La vera bomba mediatica di questi giorni riguardo alla musica, non è l’uscita del nuovo disco degli U2 (peraltro frutto di riarrangiamento di brani già editi), il riconoscimento mondiale sempre piu marcato dei Maneskin che canteranno in ogni angolo del mondo, o l’unione di Elisa, Jovanotti e Giuliano Sangiorgi per i vent’anni dei Negramaro
I riflettori sono puntati sul mancato raggiungimento dell’accordo economico tra Meta, società che detiene i social newtwork Instagram e Facebook, e la Siae, Società Italiana Autori ed Editori, che ha portato all’attuale eventuale decisione di Meta (scriviamo eventuale perché riteniamo sarà praticamente impossibile non tornare sui propri passi) di silenziare le storie e i reel di Instagram e di rimuovere i contenuti inseriti su Facebook contenenti audio di canzoni italiane.
Ritengo che l’informazione generalmente diffusa e percepita su questo argomento sia poco chiara, per cui scriverne in modo per quanto possibile dettagliato, possa aiutarci a capire tutti insieme i termini della questione
Dunque, partiamo da un presupposto: i dati di corresponsione in Italia dei diritti d’autore nel triennio 2018-2020 hanno sancito che oramai il 50 per cento della corresponsione di royalties agli aventi diritto, proviene dello streaming e dalla circolazione sul web della canzoni. In altre parole, la musica che circola attraverso i social è diventata (e lo diventerà ancora di più) preponderante per incrementare i fatturati derivanti dalla musica. Lo sappiamo, i dischi come supporto fisico sono destinati alla rapida estinzione per cui la macchina musicale deve trarre profitti da altre fonti.
Allora cosa è successo in poche parole? Che lo sfruttamento economico che prevede la spartizione dei diritti economici tra Meta (quindi Facebook e Instagram) e Siae ha visto da parte della società di Zuckerberg una richiesta di deciso calo di distribuzione di margini verso gli organismi che rappresentato autori ed editori (uso il plurale perché si parla sempre di Siae ma nelle stesse condizioni c’é anche la concorrente Soundreff).
In parole ancora più semplici: Meta vuole la fetta della torta più grande, giocando sul fatto che i dati sempre piu esigui di vendite fisiche portano gli introiti delle società autorali sempre più condizionate dai colossi social.
Quindi Meta dice “le tue entrate dipendono soprattutto da noi? Allora devi chiederci meno altrimenti noi facciamo Facebook e Instagram senza l’utilizzo di audio”. E’ evidente che questo potrebbe comportare anche l’abbandono di utenti dalle due piattaforme, ma quando i denari sono moneta pesante nelle casse di società di elevato standing come queste, vale la pena di tentare anche l’azzardo pur di alimentare il business.
Ho voluto chiarire gli estremi perché esiste una sorta di idea generale, anzi generata, di una stortura della focalizzazione delle conseguenze del braccio di ferro Meta-Siae. Molti mezzi di comunicazione raccontano scandalizzati che “il popolo e’ ferito per libertà lesa” e che si va verso la frustrazione inaffrontabile subita dall’utente che, poveretto, nel postare la quotidiana storia Instagram del suo gattino, si sentirà violentemente privato della libertà di poter postare la foto senza accompagnarlo con La Gatta di Gino Paoli, o Quarantaquattro gatti che vinse lo Zecchino D’oro nel 1968.
Per carità, posso capire che sia una possibilità carina di creazione on-line che toglierebbe un po’ di divertimento, ma vogliamo raccontarci che l’Italia cade in ginocchio perché verranno silenziati gli audio? Diciamo che, nonostante l’evidente assuefazione a portarsi il telefonino anche quando si va in bagno, all’azzeramento totale della capacità cognitiva ancora non ci siamo arrivati.
Anche perché, giusto per chiarire, in questi giorni di tal frattura, può beneficiarne “Tik Tok” che non fa parte dei social di Meta, ricordando che è proprio la diffusione e l’interscambio dei file pubblicati che fa crescere il numero di utenti e, conseguentemente, gli introiti di chi gestisce le piattaforme.
No ragazzi, il problema che affligge il presidente Siae Mogol e i suoi collaboratori, non è l’impossibiilta’ di fare delle stories con la Musica – specifichiamo questo aspetto perché per esempio i video su YouTube e i brani su Spotify sono fruibili come sempre -, ma la prospettiva di un brusco calo delle entrate che potrebbe diventare deleterio sopratutto per gli autori meno famosi ed emergenti.
