Gianluigi Tinelli di Palazzolo e Marco Tortella di Bussolengo. In comune hanno tre cose: sono nati entrambi nel 1967, due figli uno due figlie l’altro, sono musicisti che suonano nel corpo bandistico del loro Comune. Anzi, ne hanno un’altra: hanno portato e portano tutt’ora sul capo un cappello con la penna. Sono entrambi degli Alpini.
Gianluigi di professione fa il geometra, mentre Marco lavora in una azienda di marmi con il ruolo di manutentore degli impianti e delle apparecchiature.
“La mia passione per la musica – racconta Marco – nasce come emulazione di mio nonno, Gianni Bòn, che nel periodo post bellico riprese in mano la banda di Bussolengo dandole una seconda vita. Faceva praticamente tutto: il Presidente, il Maestro e il suonatore di vari strumenti. Purché la banda continuasse ad esistere e a suonare trasformò la cucina di casa sua in una scuola di musica”. Erano tempi in cui servivano figure di spessore per far ripartire una nazione intera. E il nonno di Marco sicuramente lo era.
“A 13 anni sono stato letteralmente tirato dentro la banda dai figli di Gianni, i miei zii, e da alcuni amici di famiglia. Erano tutti musicisti allievi del nonno – ricorda con un filo di emozione Marco -. Agli inizi tentai l’avventura con il clarinetto, ma non era uno strumento per me. Per emulazione mi orientai allora sullo stesso strumento che suonava mi zio Francesco Tortella, che era il baritono. Tornato a scuola il buon vecchio maestro Mormille mi disse: lascia perdere il baritono, la tua bocca è da basso. È lo strumento adatto a te. Preoccupato gli chiesi: ma come si suona? Prendilo in mano e soffiaci dentro fu la risposta del maestro. Da lì iniziò la mia avventura con il basso tuba”.
Passione che ebbe quindi inizio da adolescente e che Marco continuò nel tempo fino al momento della partenza per la naja. “Ero del III scaglione 1986 e dalla quiete di Bussolengo fui catapultato alla caserma 29 Ottobre 1917 di Codroipo, in provincia di Udine, per il CAR. Negli Alpini. Non la presi bene: ero un ragazzo che era alla prima esperienza di vita al di fuori della famiglia e delle mura domestiche. Un disagio totale – racconta Marco –. Ma la musica arrivò in mio soccorso: ad ogni reclutamento venivano cercate tra le reclute persone che sapessero suonare, in modo da poterle destinare alla Fanfara della Brigata Julia, di stanza alla Caserma Di Prampero a Udine. Se passavano le selezioni”.
“Mentre i miei frà marciavano con il fucile – prosegue Marco – io marciavo con la trapella, la picozza utilizzata nei giuramenti perché avevo l’orecchio musicale. Al giorno della selezione arrivai davanti alla 59esima compagnia e vi trovai almeno 150 persone. Parlando con alcuni di loro mi sentivo dire: io sono sicuro di andare in Brigata perché mio zio è stato maestro nella fanfara, io ho un parente maresciallo, io sono di Udine, io sono raccomandato dal sindaco del mio paese, ecc, ecc. Io quindi ero spacciato – ride fragorosamente Marco –. E invece sono sicuro – dice Gianluigi, inserendosi nella discussione – che ti è andata esattamente come a me: poiché suonavi uno strumento che in pochi sapevano suonare cioè il basso tuba, non c’erano raccomandazioni di sorta più potenti del basso tuba. E sei stato scelto in forma plebiscitaria! Basso tuba significava autostrada a nove corsie per la Fanfara della Brigata Julia!”. “Proprio così!”, conferma ridendo Marco.
“Con l’arrivo a Udine ebbe inizio l’avventura dei viaggi in giro per l’Italia per giuramenti e eventi di ogni genere. Ore e ore di pullman per gli spostamenti. Abbiamo suonato anche in Rai a Domenica In, un momento che ricordo con molto piacere. Il ragazzino spaurito, grazie alla musica, iniziò a spiccare il volo nella vita”, racconta Marco.
“Non so come sia andata a te – lo imbecca Gianluigi – ma data carenza di suonatori di tuba e tra imboscati la cui attitudine al suono si limitava al trasporto degli strumenti o che facevano finta di suonare – ridono entrambi ricordandolo – a man mano che le persone si congedavano a fine naja, da una formazione di 5/6 elementi, ti trovavi da solo a soffiare nello strumento come un disperato per tenere alta la bandiera dei basso tuba!”.
“Anche la mia storia musicale inizia precocemente a 14 anni – ricorda Gianluigi – alle medie mi piaceva suonare il flauto. Era il 1981. Nel 1982 ero già nella Banda di Sona, grazie anche ad un amico che già vi suonava. All’arrivo mi accolse Fabrizio Olioso: cosa vuoi suonare? Mi chiese. Il flauto dolce rispondo io. Bene, mi disse lui. Prendi e studiati questa musica, chiavi di basso!”. Apprendimento rapido il cui successo è basato sulla voglia di imparare che uno ha. Metodo didattico valido per ogni situazione: mettici del tuo, io ti seguo e ti aiuto a crescere!
