Amato o detestato, ammirato o vilipeso, acclamato o odiato, non c’è dubbio che Napoleone è uno di quei personaggi usciti dal cilindro della storia che si sono maggiormente imposti all’attenzione del mondo! E che attenzione!
Piccolo di statura (un suo grande cruccio) è stato un grande stratega, invincibile sui cambi di battaglia fino alla mitica Waterloo, dove, peraltro, avrebbe anche potuto vincere, se la pioggia non avesse rallentato i movimenti di una parte del suo esercito.
Parliamo di Napoleone perché oggi ricorre il duecentesimo anniversario della sua morte, mi perdoneranno gli studenti che stanno preparando gli esami: stiano in guardia (imperiale) perché il 2021 non è solo l’anno di Dante, del Covid e della ripartenza al rallentatore, è anche l’anno in cui si deve ricordare la morte di Napoleone.
Anche a Sona deve essersi sentito il fiato del suo esercito che combatteva ad Arcole e saliva a Rivoli, perché dove transitava l’esercito di Napoleone rimaneva ben poco.
Fra il 1796 e il 1797, sicuramente il Bonaparte è passato anche da Palazzolo, da dove, probabilmente fuse per un cannone che serviva al Nostro, sono scomparse quattro delle cinque campane di Santa Giustina. Erano gli anni del vescovo Avogadro che con un decreto del 29 dicembre 1797 (in pieno regime napoleonico) “smembrò in spirituali e temporali” l’attuale Parrocchia di San Giorgio in Salici dalla Pieve di Santa Giustina pur “obbligandola due volte l’anno ad un personale servigio nel Sabato Santo, e nel giorno Titolare, e al pagamento di sei libbre di cera bianca in signum subditantie” (di questi fatti potete trovare ampia esposizione nei libri editi dal gruppo degli storici del Baco).
Fra le tante innovazioni belliche che lo stratega aveva ideato, la più difficile da digerire è stata quella che, per aumentare la velocità del suo esercito, il Nostro fosse solito non viaggiare appesantito da scorte alimentari: si riforniva depredando i territori che attraversava. I Russi, che lo avevano capito, lo aspettarono facendogli trovare terra bruciata e gli fecero assaggiare l’amaro sapore della ritirata.
E a proposito di sapori e di piatti gustosi da digerire, in questa rubrica non possiamo ricordare il condottiero francese senza descrivere uno dei suoi piatti preferiti, passati alla storia, appunto, come “Spaghetti Napoleone”.
Si comincia come sempre, rosolando una cipolla in un po’ di burro (nessuna guerra inizia dalla battaglia madre, inizia sempre con una piccola scaramuccia, così come i tornado iniziano come una leggera brezza primaverile). Fintanto che la cipolla s’indora, tagliate a dadini dei filetti di pollo e del prosciutto cotto di spalla, con una proporzione di 3 a 1. Le proporzioni in battaglia sono importanti: chi è lo stolto che con un esercito di 10.000 uomini, affronta un avversario che può contare su un esercito di 50.000 uomini?
Unite il pollo e il prosciutto alla cipolla e rosolate ben bene. Quando l’insieme sarà del colore giusto (e qui, come sui campi di battaglia, l’esperienza è importante!) sfumate il tutto con un bicchierino di cognac (per inciso, il cognac è l’unico ingrediente sicuramente francese della ricetta e probabilmente il solo che il Bonaparte si portava da casa, ancor oggi un famoso marchio di questo liquore è proprio il Napoleon!).
Oggi come allora, in tutte le cucine delle caserme non può mancare un mestolo di brodo di carne ad uso e consumo del comandante: ebbene, è il momento di affogare in esso due cucchiai di salsa di pomodoro, prima di aggiungerlo, ancora tiepido, al pollo e al prosciutto.
La salsa di pomodoro è una grande invenzione e troveremo sicuramente il modo per presentarne la ricetta base anche in questa rubrica, la salsa di pomodoro è un’opera d’ingegno culinario ineguagliabile, grande almeno quanto quelle opere d’arte che ci sono state depredate e che oggi giacciono annoiate, sconfortate e tristi, negli scantinati del Louvre.
Ricordatevi di salare e pepare il tutto e, una volta fatto, di far restringere il sugo usando un fuoco moderato (è sufficiente il fuoco di un plotone d’artiglieria, non è necessario ordinare di far fuoco all’intero battaglione motorizzato).
Adesso viene la parte difficile, quella che solo i cuochi di un imperatore possono fregiarsi di saper cucinare. Prendete una melanzana e tagliatela a listarelle sottili, prendete una mozzarella, sgocciolatela per bene e tagliatela a listarelle sottili. Il meno è fatto.
Mettete sul fuoco un pentolino dove avrete versato una quantità abbondante di olio di semi (lo consigliamo perché l’olio di semi tiene meglio il calore dell’olio di oliva) e portatelo alla temperatura più alta possibile, quella stessa temperatura che si raggiunge quando l’adrenalina fa scoppiare il cuore e che si respira nei punti dove più feroce è il combattimento. Quando l’olio avrà raggiunto il massimo della temperatura, con una manovra a tenaglia, prendete mozzarella e melanzane e friggetele il più rapidamente possibile.
Sperate anche che qualche vostro solerte attendente abbia pensato di far bollire l’acqua per gli spaghetti e vi abbia immerso la pasta, in caso contrario, la buona riuscita della ricetta, sarebbe una vittoria di Pirro o, nel caso foste juventini, una vittoria di Pirlo! È tutto pronto, gli eserciti sono schierati e tutti non vedono l’ora di combattere (allora come oggi, gli inglesi si erano defilati dall’Euro ma erano rimasti nella NATO).
Scolate gli spaghetti, mescolate con il sugo che si sarà rassodato e guarnite con le melanzane e la mozzarella! E tenete a portata di mano del parmigiano reggiano che non si sa mai…
Di fronte a un piatto come questo, se non si arrende il palato si arrende lo stomaco, voi, però, potrete sempre far ricadere la colpa sui generali di Napoleone che non hanno saputo placare i piaceri culinari del proprio imperatore (sarà stato dopo pranzato più e più volte con questi spaghetti che il Nostro ha preso l’abitudine di tenersi una mano sotto il panciotto, all’altezza del ventre?). Se il piatto non vi riesce al primo tentativo non scoraggiatevi, avrete perso una battaglia ma non la guerra e potete ancora battere in ritirata offrendo agli ospiti un’insalatina di stagione.
Nel caso in cui decideste che la ricetta vi è venuta come “arte comanda”, invece, dovreste servirla nell’apposita zuppiera “Petit Chapeau”, quella con i due cornetti e dalla forma del caratteristico cappello, anche questo, storico simbolo della figura del Nostro.