La fisarmonica ha sempre goduto di grande popolarità; infatti il suono festoso, semplice e spensierato emesso da questo strumento fa comunicare il senso gioioso della vita; inoltre è facile da usare, non ingombrante e quindi facilmente trasportabile; adoperata spesso in sagre e feste folcloristiche, è capace di fare da contraltare alla musica costosa e d’elite, anche se non mancano quelli che la studiano al conservatorio.
A dire il vero oggi non è più di moda, ma in passato lo era stata, tanto che anche a Sona si volle istituire nel secolo scorso, nei primi anni Quaranta, una scuola per imparare a suonarla. All’insegnamento fu incaricato il maestro Giovanni, detto Palmarino, Tacconi (1893-1951) di Palazzolo, che per qualche anno era stato anche il direttore della banda comunale. Il signor Felice Melegari di Sona aveva fatto parte di quella orchestrina, e volentieri ha ricordato per il nostro giornale i bei tempi in cui suonava la “smonica”.
Quando ebbe inizio la vostra attività?
Nel 1940. Oltre a me, il gruppo era composto da altri sei ragazzi. A quell’epoca acquistare una fisarmonica poteva costituire una spesa non indifferente.
Come avete potuto procurarvi gli strumenti?
Ce li mise a disposizione il Comune di Sona. Anche per le lezioni non dovevamo sborsare una lira, era tutto a carico dell’amministrazione comunale.
Dove vi riunivate per le prove?
Ci trovavamo due volte alla settimana nella Casa del Fascio di Sona, edificio che negli anni ‘60 fu demolito e sostituito dall’odierna farmacia.
Quali brani eseguivate?
Avevamo imparato a suonare alcuni fra i motivi più popolari di allora, come “Vincere”, “Giovinezza”, “La canzone dei sommergibili”, “Santa Lucia”
Avete fatto qualche concerto anche fuori di Sona?
Una volta avevamo suonato persino nell’arena di Verona, in occasione di una festa per la Leva Fascista. Un’altra volta siamo andati in un teatro della G.I.L. (“gioventù italiana del littorio”), sempre in città. Ricordo anche una nostra uscita a Boscochiesanuova, dove ci siamo esibiti per i figli dei soldati che erano al fronte.
Che ricordo ha del maestro Palmarino Tacconi?
Insegnava molto bene, inoltre era un ottimo suonatore di fisarmonica e di pianoforte. Era originario di Palazzolo, ma a quell’epoca risiedeva a Sona nella corte dei Vantini (oggi Fedrigo), una famiglia che lo ospitava perché istruisse nella musica il loro figlio Guerrino, uno che continuò a suonare anche dopo che la nostra scuola fu chiusa.
Già, perché fu chiusa?
Non ho mai capito bene perché. Nel 1942 le fisarmoniche ci furono ritirate, e nessuno ha più saputo che fine abbiano fatto. Peccato, perché suonare quello strumento mi piaceva, e dopo di allora non ebbi più modo di usarlo.
Del resto, la maniera con cui andò a finire questa vicenda riflette la parabola discendente delle industrie che fabbricavano fisarmoniche nel Ventennio. Dopo la crisi economica del 1929, che coinvolse anch’esse, il regime fascista volle dare una mano alla loro rinascita, propagandando lo strumento come inventato in Italia, vanto della nostra laboriosità e godimento per il popolo; tanto che lo stesso Mussolini assegnò nel 1941 un lotto di mille fisarmoniche alle truppe impegnate nella seconda guerra mondiale.
Ma sarebbe stato proprio questo immane conflitto a produrre effetti devastanti sulla produzione: dai 51000 pezzi fabbricati nel 1938 si passò ai 10077 nel 1941, e ai non più di 500 nel 1944. Forse questo può farci capire la brevità dell’esperienza dei giovani fisarmonicisti di Sona, i cui sogni furono infranti dalla dura realtà della guerra.