Diego Armando Maradona, durante un’intervista di qualche anno fa, raccontava che “se stessi con un vestito bianco a un matrimonio e arrivasse un pallone infangato, lo stopperei di petto senza pensarci un istante”.
Questo, per dare un’efficace immagine di quanto il calcio si collochi ben oltre i normali svaghi ma per milioni di persone in tutto il mondo sconfini ampiamente in una passione incontenibile, che soprattutto in occasione di alcune partite determinati, dove ti giochi la salvezza o lo scudetto, o durante alcuni appuntamenti totali quali i mondiali sa realmente coinvolgere intere città o intere Nazioni.
Passione infinita che vede come protagonisti degli interpreti che, come in ogni attività della vita, possono essere piccoli uomini, uomini come tutti e uomini di assoluto valore. Perché poche vicende come il calcio sanno mettere in scena tutti i colori della vita. Dai più luminosi ai più meschini.
Uno di questi interpreti abita tra di noi, e forse tantissimi a Sona nemmeno lo sanno.
La Nazionale di calcio Italiana Under 20 che sta disputando i campionati mondiali in Polonia è infatti guidata da Paolo Nicolato. Classe 1966, origini vicentine, un grande sportivo ed un galantuomo che dal 2010 vive ai piedi della collina di Sona.
Tante le esperienze importanti da allenatore per Nicolato. Nel 2014, per dire, è diventato campione d’Italia con la Primavera del Chievo e dopo è stato anche mister della Nazionale Italiana Under 18. Ora, come si diceva, guida l’Under 20 ai Mondiali in Polonia.
Ed è proprio in questa occasione che Nicolato ha dato l’ennesima dimostrazione della stoffa di cui è tessuto. Martedì 11 giugno, semifinale mondiale, la partita ci vede giocare, dopo un campionato esaltante, contro la sorprendente Ucraina, in ballo c’è la finalissima. Al 65’ passano in vantaggio loro, ma quando tutto sembra perso, al 95’ arriva lo splendido pareggio del nostro Scamacca.
Festa grande in campo ed in panchina, ma dopo qualche istante il gol viene annullato dal Var. Finale sfumata, nella maniera più dolorosa.
Ai cronisti che immediatamente lo avvicinano, immaginando un suo commento al vetriolo sul gol annullato, con olimpica serenità risponde così: “Ingiustizia? No, sono sempre dalla parte degli arbitri, se ha preso questa decisione vuol dire che è stata ben valutata. Può essere un errore, non un’ingiustizia. Devo fermarmi qui, sono consapevole della buona fede degli arbitri”.
Così. Senza insinuare, senza alludere, senza provocare, senza insultare. Nonostante la pressione fortissima del momento, nonostante la delusione che non poteva che essere cocente, nonostante tutto. In un tempo – il nostro – di troppi cialtroni pronti solo a stracciarsi le vesti, eterne vittime di complotti immaginari, capaci solo di scaricare sugli altri ogni colpa e ogni responsabilità, ha mantenuto fissa la barra sui valori di un’intera vita. Come fosse la cosa più naturale di questo mondo. Anzi, come fosse l’unica condotta possibile.
Un vero uomo di sport. Anzi, un vero uomo. Di cui a Sona dobbiamo essere orgogliosi.