Non c’era ancora il coronavirus, ma… Breve storia delle emergenze sanitarie a Sona

Le malattie infettive sono determinate da agenti patogeni che entrano in contatto con un individuo e si diffondono secondo un ritmo esponenziale. Queste, e poche altre parole, lette o sentite qua e là stanno terrorizzando anche i nostri concittadini che, in questi giorni pare non si avvicinino più a luoghi o a persone ritenuti a rischio, ben oltre la necessaria prudenza che ci dovrebbe invitare a seguire, senza eccessi, le indicazioni dell’autorità sanitaria.

Il Comune di Sona, ben prima del coronavirus, ha però vissuto nella sua storia momenti realmente molto difficili subito dopo l’unificazione al Regno d’Italia, a causa di malattie originate dalle scarse condizioni igieniche complessive, anche se i nuclei abitativi erano molto piccoli e la maggior parte dei cittadini abitava in case sparse.

Nella relazione del 1867 da un’apposita commissione di sanità, guidata dall’Ufficiale Sanitario Dott. Dolfin, venne scritto che “praticamente tutte le case erano sprovviste di gabinetti; erano diffusi i letamai, non posti in buche ma sulla superficie e a ridosso delle abitazioni, con emissione di odori nocivi; molti erano coloro che allevavano animali domestici, come i maiali, all’interno delle case”. E i cittadini di Sona di quel tempo furono colpiti da vaiolo, tubercolosi, difterite, colera, tifo, pertosse, morbillo, scarlattina ed altro.

Malattie che erano causa di crisi sanitarie che portarono anche alla morte di nostri concittadini. Il 1886 fu, ad esempio, un anno tragico per il Comune, perché scoppiò una terribile epidemia di colera, di cui fecero le spese soprattutto gli abitanti di Palazzolo.

Il Sindaco Achille Fiorini. Sopra, Palazzolo in un’illustrazione del 1833.

Questo fu il suo drammatico resoconto che fece ai Consiglieri comunali il Sindaco Achille Fiorini: “Il primo caso di colera si verificò nella giovane Giacomelli Luigia di Palazzolo il giorno 27 luglio 1886. La stessa trovavasi a lavorare nel locale di deposito gallette alla Cascina di proprietà del Sig. Scatti, ed appena ebbe i primi sintomi colerici fu fatta accompagnare alla propria casa, ma strada facendo fu colpita fortemente e ricoverata nella casa detta La Mandolara nella parrocchia di San Giorgio in Salici.  Chi fu il primo a correre al letto dell’ammalata, il M. R. Parroco di Palazzolo, visto lo stato grave dell’ammalata, mandò pel medico e al Municipio per le relative disposizioni. Mi recai tosto col Segretario sul luogo, e oltre di aver dato le debite disposizioni ebbi a provvedere di soccorsi tanto l’ammalata quanto gli assistenti. Siccome poi attribuitasi la causa del male all’acqua poco salubre di detta località, mi recai nello stesso giorno sul luogo, e presa una bottiglia espressamente la spedii alla R. Prefettura perché venisse fatta analizzare, e la stessa R. Prefettura con foglio 3 agosto ebbe a dichiarare che, fatta analizzare l’acqua in parola da persona chimica, fu trovata potabile. Il morbo fatalmente non si arrestò così presto, che si ebbe a sviluppare anche in Palazzolo, in Sona, nella contrada Ferrari e Lugagnano, ma la frazione maggiormente colpita fu Palazzolo, ove dal giorno 27 luglio al 17 settembre si ebbero denunziati ufficialmente 20 casi con 10 morti, senza contare non meno di altri 60 casi leggeri e non denunziati. Nella regione di Sona denunziati ufficialmente 5 con 3 morti, senza contare qualche altro caso tenuto nelle tenebre. Nella frazione di San Giorgio in Salici, contrada Ferrari, un caso con esito letale. Nella frazione di Lugagnano due casi, un morto. Furono provveduti tutti gli ammalati di soccorsi alimentari, di assistenti etc., non lasciando nulla mancare ciò che in simili circostanze era necessario provvedere, provvedendo in pari tempo i M. R. Parroci del Comune di laudano e qualche bottiglietta di tintura di Perigozzi da somministrarsi ai primi sintomi colerici, stante la lontananza da medico e farmacia di alcune frazioni, e perché in dette località si ricorre primariamente al consiglio del parroco; per tutto questo ebbesi a incontrare una spesa di £ 1767,09… Prima di chiudere il mio resoconto, devo segnalare alla pubblica stima il M.R. Parroco di Palazzolo Sig. Dalla Riva Don Giuseppe che, dotato di cognizioni mediche, nei giorni nefasti non riposava né giorno né notte, sia per ospitare gli ammalati stando delle ore intiere prestando le più manuali cure, sia per confortare le famiglie dei colpiti; allo stesso devesi attribuire il merito se il male non ebbe a svilupparsi maggiormente perché, ad eccezione dell’ordinaria visita medica, tutti gli ammalati furono curati dal Parroco Sig. Dalla Riva D. Giuseppe con ottimi risultati; in una parola, si è prestato indefessamente alla cura dei suoi Parrocchiani che ne invocavano l’assistenza, e tutta la popolazione di Palazzolo deve essere riconoscentissima, e riconoscente pure deve essere la Rappresentanza Comunale, se non altro dal lato di aver risparmiato al Comune la spesa di un secondo medico, spesa in quelle circostanze e condizioni indubbiamente indispensabile”.

