L’incerta storia delle Beccarie. La più notabile corte di Lugagnano, tra macelli e filande

È senz’altro la corte di dimensioni più ragguardevoli nelle immediate vicinanze di Lugagnano, anzi ormai è stata da tempo inglobata dalla crescita del paese ed è anche quella con l’aspetto più razionale.

Ci si aspetterebbe dunque di trovare una buona quantità di documenti ed invece, per ricostruirne le vicende, bisogna affidarsi quasi esclusivamente alle testimonianze orali, riferite per lo più a questo ultimo secolo.

Di sicuro c’è un’origine settecentesca, con la nobile famiglia dei Personi, allora proprietaria della corte Messedaglia e dell’ampia campagna di pertinenza, che decide di creare un nuovo insediamento sulle sue terre, però spostato verso la strada che conduce da Verona a Lugagnano.

Una mappa del 1750, infatti, indica genericamente come “case del nob. sig. Personi” una schiera di edifici che devono avere costituito il primo nucleo delle future Beccarie e difatti il lato sud della corte, rivolto verso la “corte madre” della Messedaglia, è quello che presenta i fabbricati più antichi.

Contrariamente al suo aspetto uniforme (che, peraltro, visto in pianta si dimostra un quadrato meno regolare di quel che si può percepire costeggiandolo a piedi o in auto), la corte ha dunque raggiunto il suo aspetto attuale in momenti successivi. A quel primo gruppo di edifici si sono aggiunti, infatti, i lati est ed ovest, con ogni probabilità fra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento.

La nicchia posta sull’angolo nord-est di Corte Beccarie. Sopra, l’ingresso di Corte Beccarie nel 1984. E’ ancora visibile la decorazione ad affresco che verrà distrutta da lì a poco.

È questo il momento in cui le Beccarie acquistano rilievo proprio, venendo separate per la prima volta dall’unica proprietà che le accorpava alla corte Messedaglia. I nuovi padroni, la famiglia Lucchini, sembrano comunque aver conservato per tutta la prima metà dell’Ottocento le caratteristiche originarie dei fabbricati, che non presentano ancora abitazioni ma solo stalle. Al riguardo si può notare che tutto l’insieme degli edifici, a formare una grossa “U”, risulta in origine comunicante, tanto che i soprastanti granai rimasero tali fino agli inizi del Novecento.

Solo fra il 1848 ed il 1856 i Lucchini costruiscono una schiera di abitazioni a nord, lungo la strada per Lugagnano, saldando così i lati della corte, che assume in questo modo la sua struttura definitiva. Il significato del nome dato alla corte non è del tutto chiaro: il Catasto Austriaco in quegli anni indica la località al singolare, come “Beccaria”, termine che si ritrova ad indicare il macello, la macelleria (da becar, macellaio). Effettivamente, le dimensioni delle stalle potrebbero giustificare anche l’esistenza di un macello. Legare a questo l’origine del nome resta dunque l’ipotesi più probabile, ricordando però che mancano ancora prove certe dell’esistenza nella corte di una simile attività.

La Beccaria, passata da un Lucchini al cognato Tommasi già nei primi anni dell’Unificazione d’Italia, varia comunque la sua denominazione in plurale almeno dal 1897. Nell’ottobre di quell’anno, infatti, a Lugagnano si festeggia il primo secolo di vita della Parrocchia e, al contempo, la fondazione della locale Società operaia cattolica. Le cronache riportano che i partecipanti si erano ritrovati alle “Beccarie”, dove fin dal mattino “…continuavano ad arrivare carrozze, pedoni, comitive di soci delle varie società…” per formare il corteo che, al suo centro, annoverava i settantanove fondatori del nuovo sodalizio di Lugagnano.

Terminata la prima parte del programma, con la Messa ed i discorsi ufficiali, “… si ricompose il corteo e si ritornò alle Beccherie. In un vasto porticato tutto adornato di bandieruole di carta e di cartellini portanti scritto: W la società -W la parrochia – W il Papa, erano disposte le tavole per il banchetto. I coperti furono cento cinquanta…”.

Negli stessi anni arrivano nella corte alcune famiglie, quali i Rudari, i Cordioli ed i Vallicella, per lavorare come boari della famiglia Tommasi di Sandrà. Inizia così il progressivo cambio di destinazione degli edifici, che vede le stalle tramezzate e ristrutturate ad uso abitativo.

