“Il 4 aprile di quest’anno ho festeggiato il primo anno della mia nuova vita. Una nuova vita il cui esordio è stato drammatico, ma da quel momento in poi le sono grato per ciò che mi ha donato!”. A raccontare questo episodio, per certi versi straordinario ma nello stesso tempo potenzialmente ordinario, è Giovanni Sambenati (nella foto di Mario Pachera con il fratello Albino), un Lugagnanese sessantenne arrivato nella frazione 20 anni fa con la famiglia proveniente da San Massimo.
Abita in via Assuero Barlottini vicino al campo sportivo, Un dettaglio non insignificante, per i motivi che successivamente spiegheremo. Di quanto accaduto in quei drammatici istanti Giovanni non ha alcun ricordo, un vero e proprio buco nero della memoria. Gli occhi lucidi e la voce rotta dall’emozione predicono il phatos del suo racconto.
Il 4 aprile 2022, verso l’ora di cena, Giovanni si accascia improvvisamente e inspiegabilmente al suolo presso la sua abitazione. Ad assistere alla scena, esterrefatti ed incapaci di qualsiasi reazione, la mamma Emma ed il fratello gemello Albino. “Mi sono letteralmente bloccato – confessa Albino –. Giovanni era disteso a terra e non rispondeva e non ero in grado di compiere alcuna azione, tale ero lo shock”. Era presente il quel momento anche una vicina che uscì in strada a cercare aiuto.
“Io ero completamente incosciente – racconta Giovanni –, per certi versi potenzialmente morto. Ma è in quel momento drammatico che la mia nuova vita ha cominciato a palesarsi. Nella casa di fronte alla mia stava per iniziare una riunione condominiale. Le persone presenti sono immediatamente intervenute prestandomi i primi soccorsi, chiamando il 118 e praticandomi il messaggio cardiaco. Tra di loro anche l’infermiere Alberto esperto di emergenza-urgenza”. Sono i momenti più drammatici nell’esordio di un incidente domestico, il non saper cosa fare o l’essere bloccati di fronte all’accaduto rappresentano la normalità dei casi.
È la tipica situazione che è rappresentata nei primi due anelli di una sequenza di azioni che si chiama Catena del Soccorso: il riconoscimento precoce dello stato di incoscienza e l’allerta precoce dei soccorsi con la chiamata al 118. La precocità è essenziale ai fini della buona riuscita di un intervento di soccorso. Lo stato di incoscienza di una persona implica una possibile compromissione dei parametri vitali. Il fattore tempo di intervento diventa essenziale, siamo nell’ordine di qualche minuto.
Giovanni è istruttore federale di SINW, la scuola Italiana di Nording Walking. L’evento che l’ha colpito è stato per certi versi imprevisto, essendo lui soggetto a controlli medici annuali per l’attività sportiva che svolge ed essendo una persona che conduce uno stile di vita improntato alla salubrità. Per essere istruttore ha dovuto sostenere anche dei corsi BLSD di Rianimazione Cardiopolmonare. “Fossi stato dalla parte di chi soccorre e non da quella del soccorso – ci dice Giovanni – avrei saputo che le sorti del soccorso dipendevano fortemente dalla possibilità che fosse presente un DAE, un Defibrillatore Automatico Esterno”. Nella vita niente accade a caso. Vent’anni prima la sua famiglia era venuta ad abitare vicino ad un campo sportivo. Dal 2014, a seguito di un progetto congiunto Comune di Sona, SOS e Proloco, in quel campo e nella palestra adiacente vennero installati due defibrillatori a disposizione delle strutture sportive.
Quel 4 aprile arriva tempestivamente il defibrillatore. Anzi ne arrivano due: uno dal campo sportivo adiacente e uno dalla casa di riposo lì a fianco. Quello ad essere usato è quello del campo sportivo.
I soccorritori applicano immediatamente le piastre al petto di Giovanni e la macchina, dopo pochi secondi, chiama la scarica perché ha rilevato che il suo cuore è in fibrillazione. Un cuore in fibrillazione ha un ritmo non compatibile con la vita. La scarica elettrica lo resetta, lo ferma per cercare di farlo ripartire, si spera con un ritmo regolare. La rianimazione dei soccorritori su Giovanni procede con il massaggio cardiaco fino a che la macchina, dopo due minuti, fa una seconda analisi. “Scarica NON richiesta”. È il vocale del DAE che echeggia nella stanza del soccorso. Qualcosa è accaduto.
