La figura fondamentale dell’allenatore: competenza, preparazione e tanta passione

Il mese di settembre o l’inizio della scuola segnano anche la ripartenza di tutte le attività sportive e le nostre ragazze e i nostri ragazzi torneranno a frequentare palestre, campi di allenamento, piscine interne. Ad aspettarli, come sempre, le società e in particolare gli allenatori i quali, sicuramente, stanno progettando le loro stagioni sportive già da un po’.

In questo editoriale vorrei parlare proprio della figura dell’allenatore, che dal mio punto di vista spesso non viene considerata abbastanza per la sua importanza nella formazione degli atleti di ogni età, ma in particolare dei più piccoli. Quasi quasi, visto che di giornate dedicate ce ne sono per tutto e tutti, butto lì anche l’idea della “Giornata dell’allenatore”!

Per prima cosa, dato che anch’io da più di trent’anni faccio parte di questa categoria, posso assicurarvi che di allenatori ce ne sono di tanti tipi. C’è chi allena per lavoro e passione, chi lo fa per hobby e passione, chi lo fa per amore e passione del suo sport che magari ha praticato da atleta. Se notate ho sempre messo la parola passione” perché credo che se un allenatore non ha passione non può allenare neanche una categoria o un’atleta di qualsiasi età e disciplina.

Allenare ha la stessa valenza di insegnare: ci vogliono competenze, bisogna essere preparati e continuare a formarsi per migliorare, ma ci vuole soprattutto amore per l’insegnamento. Ne è prova che molti atleti anche di alto livello che intraprendono la carriera da allenatori non sempre riescono ad essere incisivi e molto spesso non riescono a gestire l’atleta o il gruppo squadra.

Il lavoro del coach, infatti, non sta solo nel migliorare i suoi atleti dal punto di vista della tecnica individuale o della tattica di gara, il suo lavoro maggiore è quello di stimolarli a migliorarsi sempre, a sopportare il lavoro fisico in palestra, a gestire le frustrazioni delle sconfitte, a gestire anche le vittorie per non accontentarsi mai.

La mia esperienza è stata ed è solo di sport di squadra, in particolare la pallavolo femminile, e a parte qualche anno in serie maggiori mi sono sempre dedicata al settore giovanile. Anche su questo aspetto gli allenatori si differenziano: alcuni prediligono le serie maggiori, atleti più grandi e più esperti o atleti promettenti, altri, come me, preferiscono allenare i più piccoli, quelli a cui devi insegnare le basi e i fondamentali specifici dello sport. Questa preferenza credo sia solo questione di personalità dell’allenatore, delle sue caratteristiche.

I piccoli atleti sono per me fonte di divertimento e soddisfazione per la loro voglia di imparare, mi sembra di avere in palestra delle “piccole spugne” che assorbono tutto quello che si propone con entusiasmo, e ad ogni allenamento crescono un pochino. È vero, richiedono anche tanta energia, tanta pazienza, ed è una responsabilità forse maggiore: infatti, imparare bene i fondamentali di qualsiasi disciplina è indispensabile per la crescita sportiva degli atleti e in questo l’allenatore può fare la differenza.

Un altro aspetto di cui vorrei parlare è il ruolo dell’allenatore come educatore. Qui apriamo un capitolo su cui tutti avremmo tante cose da dire: atleti, genitori, squadre, insomma tutti. Soprattutto all’inizio della mia carriera ero severa con le mie atlete, pretendevo puntualità, impegno, mi arrabbiavo molto spesso se mollavano durante le gare, ancora di più se piangevano per nulla.

Ora lo sono un po’ meno (sarà l’età che avanza), ma credo sempre che in palestra valgano delle regole precise. Cerco sempre di educare all’impegno, al rispetto delle avversarie, delle compagne, ma anche di se stessi, a rialzarsi dopo un fallimento senza cercare mille scuse e a saper gioire per le vittorie e i progressi fatti.

