“Esserci e osservare sono i capisaldi della professione informativa. Non si parla per sentito dire, per interposte dichiarazioni, si va si vede si verifica e poi si racconta. Però anche tutti noi che siamo oggi qui in questa aula magna, e che non siamo giornalisti, dobbiamo andare oltre il semplice lamentarci che le cose non vanno bene, che i giornali non fanno il loro dovere, che i social disorientano. Attribuendo sempre ad altri responsabilità che invece sono anche nostre, perché si tratta delle nostre storie e delle nostre vite. A noi esseri pensanti compete ascoltare, verificare, quindi raccontare, condividere ciò che abbiamo approfondito e conosciuto. In conclusione, attenzione alle notizie che si diffondono e a quelle che si leggono. E occhio alle fonti”.
Con queste parole il direttore de Il Baco da Seta Mario Salvetti ha chiuso l’incontro con un numeroso gruppo di studentesse e studenti del Liceo Scientifico Statale Galileo Galilei a Verona.
Il direttore del Baco era stato invitato per parlare con alcune classi sui temi del giornalismo, da quello locale fino alle grandi sfide che pone alla comunicazione questa stagione storica così complessa.
“Vi è una vecchia definizione che dice che il giornalista è quel tipo che corre verso l’incendio o il terremoto mentre tutti invece scappano – ha esordito il direttore del Baco -. Il discorso pubblico sul giornalismo ha avuto un fondamentale momento di cesura con il Covid e lo dimostrano questi incontri che sono invitato a fare nelle scuole. Perché la pandemia ha ricordato a tutti che in tempi di crisi ed infodemia aumenta l’impatto della disinformazione e, pertanto, cresce invece il bisogno di informazione garantita da una mediazione professionale”.
Dopo aver presentato la realtà de Il Baco da Seta, che da 23 anni racconta quotidianamente il territorio, Salvetti ha introdotto il tema di fare giornalismo a livello locale, perché “il giornalismo locale realmente tiene unità una comunità”.
“L’importanza dell’informazione sta nella semplice ma fondamentale considerazione che una vicenda piccola o grande che sia non esiste se qualcuno non la racconta”. Per spiegare questa verità il direttore del Baco ha fatto un esempio storico: la battaglia di Lepanto 7 ottobre 1571 ed gli esiti informativi clamorosamente differenti in Europa, dove esistevano i giornali, e nell’impero Ottomano, dove non vi era una comunicazione accessibile a tutti.
Salvetti poi ha stimolato ragazze e ragazzi – molto attenti e partecipi, ben preparati dai loro insegnanti – chiedendo quali caratteristiche secondo loro deve aver un giornalista. Ne è nata un’interessante discussione nella quale si è concluso che quello dell’imparzialità del giornalista è un falso mito, in quanto ciascuno di noi racconta ciò che vede in base a ciò che è. Fondamentale non è quindi che il giornalista sia imparziale, ma che il suo messaggio sia onesto e chiaro nel proporsi in maniera che il lettore possa farsi una propria opinione.
“Proprio in questi giorni, tre anni fa, piombavamo nell’incubo della pandemia – ha proseguito Salvetti -. Uno degli effetti secondari del Covid è stato un fenomeno successivamente definito come ‘infodemia’. La Treccani la definisce ‘Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni talvolta non vagliate con accuratezza che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili’. Il termine infondemia in realtà viene da lontano. Lo troviamo per la prima volta in un articolo apparso sul Washington Post nel maggio 2003. Il termine era stato coniato da David Rothkopf, professore, politologo e giornalista. L’articolo era focalizzato sulla Sars che pochi mesi prima aveva spaventato il mondo, colpendo il sud est asiatico. Alcuni fatti, scriveva Rothkopf, mescolati alla paura, alla speculazione e alle voci, amplificati e trasmessi rapidamente in tutto il mondo dalle moderne tecnologie dell’informazione, hanno influenzato le economie nazionali e internazionali, la politica e persino la sicurezza in modi assolutamente sproporzionati rispetto alle realtà radicali’.
“Il Covid – ha aggiunto Salvetti – è stato un fenomeno enorme che ha inevitabilmente scatenato uno tsunami di notizie, informazioni, alcune accurate altre no. Ed è con questa infodemia che abbiamo dovuto fare tutti i conti. Uno studio che ha analizzato i primi mesi del lockdown mostra che l’89% delle fake news sono state diffuse dai social mentre solo il 4% dai media tradizionali. In italia nel 2020 le denunce della polizia postale per fake news sono aumentate del 436%”.
Il direttore del Baco, prima di lasciare spazio alle numerose domande finali che hanno chiuso l’incontro, ha indicato alcuni suggerimenti per difendersi dalle fake news. “Per evitare la diffusione del contagio informativo è opportuno seguire alcune semplici regole: prima cosa verificare l’attendibilità della notizia prima di condividerla su un social o diffonderla attraverso chat. Fidandosi alla cieca di chi ci ha inviato un contenuto si possono diffondere inavvertitamente notizie false; seconda cosa controllare l’URL, ossia l’indirizzo della pagina web: spesso capita che siti di fake news utilizzino URL simili a quelli conosciuti dagli utenti; terza cosa controllare l’autore: occorre sempre verificare l’attendibilità di chi ha scritto il post, accertare se abbia firmato altri articoli che possano accreditarlo come esperto del tema; quarta cosa controllare la fonte: le fonti non sono tutte uguali. Fare riferimento sempre a quelle istituzionali, attendibili e accreditate”.
“L’infodemia colpisce di preferenza chi fatica ad accedere ai canali ufficiali di comunicazione, istituzionali e scientifici primariamente, che sono lo strumento per verificare la veridicità delle notizie. Più strumenti culturali e di conoscenza si hanno meno si è vulnerabili”, ha concluso Salvetti.