“…celesti giaggioli
sono i fiori più belli della terra,
vere orchidee dei poveri
che nemmeno li guardano
e servono soltanto con le foglie
alle verdi battaglie dei bambini…”.
Corrado Govoni
Tra la moltitudine di fiori primaverili che si incontrano nei prati e lungo i bordi delle strade di campagna, difficilmente si rimane insensibili all’antica bellezza delle iris. Tipiche della flora veneta, la loro fioritura, che si intensifica soprattutto tra aprile e maggio, si ammira fino all’inizio dell’estate. Conosciute anche come giaggioli, giadoi, ireos, iride o riossi, le iris sfoggiano una straordinaria gamma di colori e forme che dal blu-viola virano agli ibridi screziati di bianco, rosa, lillà, giallo, arancio, azzurro, nero e bronzo.
Pianta particolarmente apprezzata dagli antichi popoli mediterranei (iris gladiolus per i romani, in riferimento alle foglie spadiformi) che ne apprezzavano le proprietà aromatizzanti, rinfrescanti, espettoranti e antisettiche, il filosofo e botanico Teofrasto la descriveva “come un fiore che i greci chiamavano iris per i suoi petali multicolori associati a Iride, messaggera degli dei e personificazione dell’arcobaleno”.
Il genere Iris, che appartiene alla famiglia delle Iridacee, comprende numerose specie nelle quali rientra gran parte delle varietà presenti nel territorio, dove crescono spontaneamente e si coltivano a scopo ornamentale. Oltre che per la bellezza delle fioriture, la loro coltura si è diffusa (soprattutto in Toscana) per la produzione dell’omonima fragranza che ha contribuito alla storia della profumeria.
Attualmente l’essenza migliore si ricava da Iris pallida, originaria della costa dalmata. Anche sulle colline della Val Tramigna fino a pochi decenni fa, si coltivava la sua subspecie cengialti (giaggiòlo del Monte Cengio o giaggiolo illirico) per le stesse finalità, una tradizione che si ricorda ogni anno a Campiano durante la “festa delle iris”.
Ma se i delicati fiori sono pressoché inodore, o lievemente profumati, dove si cela la pregiata essenza dell’iris se non nel grembo della terra? Custodita nelle radici, il suo aroma legnoso è forte e penetrante, con un certo sentore di amaro.
Gli antichi profumieri essiccavano i rizomi per un periodo variabile dai tre ai sei anni, affinché si potesse intensificare e addolcire. Una volta triturati, ne estraevano la fragranza tramite un lungo processo di macerazione in olio “a freddo”. L’oleolito prodotto era impiegato nella creazione dell’irinum dell’Illirico, una “monoessenza” molto amata (e cara), che rientrava a pieno titolo nella categoria nobile unguentum.
Nel XVIII secolo dal rizoma essiccato dell’iris si ricavavano i grani per confezionare i rosari e per profumare la biancheria, mentre con la sua polvere impalpabile si produceva la cipria destinata alle acconciature. Anche oggi, l’essenza è ampiamente utilizzata nelle preparazioni cosmetiche e, naturalmente, nella profumeria di nicchia.
Il lungo e laborioso processo di estrazione e la resa bassissima, colloca l’assoluta di iris tra le essenze più care del mercato e, come l’antico irinum, è una “sostanza nobile” della palette olfattiva. Caratterizzata da un dolce odore floreale, legnoso, il cui aroma è affine ad un opulento accordo verde di violetta dall’incredibile persistenza, le note terrose dalle sfaccettature poudré (cipriate), conferiscono all’iris un’anima senza tempo, raffinato profumo d’arcobaleno che unisce la terra al cielo.
Nell’immagine, Iris, Vincent Van Gogh, 1889.