Sempre a cavallo fra Ottocento e Novecento, nell’ala ovest, sulla destra dell’ingresso, venne realizzata una filanda, alimentata dalla bachicoltura che, fin dal Cinquecento si era diffusa rapidamente nelle nostre terre, al punto che la seta divenne per oltre due secoli la principale entrata economica del commercio veronese. L’opificio occupava stagionalmente anche un centinaio di donne di Lugagnano e dei paesi limitrofi.

La lavorazione delle galète avveniva in grossi stanzoni al primo piano. Anche molto tempo dopo che questa attività venne abbandonata, erano visibili le rotaie dei carrelli che trasportavano i bozzoli ai locali di filatura. Fino agli scorsi Anni Venti, rimane unica proprietà della famiglia Tommasi ed i lavorènti, per presentare il loro rendiconto, devono periodicamente recarsi a Sandrà, dove risiedono i padroni che, da parte loro, si portano in visita alle Beccarie in via del tutto eccezionale.

Morto il padre, nel 1925 i fratelli Tommasi e la loro madre decidono di frazionare e vendere la proprietà, costituita da corte e campagna e fra gli acquirenti figurano diversi ex dipendenti. Ma anche dopo queste spartizioni, ancora per molti anni le Beccarie restano un mondo a sè: l’unico ingresso era costituito da un portone sotto il volto, dove pure esistevano due panche di pietra e dei grossi anelli per legarvi i cavalli dei visitatori. La sera il portone veniva chiuso col catenaccio e la corte diventava cosi inaccessibile anche agli eventuali ritardatari, visto che nessuna abitazione comunicava con l’esterno.

All’interno le esigenze idriche degli abitanti venivano soddisfatte da un pozzo, a sinistra dell’ingresso, profondo 45 metri, che venne distrutto dall’arrivo del progresso, attorno agli Anni Sessanta. Vicino al pozzo c’erano tre abbeveratoi per le bestie, che potevano recarvisi al mattino, quando venivano lasciate libere all’interno della corte. Per le vacche, in realtà, era stata predisposta fin dall’origine una vasca in alternativa al pozzo: costruita in mattoni e con il fondo a volta, era situata verso l’angolo sud est e raccoglieva l’acqua piovana, che da lì veniva pescata e travasata nel vicino abbeveratoio. Non venne demolita, ma interrata molti anni or sono, peri timore che l’acqua stagnante potesse diffondere il tifo.

La campagna intorno, non ancora irrigata, era utilizzata quasi solo per far fieno, con lunghi filari di gelsi, ma non mancava il frumento che, dopo il taglio, veniva steso sull’ampia aia (el sèlese, o sèdese) al centro della corte. Era il momento clou della stagione: il raccolto decideva il futuro della famiglia. Quindi tutta la famiglia, nessuno escluso, vi partecipava: i ragazzini collaboravano al vaglio del grano roteando el versel, seppure a rischio di frequenti dolorose contusioni (quando non anche fratture), mentre i più piccoli si adoperavano per tenere lontane le voraci galline.

Come per il pozzo, anche per l’imponente aia fu fatale l’arrivo del progresso, con relativa demolizione. Da ricordare, infine, che il locale del pozzo, una volta distrutto lo stesso, è rimasto di uso comune ed è stato utilizzato per riunioni e lezioni inerenti l’agricoltura. Al suo interno sono stati ancora a lungo conservati alcuni banchi provenienti dalle vecchie scuole elementari di Lugagnano, costruite nei primi anni dello scorso secolo e demolite nel 1967 per lasciare il posto all’edificio del Banco Popolare, sul crocevia del paese.

La storia delle Beccarie incrocia anche quella, dolorosa, della Prima Guerra mondiale, diventando campo di prigionia per gli Austroungarici. Ma di questo ci sarà modo di parlare in un altro capitolo di questa storia.

Nato in via 26 aprile a Lugagnano, il 21 maggio 1961. Da allora quasi ciecamente legato a Lugagnano. Felicemente sposato con Stefania Boscaini, è padre di Ester, Francesco, Diletta e Matilde. Partecipa da sempre a varie realtà di volontariato. E' autore di Fregole de Storia, monografia su Lugagnano, edita nel 1997 con la collaborazione di Gianluigi Mazzi.