In questi casi sono due le possibilità: il cuore della persona soccorsa potrebbe essere completamente fermo (asistolia) e quindi il DAE lo riconosce come “ritmo non defibrillabile” perché la scarica sarebbe inutile. Oppure potrebbe avere ripreso il suo ritmo normale che, allo stesso modo dell’asistolia, è un ritmo che non richiede la defibrillazione perché non necessaria. È il ritmo della possibile nuova vita di Giovanni. Il petto di Giovanni aveva iniziato di nuovo ad espandersi e si poteva percepire il suo polso periferico. Respirazione e circolazione sanguigna avevano ripreso. Nel frattempo da Sona giunge l’ambulanza del SOS con il medico che prende in carico Giovanni stabilizzando la sua situazione e trasportandolo immediatamente in Unità Coronarica al Polo Confortini a Borgo Trento.
Si riprenderà Giovanni? Impossibile saperlo nell’immediato. Il ritorno dello stato di coscienza da un trauma di questo tipo non è automatico, potrebbero passare dei giorni. Come potrebbe anche non avvenire mai. Il suo cuore era ripartito ma la possibile carenza di ossigeno al cervello, dovuta all’arresto cardiaco, potrebbe avergli creato danni irreversibili. Bisognava aspettare fiduciosi.
Dopo due giorni, dal suo letto di terapia intensiva, Giovanni riconosce e saluta Franca, la sua vicina di casa infermiera che lavora in ospedale e che era passata per sapere come stava. Quella scarica generata dal DAE, che era partita da una piastra per arrivare all’altra passando attraverso il cuore di Giovanni era stata la scintilla della sua nuova vita. Quell’intervento congiunto di soccorritori e defibrillatore gli avevano concesso di poter tornare a vivere.
“Dopo una settimana circa di degenza – racconta Giovanni – sono ritornato a casa. Ero confuso, perso, debole. Non ricordavo e non sapevo nulla di quanto mi era successo. Apprendevo dai racconti dei miei famigliari e dei miei vicini. Nella vita ho avuto la fortuna di non avere mai avuto problemi di salute. Iniziava dal quel momento un percorso di riabilitazione che mi avrebbe portato a cambiare le mie abitudini ed il mio stile di vita. È stata la parte più dura, non è facile cambiare sé stessi ed accettare che le cose non siano più come prima”. È l’inizio di un nuovo stile di vita ma anche di una nuova percezione della vita.
“Quando vivi una vicenda così intensa – ci confessa Giovanni – nei primi tempi la paura del futuro ti accompagna. Succederà di nuovo? Arriverò almeno ad un anno? Potrò tornare al lavoro? Riuscirò a prendermi cura della mia famiglia? Domande a cui, quando arrivano, non puoi dare risposte immediate. Le certezze le puoi trovare solo postume vivendo giorno per giorno. Ecco uno dei doni della nuova vita: vederla dispiegare giorno per giorno ed apprezzare ciò che ti dà”.
“Giorno dopo giorno – confessa Giovanni con un filo di voce – ho sentito il mio corpo e la mia mente compiere piccoli passi verso la normalità. Da istruttore di Nordic Walking sono abituato a recepire la reazione della mia muscolatura e sentivo che la mia nuova vita si stava incamminando bene. Grazie alle piccole e progressive passeggiate che compivo con regolarità. Sentivo crescere la fiducia dentro di me. Dopo qualche mese ho ripreso il lavoro. Sono ritornato a ricordare tutto: cose semplici tipo il pin del bancomat o le password degli account aziendali. Tranne quei maledetti 10 minuti… Un buco nero sono e buco nero rimarranno. Va bene così, guardiamo avanti e ai frutti di questo nuovo inizio”.
Anche la passione per il Nordic Walking, che coltiva da molti anni ben prima dell’evento dell’Aprile 2022, sta vivendo una nuova fase in lui. Oltre ad essere stata il trampolino di lancio per la sua ripresa fisica, sta vivendo in lui una nuova fase emotiva. “Uno degli obiettivi della disciplina di cui sono istruttore e della scuola in cui mi sono formato – racconta Giovanni – è di essere di supporto alle persone alle prese con il recupero da eventi traumatici come il mio o portatrici di handicap fisici o portatrici di malattie che ne limitano la mobilità fisica, come ad esempio i diabetici. Il Nordic Walking insegna la coordinazione nei movimenti, rinforza il senso di equilibrio, aiuta a liberare la mente dalle paure delle limitazioni fisiche. La nuova vita mi ha dato la possibilità di vivere anche l’altro ruolo nel rapporto formatore e paziente. Ho vissuto la parte del paziente”.