Esempio: se il nuovo brano di Laura Pausini non è pubblicabile sui suoi social, ma fruibile su YouTube, i followers correranno comunque a vederlo, cambia poco. Ma se Massimo Bolzonella pubblica un singolo e non può metterlo su Facebook ed Instagram, non essendo famoso (perlomeno come cantante ah ah…) gli utenti non correranno a cercarlo e non lo condivideranno. Perciò le possibilità di Bolzonella di veicolare la sua musica saranno pari a zero.
Con le cifre quasi irrisorie e le enormi difficoltà per un artista emergente di raggiungere certi numeri di ascolti, lo streaming online non sembra essere di aiuto in termini economici. Ottenere ad esempio un milione di ascolti su Spotify diventa pressoché impossibile senza prima raggiungere una certa notorietà e fama a livello nazionale, il tutto per poi vedersi al massimo riconosciuti solo una parte dei compensi, sui quali è obbligatorio pagare le tasse.
Una puntualizzazione va fatta. Da sempre è opinione comune di molti iscritti che la Siae, fino a poco tempo fa organo di monopolio economico dei diritti audiofonografici, sia una sorta di “Casa Madre collocatrice” che, gestendo le entrate alla fonte, possa anche avere un’area di privilegio per gestire nell’area direttiva le ritenute pre-distributive degli introiti.
Se qualcuno di voi sta pensando giustamente “hai scritto che è opinione comune, non sono fatti inequivocabilmente indiscutibili”, vorrei fare presente che l’altra società di tutela dei diritti degli autori, la già citata Soundreff è nata proprio dalla protesta di artisti che si sono ribellati al monopolio Siae.
Di Soundreff fanno parte, tra gli altri: Fedez, Sfera Ebbasta, Marco Masini, Enrico Ruggeri, Boombadash, Gigi D’Alessio, Laura Pausini, Pooh, Fabrizio Moro, Giovanni Allevi, J Ax e tantissimi altri. Fatevi una domanda e datevi una risposta.
Facciamo una veloce rassegna per capire i guadagni Siae di un artista? Ecco quanto dichiarato da Siae e riscontrabile dal sito della redazione giuridica specializzata www.brocardi.it.
Dunque, per la vendita di un brano singolo tramite piattaforma a pagamento, autore e cantante guadagnano circa da 1.17 a 1.60 euro. Per l’ascolto di un brano su Spotify il guadagno è di 0,0043 dollari a singolo ascolto. Quindi mille download di un brano fruttano 4,30 dollari su Spotify. Remunera meglio Apple Music che riconosce 7,35 dollari americani. Capite bene che un milione di streaming porta un incasso di 4.300 dollari su Spotify e 7.350 su Apple Music.
Si consideri che agli autori vengono ovviamente riconosciuti diritti anche per l’utilizzo televisivo dei loro brani, nonché nelle colonne sonore dei film, stimate solitamente intorno a 100mila euro anche se utilizzati come semplice sottofondo.
Naturalmente esiste una piccola percentuale differenziata per cantanti e autori sul monte royalties che Meta corrisponde (o corrispondeva) a Siae e Soundreef: e’evidente che per un autore emergente iscritto alla Siae ne venga fuori appena la quota di iscrizione annuale, per cui perdere la possibilità di veicolare sui social le proprie produzioni, significa chiudere mari di possibilità comunicative assolutamente necessarie. Come scrivevamo in precedente, ecco la vera pesante conseguenza pericolosa di questa diatriba. Naturalmente molti artisti che vivono di musica rischiano la precarietà economica dovendo rinunciare alla retrocessione dei diritti.
Pensate al rilancio della neomelodica Povero Gabbiano di Gianni Celeste, canzone di 35 anni fa, diventata poi virale partendo da Instagram e poi veicolata da per oltre un milione di download su Spotify, e inserito nei video da oltre 70 mila di persone che l’hanno utilizzato per stories proprie.
Chi sarebbe andato a scoprirla su YouTube in autonomia senza il corollario social che l’ha resa celebre? Io azzerderei quasi certamente nessuno. E’ per questo che senza una tutela economica del copyright delle canzoni per l’utilizzo nelle piattaforme, i poveri gabbiani diventerebbero davvero moltissimi.
E, per chiudere con un battuta riportando quanto scritto dal suo autore su un post di questi giorni dallo stesso autore, Ermal “Meta” sarebbe costretto a cambiare giocoforza cognome…