Oggi scadono i cento anni dall’inizio della marcia su Roma, l’iniziativa armata eversiva organizzata dal partito nazionale fascista con l’obiettivo di favorire l’ascesa di Benito Mussolini alla guida del Governo.
Il Governo del primo ministro Facta, nella notte tra 27 ed il 28 ottobre 1922, per impedirla deliberò di bloccare le linee ferroviarie e le strade per Roma dichiarando lo stato d’assedio. Il Re Vittorio Emanuele III però non controfirmò il decreto, rendendolo nullo, ed il Governo dovette dare le dimissioni. Mussolini fu chiamato a Roma e il 30 ottobre gli venne affidato l’incarico di formare un nuovo Governo.
A Sona però questo repentino cambio di decisioni non fu segnalato. Infatti, il 30 ottobre 1922, ben due giorni dopo che gli eventi avevano già preso un corso diverso, il Comune ricevette il seguente telegramma da parte del prefetto di Verona: “Dal giorno 28 corrente per ordine del Governo, ho trasmessi i poteri di Polizia all’Autorità militare. Nell’ordine così garantito è necessario che la vita Amministrativa degli Enti locali proceda regolare ed attiva. Ogni soluzione di continuità, ogni arresto o ritardo nel ritmo dell’organismo pubblico costituirebbe un inutile danno. Come direttive le amministrazioni, sia elettive, sia straordinarie, seguano oggi, più che mai, quelle sole che hanno per meta la tranquillità e la prosperità della Patria”.
Incredibilmente per il prefetto di Verona e per il sindaco di Sona, a causa forse di gravi inefficienze da parte dei funzionari prefettizi e delle Poste italiane, lo stato d’assedio era ancora in corso, a due giorni dalla sua cancellazione.
Ma allargando l’analisi storica, come visse questa vicenda un Comune come Sona di soli cinquemila abitanti? Sorprendentemente anche sul nostro territorio si registrarono partecipazione e risvolti assai sgradevoli. A partire dal 1921 a Sona, per cause legate soprattutto a problemi economici con risvolti partitici, si verificarono scontri anche fisici, talvolta con l’intervento della forza pubblica. E la situazione divenne in breve tempo oggetto di ripetuti ordini del giorno del Consiglio comunale di Sona.
Nella seduta del 26 aprile 1921 il Consiglio comunale stigmatizzò quanto era successo da poco a don Amadio Mazzi, insegnante e sacerdote di Lugagnano, parroco ad Azzago: “durante una conferenza ha subito violenze da facinorosi che intendono portare le loro idee con bombe e con le rivoltelle” e proseguiva “dai Comuni deve partire la protesta contro le infamie che il Governo permette e protegge”. Il verbale concludeva con un’affermazione molto forte: “Il Consiglio protesta contro i sistemi di lotta instaurati da alcuni partiti e protesta anche contro il Governo che tali sistemi permette”.
La prefettura, che in quegli anni era tenuta a visionare tutte le delibere consigliari, dispose di eliminare dal verbale della seduta le frasi più compromettenti. Il segretario comunale, non potendo però materialmente farlo perché già riportate sul “mastro” dei verbali, riportò a fianco del verbale incriminato gli estremi della decisione prefettizia.
Come raccontiamo ampiamento sul terzo volume del Baco dedicato alla storia di Sona, a quel punto la situazione peggiorò. Il 29 dicembre del 1922, con il governo Mussolini già insediato, la giunta comunale di Sona con voti unanimi deliberò di rassegnare le dimissioni. Il Consiglio, riconvocato il 9 febbraio, non risultò valido ad assumere deliberazioni per la presenza di soli sei consiglieri ed in quello del 20 febbraio, con la presenza di 12 consiglieri su 18 in carica, votò nuovamente quale sindaco Giacinto Zampieri, che aveva riproposto con forza le sue dimissioni.
Un’inquietante notizia prese corpo durante il dibattito: al consigliere Gerard di Palazzolo, che chiedeva chiarimenti, il sindaco rispose che non aveva subito alcuna violenza, ma che era però stato “invitato” a dare le dimissioni, senza indicare da chi fossero giunte le minacce.
In quella stessa seduta consigliare venne anche data notizia di una lettera inviata dall’assessore di San Giorgio in Salici Antonio Cinquetti, con la quale comunicava di non poter partecipare alla seduta per una grave ferita infertagli da “elementi fascisti” il 18 febbraio dello stesso mese.
Appare quindi chiaro in quale livello di tensione e conflittualità fosse sprofondato il clima politico locale. Nel maggio del 1923 il sindaco Zampieri rassegnò nuovamente le dimissioni ed il 15 luglio 1923 il consiglio si riunì nuovamente. I Consiglieri, preso atto che stavolta il Zampieri non aveva nessuna intenzione di ritirare le dimissioni, e che non era disponibile una soluzione alternativa, all’unanimità rassegnarono pure loro le dimissioni, chiedendo al prefetto la convocazione di nuove elezioni in tempi brevi.
La richiesta del Consiglio comunale per nuove elezioni non fu accolta e la prefettura, con decreto del 18 luglio 1923, nominò commissario il ragionier Gaetano Mondini, segretario del Partito fascista di Castelnuovo. E questo anche se per legge il Consiglio avrebbe dovuto rimanere in carica fino al 1925. A Sona non si votò più fino al 1946.
Nella foto, 20 ottobre 1932: il podestà Tonelato ed il segretario del partito Fascista Parolini inaugurano il nuovo Municipio di Sona.