Giovanni fa parte dell’Associazione Enjoy Outdoor di Rovereto e, grazie ad una collega, ha la possibilità di collaborare con il Centro A.T.S.M. Franca Martini di Trento, che si occupa, dal 1981, della riabilitazione delle persone affette da patologie neurologiche. A.T.S.M. è l’acronimo di Associazione Trentina Sclerosi Multipla. L’anno scorso Giovanni partecipò all’evento del Val Lagarina challenge che portò diverse persone diversamente abili ad essere affiancate dagli istruttori per sperimentare gli effetti positivi del Nordic Walking. “Piccoli percorsi, massimo di mezzo chilometro – ci racconta – ma hai presente che conquista e che sensazione è per loro?! Con le dovute proporzioni… Un po’ come il mio percorso di riabilitazione con una differenza però: la mia nuova vita mi ha fatto il dono di lasciarmi l’abilità, che non ho perso con il trauma, a fare le cose. Mi ritengo un privilegiato. In queste esperienze condivise si creano delle situazioni che sono fonte di soddisfazione umana infinita. Il rapporto tra istruttore e discente travalica l’aspetto tecnico, che diventa un dettaglio, è puro scambio di umanità. La sensazione di integrazione che si vive in quel momento con la persona che segui è emozionante per lei e te lo fa capire. Si dà qualcosa a lei, ma è più quello che si riceve da lei”.
“La vicenda di Giovanni – ci dice l’infermiera Franca, presente all’intervista – deve far riflettere sull’importanza della prevenzione delle malattie cardiovascolari in generale e del loro precoce riconoscimento. Nello specifico, proprio perché molte persone come Giovanni pur non presentando fattori di rischio per la malattia coronarica possono incorrere in un evento cardiovascolare, è innegabile il fatto che, aumentare ed incentivare la capacità dei cittadini delle nostre comunità ad effettuare le prime manovre salvavita nel momento in cui si verifica l’incidente, è una progettualità da incentivare assolutamente. Nelle problematiche cardiache o neurologiche il fattore tempo di intervento è la cosa più importante”.
“Se fossi su un palco e avessi davanti una platea a cui raccontare la mia vicenda – conclude Giovanni – non potrei che chiedere a gran voce di incentivare, a tutti i livelli, la cultura del Primo Soccorso. A partire dalle scuole per arrivare nelle famiglie. Una nuova vita purtroppo non è concessa a tutti, ne sono consapevole. Io sono il testimone di cosa rappresenta questo dono. Bisogna fare in modo che una opportunità venga concessa al maggior numero di persone possibile”.
“Alberto – ricorda commosso il fratello Albino – è stato uno dei primi soccorritori di Giovanni. Nostro papà, scomparso qualche anno fa, si chiamava Alberto. Mi piace pensare che ci sia stato il suo intervento da lassù nel soccorso a mio fratello”.
La pratica del BLSD (acronimo in italiano di Supporto Base alla Rianimazione Cardio Polmonare con l’uso del Defibrillatore) ha iniziato a diffondersi con forza con il Decreto Legge 158 del Settembre 2012, noto come decreto Balduzzi dal nome dell’allora Ministro alla Salute. Nato all’inizio come obbligo di adozione dello strumento in capo a Società ed Associazioni Sportive, ha via via preso piede aumentando sempre più la sua applicazione, di pari passo alla diffusione delle installazioni dei defibrillatori su tutto il territorio nazionale. Ci sono ancora ampi spazi di miglioramento di diffusione e conoscenza, ma i casi come quello di Giovanni sono sempre più frequenti.
L’acronimo BLSD in Inglese è Basic Life Support Defibrillation. Life Support è supporto alla vita intesa come accezione tecnica di ripresa di ritmo cardiaco e respirazione a seguito di massaggio cardiaco e defibrillazione. Mi piace pensare ad un’altra accezione del termine: supporto ad una nuova vita intesa come opportunità, che si concede a qualcuno, di poter essere ancora presente a sè stesso, ai propri affetti, al proprio lavoro, alla comunità in cui vive e a cui può dedicare i doni che la vita gli concede. Una sorta di Basic For a New Life Support Defibrillation. È un’opportunità che bisogna cercare di dare al maggior numero possibile di persone che incorrono in incidenti neuro-cardiologici improvvisi e inaspettati. É una possibilità che cresce di pari passo con la crescita della coscienza civica, sociale e solidale di una comunità.