popolare che finivano sistematicamente nel dimenticatoio. La riforma costituzionale, dunque, non si limita a rafforzare istituti di partecipazione già esistenti, si spinge oltre e ne aggiunge di nuovi aumentando notevolmente il potere dei cittadini.
Sette:
Il nuovo articolo 71 della Costituzione prevede che le firme necessarie per proporre un disegno di legge al Parlamento triplichino, passando dalle 50 mila attuali a 150 mila.
Una logica quindi che porta ad aumentare l’onere per l’iniziativa dei cittadini, triplicando il numero di firme per una legge di iniziativa popolare, senza fissarne un termine preciso per l’esame. Evidentemente una cosa più ardua. Ma è quello che vogliono.
Nell’articolo 75 della Costituzione “riformata” si prevede inoltre che, se le firme raccolte per il referendum abrogativo sono superiori alle 800 mila, il quorum non sarà più il 50%+1 dei voti di tutti gli aventi diritto, ma il 50%+1 degli elettori che hanno votato alle ultime elezioni politiche.
Quasi mai 800 mila firme stato raggiunte durante le raccolte di firme referendarie. La cosa si commenta da sola.
RAPPORTO STATO-REGIONI (artt. 99, 114, 116, 117)
La riforma Boschi va a toccare il Titolo V della Costituzione. Verrebbero abolite definitivamente le province e il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL); verrebbe conferita una maggior autonomia alle Regioni a statuto ordinario. Inoltre, è prevista la clausola di supremazia statale: su proposta del Governo la legge statale può intervenire anche in materia di competenza esclusiva delle Regioni per «dettare disposizioni generali e comuni», ripristinando il principio dell’«interesse nazionale».
Relativamente alla riforma del Titolo V come valuta il rapporto che verrebbe a crearsi tra Stato e Regioni?
Giacomazzi:
Con la riforma costituzionale si abolisce la c.d. competenza concorrente Stato – Regioni. Si supera quindi quella condivisione di competenza che è all’origine di un vertiginoso incremento del contenzioso per conflitto di attribuzioni avanti alla Corte Costituzionale e si introduce una netta, chiara ed esplicita definizione delle materie di competenza dello Stato e delle Regioni. Ci sarà quindi maggiore chiarezza. Le Regioni virtuose, ossia in equilibrio di bilancio, potranno inoltre aumentare la propria autonomia concordando con lo Stato la cessione di ulteriore materie di competenza. Come detto, infine, le Regioni ed i Comuni avranno per la prima volta voce in Parlamento vedendo con ciò chiaramente rinforzata la propria possibilità di rappresentanza.
Sette:
Attraverso la clausola di supremazia lo Stato potrà sempre accentrare qualunque competenza regionale anche in Regioni che si sono dimostrate più virtuose, come il Veneto. Se passa la riforma, a Roma decideranno per casa nostra. In teoria questa è una clausola inserita per avere il potere di intervenire in tutti i campi laddove le cose non vanno. Intervenire direttamente nella gestione della sanità, per esempio, laddove questa non funzioni. Ma secondo voi, è più facile che gli ospedali calabresi diventino come quelli Veneti o il contrario, quando tutto passera “per supremazia” sotto il controllo dei burocrati romani? Questa clausola, inoltre, è la chiave per depredare i nostri territori a svendere le nostre ricchezze. Quali sono? Tutte le nostre società di utilities: le imprese di pubblici servizi. Valgono centinaia di miliardi. Come mai devono fare questo? Abbiamo 2228 miliardi di debito e dobbiamo rispettare il fiscal compact. Significa che in venti anni il debito pubblico italiano dovrà essere dimezzato. Significa che l’Italia dovrà sborsare circa 1000 miliardi di euro in venti anni. Significa tagliare per vent’anni il debito pubblico di una media di 40-50 miliardi l’anno. La clausola di supremazia è la chiave per attuare questa rapina.
LEGGE ELETTORALE: ITALICUM
Attualmente ci sono due sistemi elettorali diversi, per Camera e Senato che hanno anche un elettorato diverso. Circa 4 milioni di giovani (18-25 anni) non possono votare i Senatori. Senza la riforma si voterebbe con il c.d. Consultellum, una correzione della Corte Costituzionale al c.d. Porcellum.
Qual è il suo giudizio sull’attuale sistema elettorale? Con l’Italicum in vigore, la vittoria del no andrebbe a minare la governabilità del nostro Paese? E la vittoria del Sì eviterebbe casi di trasformismo dopo le elezioni?
Giacomazzi:
L’attuale sistema elettorale è un sistema proporzionale, alla prova dei numeri, incapace di individuare una forza politica di maggioranza anche perché, come è avvenuto nelle elezioni, probabilmente avremmo maggioranze diverse tra Camera e Senato. In altre parole, l’unica possibilità sarebbero Governi di coalizione. L’Italicum è il nuovo sistema elettorale, proporzionale con premio di maggioranza o ballottaggio e preferenze, per la sola Camera dei Deputati. Con la vittoria dei “No” avremmo ancora una volta Camera e Senato con maggioranze diverse con una chiara situazione di ingovernabilità. Il trasformismo è un fenomeno che appartiene alle scelte dei politici eletti. La costituzione non prevede e non prevederà infatti il c.d. vincolo di mandato.
Sette:
Il fatto è che la legge elettorale verrà modificata o meno a seconda del risultato del referendum. La vittoria del Sì per il Veneto sarà sicuramente l’inizio di un calvario. L’inizio della fine della democrazia.
In conclusione quali sono i punti salienti per cui votare sì/no?
Giacomazzi:
Questa riforma non ha colore o schieramento, sono le regole del gioco, funzionali ad una maggior efficienza delle istituzioni, strumento per il rafforzamento della democrazia e il rilancio della politica. La differenza poi la dovrà fare la politica e quindi le persone. È però importante capire che è’ uno strumento prezioso per perseguire meglio l’attuazione dei principi fondamentali (articoli da 1 a 12) e per meglio assicurare la tutela dei diritti di cui parlano gli articoli da 13 a 54. Bisognerà saperli utilizzare al meglio. In ogni caso la storia insegna che non è la forza ma la debolezza del potere democratico a mettere in crisi la fiducia nelle istituzioni e nella politica. Di certo, a rinunciarvi, ci si rassegna ad una politica incapace di decidere e quindi i tanti problemi della nostra società, ci toccherà tenerceli. È un’occasione unica di rinnovamento che solamente con la conferma della riforma, cioè votando Si al referendum, può essere colta.
Sette:
Votiamo No per non diventare prigionieri dei poteri finanziari.
Votiamo No per tenerci le eccellenze dei nostri ospedali e non vederli ridotti come quelli calabresi.
Votiamo No per restare liberi.
Votiamo No per iniziare un percorso verso la nostra indipendenza.
Per un voto più consapevole alleghiamo anche il documento ufficiale prodotto dalla Camera dei Deputati recante la Costituzione vigente ed il testo a fronte della Riforma: CLICCA QUI.