Dal sito della Camera di Commercio di Verona è possibile consultare i dati economico-statistici della città e della provincia. Con qualche numero cerchiamo di spiegare come il nostro Comune si colloca all’interno del variegato panorama economico del territorio in un contesto storico sicuramente non semplice. I dati si riferiscono al 30 giugno 2017.
Nonostante ci sia un incremento totale medio della popolazione residente in tutti i Comuni veronesi di un valore pari allo 0,1% (in valore assoluto significa quasi 700 abitanti) dal 2016 al 2017, il nostro Comune assiste ad un calo demografico del 0,6%, ovvero 110 concittadini in meno rispetto al 2016.
Tra il 2016 e il 2017 il numero delle imprese presenti a Verona e provincia è rimasto sostanzialmente invariato dal 2016 al 2017; a Sona, invece, il numero delle imprese registrate è calato complessivamente dello 0,9%, registrando in particolare variazioni negative nelle forme di società di persone (-2,7%) ed imprese individuali (-1,4%), contro un aumento delle società di capitali (+1,4%). Tradotto in valori assoluti: dal 2016 al 2017 il numero di imprese registrate è diminuito di 16 unità, su un totale di 1.775.
A questo punto si può procedere con un’analisi di tipo qualitativo: il 90% delle 1.775 imprese registrate nel nostro Comune ha uno status attivo, a differenza di quelle nel Comune di Verona che sono l’85% del totale. Di conseguenza, a Verona c’è un maggior percentuale di imprese inattive e in scioglimento/liquidazione.
Soprattutto a causa della posizione geografica del nostro Comune, il settore che raggruppa il maggior numero di realtà a Sona è quello dei servizi, in cui vi rientra il 22% delle imprese registrate, seguito dal commercio (21%), costruzioni (12%) e agricoltura (18%). A Verona, invece, le imprese di servizi sono il 36% del totale, mentre nel settore agricolo rientra solo il 5% delle imprese.
Interessante notare il settore di carattere turistico, ovvero alloggio e ristorazione: tra Verona e Sona vi è uno scostamento di soli 3 punti percentuali, rispettivamente 8% e 5% del totale delle imprese. Se prendiamo, infatti, in considerazione il Comune di Valeggio che ha un’economia simile alla nostra, si nota che quest’ultimo riesce ad essere più attrattivo nel settore turistico, in quanto, avendo un numero di abitanti inferiore di 2 mila rispetto a Sona, sul totale delle imprese registrate il 7% appartiene al settore dell’alloggio e ristorazione. Sona è pari al confinante Sommacampagna (dove le imprese di alloggio e ristorazioni sono il 5% del totale), ma dietro a Bussolengo (6%), Castelnuovo (7%) ed al già citato Valeggio.
Pur trattandosi di numeri con una relativa importanza statistica, confronti di questo tipo permettono di focalizzare un trend economico per il nostro Comune e condurre analisi non solo a livello quantitativo, ma anche qualitativo.
In sostanza possiamo asserire che a Sona l’economia è particolarmente diversificata: il settore agricolo è peculiare, poiché rappresenta una realtà economica statisticamente significativa. Il territorio del nostro Comune ha, inoltre, un potenziale dal punto di vista turistico, essendo numerosi i luoghi di interesse culturale, tra ville, corti rurali e chiese, risalenti prevalentemente al il XI secolo ed il XIX secolo. Teniamo conto che sono stati e continuano ad essere numerosi gli interventi dell’attuale amministrazione per potenziare questo aspetto.
È significativo constatare che il tasso di crescita del Pil della provincia di Verona (quindi l’incremento dei consumi, degli investimenti, della spesa pubblica e delle esportazioni al netto delle importazioni delle nostre imprese) è il risultato della crescita di tutti i Comuni.
Se ogni Comune avesse la consapevolezza di quale sia il suo potenziale e riuscisse ad adottare tutte le misure più efficienti ed efficaci per dare il massimo, ecco che il motore della crescita assumerebbe una maggiore evidenza.