Il colera nel 1886 mieté meno vittime rispetto alla precedente epidemia del 1855. In quell’anno, nell’arco dei mesi di luglio e di agosto, i morti furono addirittura 95, su un totale di 213 malati. Prima ancora, si verificarono a Sona epidemie di questo morbo nel 1836 e nel 1849.

Il vaiolo veniva contrastato da un vaccino che non era disponibile in quegli anni per le altre malattie. Anche in presenza del vaccino però si verificarono nel 1905 a Palazzolo tre decessi a fronte di sette infettati.

Così scrisse in un avviso alla popolazione, per l’occasione, il Sindaco Ferdinando Sparavieri: “Le pronte e rigorose misure d’igiene prese contro il vajuolo, malattia contagiosa che si sviluppò in Palazzolo, hanno ottenuto di poter circoscrivere e limitare il male. Col cuore sollevato da grave pena posso oggi dichiarare che il contagio sembra sia in via di diminuzione, ma ciò mi spinge maggiormente a rivolgermi a tutta la popolazione del Comune esortando tutti a osservare specialmente col massimo rigore l’articolo 8 del locale regolamento d’igiene: le spazzature e i letamaj dovranno esser tenuti a distanza conveniente dall’abitato, e tenuti in modo da non nuocere alla pubblica salute… In questi critici momenti è assolutamente indispensabile che ognuno personalmente cooperi per quanto gli spetta nelle sue proprietà a togliere ogni motivo che possa esser causa d’infezione. L’Autorità Comunale fa quanto deve e può, ma senza il concorso docile e pronto della popolazione molte disposizioni resterebbero senza profitto (21 sett. 1905)”.

Particolarmente toccante fu il caso di un dipendente municipale che nel prestare soccorso ai malati di vaiolo fu contagiato, e morì. Durante una seduta del Consiglio comunale fu deciso all’unanimità di assegnare un sussidio alla vedova, e di ricordare l’eroica vittima con queste parole: “Bettelini Stefano, capo stradino del Comune, morto il 7 settembre 1905, vittima del proprio dovere, mentre prestava ottimo servizio ai vajuolosi durante l’epidemia del 1905 in Palazzolo, servizio fatto con impareggiabile abnegazione”.

Colpì pesantemente il nostro Comune anche la Difterite, una patologia che provocava drammatiche sofferenze ai bambini, basta leggere i sintomi descritti dai medici condotti durante le visite:“chiazze sordide alle tonsille, alito fetente, deglutizione difficilissima, respiro difficoltoso, tosse abbaiante, febbre continua”.

Le misure consistevano nell’isolamento, e “cura antisettica locale e generale”, ma a volte non servivano a evitare la morte dei piccoli malati. Talora il Comune era costretto a prendere misure eccezionali, come la chiusura a tempo indeterminato della scuola dove si erano verificati casi di difterite.

Una certa preoccupazione destò l’allarme lanciato dal Governo nel 1901 per la Peste bubbonica. In quell’anno si verificò un’epidemia a Napoli e la Prefettura di Verona inviò una circolare a tutti i Comuni della provincia per sapere se sarebbero stati in grado di affrontare l’emergenza in caso di propagazione di quel morbo fino a noi (calamità che fortunatamente non si verificò).

L’Ufficiale sanitario di Sona Dott. Belisario Segattini inviò in risposta una lettera rassicurante, in cui dichiarava che era difficile che il contagio arrivasse nel nostro territorio “grazie alle buone condizioni igieniche” (sic). In ogni caso, si sarebbe potuto utilizzare la chiesa di San Quirico come lazzaretto, grazie alla sua posizione isolata e alla capacità di ospitare venti posti letto.

Nato a Rovereto (Trento) il 24 maggio 1940, ha conseguito il diploma di ragioneria a Verona. Sposato, con tre figli, ha svolto l’attività di dirigente d’azienda. È stato per quindici anni un amministratore comunale come assessore e sindaco di Sona. È storico delle vicende del Comune ed è autore di pubblicazioni sulla storia recente e dei secoli passati del territorio di Sona e dell’area veronese.