Spesso crediamo che l’allenatore viva in un mondo a parte rispetto alla squadra, che certe cose non lo tocchino, invece per me non è così. L’allenamento e la partita li vivo come fossi in campo, se si perde è anche colpa mia, se si vince è anche merito mio, ma la cosa a cui più tengo è e sarà sempre il non mollare mai.

L’allenatore è quindi una figura fondamentale nell’educazione dei ragazzi, quanto lo sono gli insegnanti, ma la cosa certa è che non può e non deve sostituire la famiglia. Può essere un valido supporto perché educare alla pratica sportiva è un grande aiuto alla crescita fisica e caratteriale dei giovani atleti, e può aiutarli a superare i momenti di crisi anche personali.

Credo fermamente che complicità, collaborazione e fiducia tra famiglia e allenatore siano indispensabili per raggiungere tutti gli obiettivi. Per fare tutto questo bisogna avere una buona capacità di relazione e di comunicazione.

Non è sempre facile, anzi non lo è mai, bisogna porsi nei confronti dei ragazzi e le loro famiglie in maniera decisa ma non autoritaria, occorre mediare tra le aspettative e le reali potenzialità fisiche e la forza mentale di chi si allena, occorre principalmente mettere tutti gli atleti nelle condizioni di raggiungere il loro massimo, bisogna essere dei buoni motivatori e avere dentro di sé una grande motivazione personale.

Un delle difficoltà più grandi in questo lavoro, in particolare negli sport di squadra, è il rapporto con gli atleti. Ci sono quelli che prediligono un allenatore che incita, che supporta con la voce e con i gesti, ci sono altri che non sopportano che gli si urli dalla panchina, ci sono quelli che quando entrano in campo si chiudono in una bolla e non ascoltano nessuno, altri che ad ogni punto che sbagliano si girano verso la panchina in cerca di aiuto, di un suggerimento, ci sono quelli che se sbagliano due attacchi non giocano più, altri che si arrabbiano e pure chi, per sdrammatizzare il momento no, ride.

Dico sempre alle mie atlete che io sono una e loro si devono rapportare con me nella gestione in campo ma loro sono dodici, e riuscire a cambiare il metodo per ognuna non è sempre facile, anzi è difficilissimo, poi se sono giovani ragazze ancora di più.

In queste riflessioni non ho mai parlato di vittorie. Non perché non siano importanti, anzi lo sono eccome e io non sono una a cui piace perdere (neanche se gioco a carte). La vittoria è e deve essere l’obiettivo di chi pratica uno sport, in particolare se si parla di agonismo. Ma c’è un mondo sportivo in cui conta stare in palestra, incontrarsi e relazionarsi con i pari età, imparare la tecnica individuale per metterla al servizio dei compagni in difficoltà.

Gli obiettivi per questo mondo sono leggermente diversi: certo la vittoria la vogliono tutti, ma più importante è farli appassionare al proprio sport, costruire un gruppo affiatato che lavori insieme divertendosi, dare spazio giocato possibilmente a tutti (lo devono sempre meritare però). La vera sfida per un allenatore è allenare e portare a casa i propri obiettivi in queste realtà, qui si ha bisogno proprio degli allenatori bravi, i quali davvero meriterebbero la “giornata dell’allenatore”.

Nata e cresciuta a Sommacampagna, sono un’insegnante di scuola primaria e di educazione fisica. Alleno da anni il settore giovanile dell’A.S.D. Volley Sommacampagna e coordino i Centri Sportivi Promosport. Lo sport è da sempre nella mia vita e ho avuto la fortuna di farne il mio lavoro. Consigliere Comunale di Sommacampagna, nel primo mandato con delega alla scuola e ora con delega allo sport e pari opportunità. Ottimista, vedo sempre il bicchiere pieno. Mi piace stare in mezzo alla gente e nel tempo libero (poco) amo cucinare per gli amici.