L’analisi appena condotta è, tuttavia, parziale, perché occorre contestualizzarla all’interno del caso italiano ed europeo; ora, infatti, analizziamo il trend di crescita del Pil di tutte le province italiane ed europee in quattro stadi: 2000, 2005, 2010 e 2015.
Dal grafico realizzato da InfoData del Sole 24 Ore in base ai dati pubblicati recentemente da Eurostat emerge un quadro europeo molto eterogeneo: il colore blu-azzurro indica quelle province che superano in percentuale il tasso di crescita media del continente; il colore giallo-arancione, invece, quelle province che crescono ad un ritmo inferiore rispetto alla media europea.
Interessante notare come l’Italia settentrionale fosse stata all’inizio degli anni Duemila un passo più avanti rispetto al resto dell’Europa, e che le Regioni del centro della penisola avessero un tenore di vita almeno uguale a quello degli altri Paesi europei.
Focalizzandoci sempre sull’Italia, è evidente quanto la crisi del 2008 abbia accentuato le differenze tra Nord e Centro-Sud e quanto la nostra economica si sia ripresa (anzi, si stia riprendendo) con maggior lentezza rispetto alle altre. Nel particolare che ci interessa, la provincia di Verona rimane comunque nella “zona azzurra”, ma ha rallentato bruscamente (da 140% a 112%) rispetto alla media europea.
Leggiamo su Il Sole 24 Ore del 15 agosto: “Secondo calcoli dell’OCSE che arrivano fino al 2017, fra le cinque principali Nazioni del continente quanto a reddito pro capite solo la nostra resta ancora ampiamente sotto i valori pre-crisi: Francia, Regno Unito e (soprattutto) Germania dopo la caduta hanno fatto passi in avanti, la Spagna è praticamente tornata dov’era prima della recessione, mentre l’Italia ha ancora un buco da colmare e di dimensione tale per cui il reddito medio di chi ci vive risulta leggermente inferiore a quello del 1999.”
Chiaramente, stiamo conducendo un confronto tra tassi di crescita a livello provinciale servendoci della media europea, che, per definizione, tiene conto non solo della nostra velocità ma anche di quella degli altri. Da una parte, diversi Paesi, pur arretrando leggermente rispetto alla media, riescono sommariamente a tenere il passo; dall’altra, alcuni Paesi (soprattutto dell’Est, come Polonia e Repubblica Ceca), i cui livelli di reddito pro-capite erano inferiori rispetto al resto del continente, sono cresciuti molto, superando, talvolta, il reddito di alcune province italiane. Si vedano, come esempi, Praga e Varsavia.
Ma torniamo all’Italia. Per aumentare la competitività del Paese (quindi anche dei suoi enti comunali e provinciali) nel lungo periodo, occorrono urgentemente riforme strutturali in grado di incrementare i consumi e, soprattutto, gli investimenti. Queste riforme debbono riguardare soprattutto un drastico taglio delle tasse (soprattutto nel mercato del lavoro, ma non solo) e un’opportuna sburocratizzazione al fine di dare ossigeno alle piccole-medie imprese (PMI) del territorio. Queste riforme trovano senso se vengono promossi stimoli alla produttività, se il sistema giudiziario è reso più agile, se il sistema bancario è efficacemente ristrutturato affinché siano migliorate le procedure concorsuali per i crediti deteriorati.
Tuttavia, manovre di questo tipo vengono effettuate in un contesto di estrema delicatezza: in questi giorni l’Italia sta per essere valutata nuovamente sul merito creditizio, inevitabilmente collegato alle politiche economiche che intraprenderà il governo giallo-verde. Pertanto, manovre senza coperture certe o prospettive incontrovertibili possono comportare tensioni sui mercati (aumenta lo spread, aumentano i costi sul debito).
Se le principali agenzie di rating (Moody’s, Fitch e Standard & Poor’s) assegneranno all’Italia un rating “non investment grade”, quindi maggiormente speculativi (quindi “spazzatura”, per essere più diretti), saranno inevitabili le turbolenze sui mercati finanziari (sicuramente più incisive di qualche mese fa), e la competitività di cui sopra sarà ancora più difficile da ottenere, anche per il nostro Comune.