Nembro, un esempio di resistenza a cui guardare

Nembro è un paese italiano in provincia di Bergamo con 11.500 abitanti, divenuto famoso per un triste primato: la percentuale più alta d’Italia in fatto di contagio da Covid-19. Il giornalista Mario Calabresi è rimasto profondamente colpito dalla storia di questo comune in Val Seriana e l’ha raccontata in modo emozionante dopo esservisi recato più volte.

A toccarlo è stata la forza dei suoi abitanti, che avrebbero potuto – senza biasimarli per questo – lasciarsi andare e smettere di reagire di fronte all’accanirsi del virus, e invece non l’hanno fatto, mai, nemmeno quando si celebravano quattordici funerali al giorno. La loro è una storia di esemplare resistenza.

A Nembro don Matteo racconta di essersi trovato una volta da solo a dover organizzare quattro funerali perchè gli altri sacerdoti della parrocchia in quel momento erano tutti contagiati. Il dolore per le morti continue lo spinse la primavera scorsa a decidere di non suonare più le campane quando giungeva notizia dell’ennesimo residente che non ce l’aveva fatta. Trasmettevano troppa angoscia, esattamente come il suono della sirena delle ambulanze tra le vie. In due mesi, lo scorso anno, il Covid sottrasse al paese bergamasco 188 abitanti (un terzo in più del numero di deceduti che abitualmente si registravano in un anno).

Eppure la gente di Nembro ha saputo rialzarsi. Tante persone si sono date da fare per portare la spesa agli anziani o per cucire mascherine, per esempio, e un gruppo di quaranta ragazzi, guidati da don Matteo, si è mobilitato per distribuire alle famiglie i volantini informativi per ottenere beni di prima necessità. Il curato celebrava la messa nella chiesa vuota, arrivando nelle case con l’aiuto della tecnologia, e ogni giorno un podcast col commento al Vangelo veniva scaricato da centinaia di persone.

A sorpresa è arrivata pure la telefonata di Papa Francesco, che si complimentava per gli sforzi della comunità e per il volontariato di questi ragazzi instancabili. Tuttavia, nonostante l’impegno e il coraggio di questa comunità, le persone continuavano a morire.

Nella primavera del 2020 se ne andarono in tanti: il bibliotecario, moltissimi residenti della casa di riposo, il tipografo, la segretaria dell’anagrafe, l’ostetrica che aveva fatto nascere tantissimi bambini, pure “il Roccia”, l’alpino più famoso di Nembro. Durante i mesi più tragici anche il sindaco, preside in pensione ed ex insegnante di fisica, si è dato da fare cercando di stare vicino ai suoi concittadini con un messaggio vocale quotidiano. Si è ammalato di Covid ma, dopo la guarigione e prima della Maturità 2020, quella che seguiva mesi di didattica a distanza, ha organizzato una serie di ripetizioni per i maturandi del suo comune.

Il curato di Nembro ha detto, ad un anno di distanza, che gli abitanti hanno imparato da tanto dolore ma soprattutto da mille esempi di solidarietà l’importanza di sentirsi comunità.

Nembro è un esempio di resistenza e di coraggio, di forza di volontà, di luce per tutti noi. Abbiamo perso molto in questo lungo anno e non tutti hanno sofferto allo stesso modo. Da questo triste periodo però dovremmo cercare di imparare qualcosa, ricordando che non siamo un’isola, che abbiamo bisogno degli altri nei momenti belli ma soprattutto in quelli brutti e, se nessuno ci ha teso una mano e si è allontanato nelle situazioni difficili, invece di provare rancore possiamo cercare di imparare. Il Covid ha accentuato le differenze e ha aumentato in maniera esponenziale il vittimismo. Se uno sta male o ha un problema, c’è sempre pronto un altro che gli ricorda che lui sta peggio e quindi non ha diritto di esprimere il suo disappunto e la sua amarezza. Sì è diventato più suscettibili e meno empatici.

Cerchiamo di ricordarci però che possiamo reagire non con la rabbia ma facendo qualcosa di buono, tirando fuori l’energia per costruire, impegnando un po’ di tempo nel volontariato, creando occasioni di incontro e di crescita soprattutto per i bambini, i giovani e gli anziani, quelli che hanno patito maggiormente le restrizioni di questa pandemia.

Non diamola vinta al virus, non permettiamogli di far uscire il peggio di noi, anche se siamo giustamente amareggiati e stanchi. Abbiamo subito perdite terribili e fatto enormi sacrifici, consapevoli che ne dovremo fare ancora tanti. Ma il virus rischia di anestetizzarci, la paura può finire per bloccare la nostra voglia di vivere, di stare insieme e trovare obiettivi comuni. Dobbiamo tornare a vedere gli altri non come un pericolo ma come una opportunità.

Quest’anno di Covid ci ha resi consapevoli che la socialità è essenziale per la nostra vita. Cerchiamo perciò di fare uno sforzo per uscire da questo periodo con la voglia di condividere e di unire, di prenderci cura degli altri, soprattutto dei più fragili, di allargare orizzonti, vedere davvero le persone.

Nata a Verona nel 1977, si è diplomata al liceo classico e ha conseguito la laurea in Lettere presso l'Università di Verona. Sposata, con due figli, insegna Lettere presso il Liceo Medi di Villafranca. Lettrice appassionata, coordina il Gruppo Lettura della Biblioteca di Sona.