“I soldi non fanno la felicità”, recita il detto popolare. Innumerevoli, inoltre, anche le storie raccontate in anni di cinema e letteratura in grado di dimostrare come la (vera) felicità non sia generata dai beni materiali. Il tema è molto dibattuto anche nella storia della filosofia: ad esempio, il filosofo San Tommaso Moro nella sua opera “Utopia” immaginava, addirittura, l’abolizione totale del denaro, al fine di eliminare ogni fonte di diseguaglianza, che a sua volta impedirebbe “una vita dello Stato giusta e prospera”.
Nel mondo reale, tuttavia, la ricchezza è una premessa per la soddisfazione di un individuo e il raggiungimento dei suoi obiettivi personali. Nonostante numerose ricerche accademiche abbiano messo alla prova il denaro e la sua capacità di comprare la felicità, l’ultimo studio firmato a quattro mani dal premio Nobel Daniel Kahneman e da Matthew A. Killingsworth (Wharton School, University of Pennsylvania) conferma che la tesi è affermativa: le persone sono più felici quando guadagnano di più.
I due studiosi, però, sono partiti da tesi diverse; secondo Kahneman, infatti, ciò è vero, ma fino a una certa soglia: una sua ricerca del 2010 ha provato che reddito e felicità sono direttamente correlati, ma sino a 75 mila dollari all’anno; oltre a questa soglia si raggiunge una fase di stallo e, anzi, la felicità potrebbe addirittura diminuire.
Nel 2021, d’altro canto, grazie a metodologie decisamente più all’avanguardia, Killingsworth ha dimostrato che la crescita della felicità procede linearmente anche oltre la soglia dei 75 mila dollari annui. “I redditi più alti possono ancora avere il potenziale per migliorare il benessere quotidiano delle persone”, conclude la ricerca.
Recentemente, tuttavia, i due studiosi hanno unito le forze e hanno condotto un nuovo studio, smentendo una volta per tutte il famoso detto popolare. La ricerca è giunta a due conclusioni principali: la prima è che il denaro compra davvero la felicità, e la correlazione si estende ben oltre un reddito di 75 mila dollari all’anno, aumentando in maniera costante fino anche a 500 mila dollari; la seconda è che questo non vale per tutte le persone. Per circa il 20% degli individui, detto anche “minoranza infelice”, vale il principio della soglia dei 75 mila dollari annui, oltre la quale la felicità si ferma o diminuisce. Il denaro, infatti, non cura né sostituisce altre mancanze di una persona, come possono essere l’amore, l’autostima o la vita sociale, interrompendo la sensazione di benessere dopo una certa soglia.
A corollario dello studio, i ricercatori specificano anche che il denaro, pur rappresentando uno dei fattori determinanti per il benessere dell’individuo, non è tutto: certo, è poco probabile che vi sia una felicità piena ove vi è una stabilità finanziaria percaria, ma i soldi devono rappresentare il mezzo per raggiungere i propri obiettivi, non il fine. Essere ricchi non significa possedere, ma utilizzare la propria ricchezza per essere padroni della propria vita, apportando un valore aggiunto alla propria persona e alla società.
Il tempo, infatti, è un fattore chiave: la sensazione di benessere e di felicità aumenta in proporzione alla libertà di gestire il proprio tempo (anche) grazie al denaro. Avere tempo libero per viaggiare, investire sulla propria istruzione o su quella dei figli, attivarsi nel volontariato o in iniziative benefiche, avere una casa che soddisfi le esigenze di tutta la famiglia, sono solo alcuni esempi che permettono di focalizzare la relazione diretta tra felicità, tempo e ricchezza.
Tuttavia, come insegna il mito da cui è ispirato il titolo della nostra rubrica, non è tutto oro ciò che luccica: spesso i piaceri terreni soffocano le occasioni di cogliere i valori reali della vita, magari scalando disordinatamente la scala delle nostre priorità e dei nostri obiettivi. La vera misura della ricchezza, in fin dei conti, è ciò che si ha meno ciò che si vuole.