A fine 2021 fra le previsioni dei principali e grandi investitori regnava un cauto ottimismo, nonostante le Borse fossero sui massimi storici e i bond avessero ancora tassi bassissimi o sotto-zero (ormai fuori luogo con l’inflazione che già saliva).
Eppure, il 2022 ha colto (quasi) tutti di sorpresa con un’inflazione fuori controllo causata (anche) dalla guerra della Russia in Ucraina; le Banche centrali (la Fed in particolare) hanno usato il pugno di ferro contro l’inflazione, alzando i tassi e riducendo drasticamente il “monetadone” nei mercati finanziari.
Mercati, che hanno sofferto l’astinenza di liquidità, registrando performance pesantissime: quest’anno le obbligazioni hanno registrato il peggior risultato dal 1990 (fonte Bloomberg) con il Bund tedesco che addirittura ha avuto la peggior caduta dal 1950 (fonte Refinitiv), mentre i mercati azionari hanno bruciato a livello globale oltre 20mila miliardi di dollari di capitalizzazione con le Borse europee che hanno vissuto il peggior anno dal 2018 (tra queste il Ftse Mib ha perso il 13,3%) e Wall Street dal 2008 (S&P 500 ha accumulato una perdita del 20%, mentre il Dow Jones si è fermato a -9%, grazie soprattutto al sostegno dei colossi del petrolio e della farmaceutica). Solo due vincitori si sono distinti nel 2022: il dollaro (che ha registrato il maggior rialzo dal 2015) e le materie prime (soprattutto energetiche).
Cosa aspettarsi, dunque, dal prossimo 2023? Domanda delle cento pistole a cui pochi osano dare la risposta. La maggior parte degli operatori fornisce un certo numero di scenari economici, dal migliore al peggiore, con numeri e statistiche a supporto. Leggendo le previsioni dei principali fondi d’investimento, si nota che quello che arriva potrebbe essere l’anno della riscossa delle obbligazioni, tornando a fare da contrappeso ai mercati azionari. Regnerebbe, invece, maggior cautela e incertezza, invece, relativamente alle previsioni sulle Borse.
Eppure, due grosse variabili peseranno sull’andamento futuro dei mercati: la gestione del Covid (soprattutto in Cina) e la guerra in Ucraina, il cui esito è arduo da prevedere e quantificare.
Ma per cogliere i bagliori e le sagome del futuro è necessario conoscere la storia, approfondire la contemporaneità, non sottovalutare l’importanza della geografia. A partire dalla crisi del coronavirus nel 2020, ci siamo accorti che ci sono 17 elementi della tavola periodica che possiedono un’importanza fondamentale per la nostra quotidianità: l’ittrio, lo scandio, il lantanio, il cerio, il praseodimio, il neodimio, il promezio, il samario, l’europio, il gadolinio, il terbio, il disprosio, l’olmio, l’erbio, il tulio, l’itterbio e il lutezio.
Sono le terre rare, gli elementi essenziali per la manifattura internazionale, in particolar modo per i semiconduttori (nella foto in alto), utilizzati nei prodotti di largo consumo (come telefoni cellulare, computer, televisori, elettrodomestici), in quelli dell’industria di frontiera tecnologica estrema (aerospazio, armi, aviazione, cyber war) e nei prodotti ecologici (per esempio le auto elettriche, i pannelli fotovoltaici, le turbine eoliche).
Chi ha accesso a queste materie prime può esercitare un’influenza silenziosa e profonda sull’assetto del mondo. In termini di quantità è indubbia la concentrazione sul territorio cinese, visto che è presente il 37% delle terre rare nel mondo; seguono il Vietnam e il Brasile con il 18% a testa e la Russia con il 15%.
In termini strategici, non si può non riconoscere la valenza che la Cina ha sulle terre rare: possedendone il 37%, ne produce il 60% a livello mondiale; inoltre, controllando non poche miniere africane, riesce a raffinare e pre-industrializzare l’80% delle terre rare del mondo.
«Il litio e le terre rare diventeranno presto più importanti del petrolio e del gas», ha asserito il commissario all’Industria francese Thierry Breton durante una seduta in Parlamento Europeo lo scorso settembre. Da qui la necessità per l’Unione Europea di diversificare i fornitori e aumentare la quota di mercato in questo settore: con la domanda di terre rare prevista in raddoppio entro il 2030, la costruzione di capacità di estrazione e raffinazione all’estero può rivelarsi fondamentale per ridurre la dipendenza dalla Cina da parte dell’Europa.
Alla luce delle attuali tensioni geopolitiche (non solo in Ucraina, si veda alla voce Taiwan), si tratta di un settore non privo di rischi, ma sicuramente in grado di offrire preziose opportunità nel prossimo futuro, sempre più caratterizzato dall’innovazione tecnologica e dalla sostenibilità ambientale. Basti pensare, ad esempio, che Warren Buffett, conosciuto nel campo dell’alta finanza come “l’oracolo di Omaha” per la sua capacità nella gestione degli investimenti finanziari, ha recentemente sottoscritto una quota di 4,1 miliardi di dollari nella società taiwanese TSMC, azienda che produce chip semiconduttori super avanzati e li vende a giganti della tecnologia, tra cui Apple e Qualcomm.