“Dopo pochi mesi – ricorda Gianluigi – Fabrizio mi arriva con il trombone. Mamma mia: cos’è quella roba lì esclamai! Ma tant’è iniziai ad imparare a suonarlo. Dopo un paio d’anni un basso tuba era rimasto libero e il maestro Damoli mi disse: ‘Gianluigi, direi che tu potresti suonare quello strumento’. Più che un dovresti era un SUONI, punto. Avevo 15 anni”.
Arriva poi anche per lui la cartolina verde della chiamata alle armi. Rigorosamente Codroipo un anno dopo preciso rispetto a Marco, nel III scaglione 1987. “Praticamente ho portato il congedo a Marco – ricorda Gianluigi – per cui non avemmo modo di conoscerci sotto naja”.
“Quando partii per militare – prosegue Gianluigi – avevo qualche certezza in più rispetto a Marco. Mi aveva preceduto in Fanfara Julia il mio compaesano Ezio Facincani che mi disse: ‘stai sereno, non c’è raccomandato che tenga, nessuno scavalcherà le tue attitudini musicali. Sei un basso tuba, Udine e la caserma Di Prampero saranno la tua casa per un anno! C’è solo una persona di Bussolengo che sa suonare la tuba e si congeda. Quindi vai sereno!'”. “Quella persona ero io!”, esclama ridendo Marco. “Quando arrivai a Udine chiesi al mio maresciallo: mi date un libretto delle parti? – riprende Gianluigi –.Il maresciallo me lo consegnò e sopra, in caratteri cubitali, c’era il nome del suo precedente possessore: Marco Tortella. Proseguii, come Marco, il mio anno di naja in Brigata, vivendo esperienze umane e di fratellanza alpina che mi hanno arricchito”.
I due ebbero poi rade occasioni di rivedersi una volta congedati. Sporadiche apparizioni in qualche evento congiunto tra i corpi bandistici di Sona e di Bussolengo ma senza in realtà riconoscersi l’uno con l’altro. Fino ai giorni nostri, alla recente adunata di Udine, in occasione del ritrovo dei Veci della Fanfara Julia che raccoglie tutti i congedati che vi hanno suonato.
Vi suonano ancora centinaia di persone, con uno zoccolo duro di Friulani che costituisce l’ossatura del gruppo. “A tavola ho aperto delle bottiglie di vino che avevo portato da casa offrendo un gotto un po’ a tutti – racconta Gianluigi –. Nel tavolo a fianco uno dei commilitoni che non conoscevo mi dice: buono questo vino, da dove viene? Dalla zona del Lago di Garda dove abito rispondo io. Sono anch’io di quelle parti risponde lui, sono di Bussolengo. Ma scusa, gli chiedo ma come ti chiami? Marco Tortella mi risponde lui. E giù a ridere!”.
Concordiamo tutti assieme che l’adunata di Udine dello scorso 14 maggio è stato un momento di splendida fratellanza Alpina e altrettanto splendida fusione emotiva ed affettiva con la città di Udine e con i Friulani. Il brutto tempo è stato un fattore di disturbo indubbiamente, sconfitto però dalla partecipazione imponente. “Confesso – mi dice Marco – che all’arrivo in sfilata in piazzale Primo Maggio l’accoglienza della folla mi ha profondamente emozionato. Facevo fatica a suonare con il groppo in gola”.

“Il pomeriggio del sabato – mi raccontano assieme – ci siamo trovati con la Fanfara in arme della Julia presso la caserma Spaccamela, un tempo caserma della fanteria e ora sede della Fanfara della Brigata. Li c’è stato il momento della commemorazione dei caduti, la deposizione della corona e poi spazio a alcune suonate tutti assieme, con degna conclusione con l’inno di Mameli. Un momento indimenticabile! Un altro momento indimenticabile è stato durante la sfilata – concludono – quando siamo arrivati in prossimità della tribuna della autorità e poco prima ci siamo fermati. Da un lato è uscita la Fanfara in armi che si è disposta su quattro file, lasciando lo spazio libero affinché i Veci della Fanfara Julia potessero affiancarsi e fondersi con loro. Abbiamo suonato assieme l’inno degli Alpini Trentatrè e poi lo speaker ha nominato tutti i nostri veci andati avanti. Finito il momento solenne la Fanfara in arme ci ha concesso il passo seguendoci poi fino alla fine. Da pelle d’oca!”.
Nemmeno a dirlo: il ritrovo a Vicenza nel 2024 per la 95esima Adunata Nazionale degli Alpini è cosa assodata. Ne sono certo, questa volta i due veci della Fanfara della brigata Julia faranno il viaggio assieme.
Questa è una delle tante storie di giovani italiani che, nell’anno di naja, hanno vissuto un momento importante nella loro crescita di uomini. Capiamoci, la naja non ha lasciato qualcosa da ricordare in tutti, per molti è stato un anno di vera sofferenza e non amano ricordarla. Ma ci sono anche ricordi indelebili in chi ha avuto l’opportunità di sviluppare delle passioni, delle attitudini, di incontrare amici che in molti casi lo rimarranno per tutta la vita, di condividere momenti di spensieratezza che, a detta di molti “veci”, non sarebbero mai più ritornati nella loro vita. Io ho avuto la fortuna di essere tra questi veci alpini. La naja mi ha aperto le porte della vita, ne ho spesso uno struggente ricordo.