Le mammane abusive nel Comune di Sona a metà Ottocento

E’ noto che in passato le donne gravide partorivano in casa. I tempi della sicurezza garantita oggi dai reparti ospedalieri di ostetricia-ginecologia e dai loro staff specialistici erano ancora lontani.

L’assistenza era offerta da una figura professionale molto importante, l’ostetrica condotta. Si trattava di una professionista munita di diploma di abilitazione, che assisteva le partorienti recandosi al loro domicilio.

Veniva assunta dai Comuni mediante bando di concorso, ed assisteva le donne gratuitamente qualora fossero povere, a pagamento se benestanti. Si può immaginare quanto esse fossero popolari, in un’epoca in cui si mettevano al mondo molti figli. Erano chiamate anche levatrici o, semplicemente, “comari”.

Sembrerà impossibile, ma a metà dell’Ottocento, epoca in cui facevamo parte del Regno Lombardo Veneto sotto il dominio austriaco, nel Comune di Sona non vi era alcuna ostetrica!

Le donne che ne avevano bisogno erano costrette a chiamare le levatrici dai Comuni vicini: quelle di Sona e Lugagnano si rivolgevano a Sommacampagna, quelle di Palazzolo a Bussolengo, quelle di San Giorgio in Salici a Castelnuovo.

In questo contesto di scomodità e disservizio, andò a finire che le partorienti facevano venire in casa delle mammane illegali; sempre meglio di niente, avranno pensato. La loro attività illecita, tuttavia, non sfuggì ai nostri amministratori, che un giorno del giugno del 1857 convocarono in municipio tre persone, affinché rendessero conto del loro operato abusivo.

La prima a rispondere delle accuse fu una certa Domenica Marcolini di Mancalacqua, che ammise le sue responsabilità e dichiarò di impegnarsi a non ripetere mai più quanto aveva fatto. Dello stesso tono fu la dichiarazione dell’altra imputata, Rosa Zecchini di Lugagnano, che ebbe tuttavia l’ardire di ricordare quanto fosse stata utile la sua assistenza.

Sconcertanti, invece, le affermazioni di Angela Panterso di Palazzolo; disse di avere intrapreso tale attività da ormai dieci anni, su invito dei parroci del paese che si erano succeduti, e che i medici condotti ne erano a conoscenza!

Le tre donne furono obbligate a firmare un documento con il quale si impegnavano in futuro a non esercitare mai più illegalmente l’ostetricia. Esse apposero in fondo al foglio una croce ciascuna, perché analfabete; non solo, dunque, non possedevano un titolo di studio professionale, ma non erano neppure capaci di leggere e scrivere.

Si può immaginare quali rischi, anche gravi, per la salute avevano corso le partorienti e i nascituri sotto le mani di queste praticone; le quali, a ben considerare, pur avendo commesso un reato che avrebbe meritato conseguenze penali, se la cavarono con una tirata d’orecchi.

I nostri amministratori si decisero finalmente, in quel 1857, a risolvere il problema alla base: assumere un’ostetrica condotta. Dopo pubblicazione del bando, il concorso fu vinto da una certa Luigia Bronzo Alleardi. Le fu assegnata come sede il Bosco di Sona, località ritenuta strategica in quanto equidistante rispetto alle quattro frazioni.

Fu spedita, inoltre, al parroco di Palazzolo don Luigi Garzotti una lettera garbatamente allusiva da parte dell’amministrazione municipale, che “ha dovuto diffidare le mammane abusive che trovansi nel circondario comunale perché abbiano a desistere da ora in poi dall’ingerirsi in tale qualità. Egli è perciò che trova la scrivente di parteciparlo a Lei, perché ammonisca la popolazione che nel caso che avessero ad aver bisogno di esse, abbiano a chiamare la mammana condotta che trovasi in Sona, la quale presterà la sua assistenza con tutta la sollecitudine possibile”.

A considerare questa vicenda, molte erano state le persone che si erano comportate male: le tre donne citate; il prete e i dottori (se era vero quanto riferito dalla Panterso), che evidentemente ritennero l’abusivismo un male minore rispetto all’assenza totale di un servizio così importante; i politici, che per un periodo lasciarono il Comune di Sona senza ostetrica condotta.

Articolo scritto in collaborazione con Renato Salvetti

Nato a Verona nel 1956, lavora come medico di base. Dal 2003 è redattore del “Baco da seta”, su cui pubblica articoli che trattano quasi sempre di storia del nostro Comune. E’ presidente del “Gruppo di ricerca per lo studio della storia locale di Sona”, che fa parte della Biblioteca comunale di Sona.