La disabilità, l’incapacità di accogliere l’altro e la mia esperienza di mamma con un figlio con la Sindrome di Down

“Ci fanno venire la nausea, non possiamo cenare vicino a loro”. È con queste parole pronunciate ad alta voce che una famiglia si è rivolta al titolare di una pizzeria ed è uscita dal locale.

L’episodio è avvenuto poco prima di Natale in provincia di Vibo Valentia e destinatari di questa “protesta” sono stati alcuni ragazzi con Sindrome di Down che stavano tranquillamente cenando in quella pizzeria per proseguire la serata guardando una fiction insieme (“Ognuno è perfetto”… ironia della sorte, una fiction con protagonisti persone con la Sindrome di Down che cerca proprio di scardinare molti pregiudizi).

Queste notizie, che ovviamente mi colpiscono in prima persona dato che anche mio figlio ha la Sindrome di Down, mi lasciano sempre basita.

Ho atteso qualche giorno prima di scrivere un commento perché faccio fatica, anzi proprio non riesco a capire cosa passi per la testa di queste persone. Posso capire l’ignoranza, nel senso letterale del termine per cui uno che non è mai venuto a contatto con una persona con la Sindrome di Down possa non sapere alcune cose. A volte mi chiedevano se parla, se capisce…

Ma quello che non accetto è la maleducazione, la totale mancanza di empatia e l’arroganza di sentirsi in diritto di offendere altre persone. L’esprimere ad alta voce un proprio disagio senza minimamente preoccuparsi di come possa sentire chi ascolta.

Immagino che quelle persone si siano sentite in diritto di pronunciare ad alta voce la loro lamentela perché pensavano che quei ragazzi non potessero capirli, ma non hanno nemmeno pensato o concepito che anche se erano da soli al tavolo, nei tavoli vicini potessero esserci persone loro amiche che hanno capito bene (e anche loro comunque hanno capito) e si siano sentite offese dal loro comportamento.

Episodio analogo è avvenuto poco prima della fine dell’anno nei confronti di un gruppo di famiglie con figli con disturbi dello spettro autistico che si sono visti respingere la prenotazione per il cenone di capodanno. La motivazione data era che la struttura non fosse adeguata. L’albergatore sostiene di essersi consultato con un suo collaboratore insegnante di sostegno. Insomma, avrebbero agito per il bene del gruppo di famiglie. Ma dialogare più apertamente con le famiglie stesse? Chiedere a loro se avessero esigenze particolari, se avavano capito che tipo di festa fosse e se avessero già valutato tutto? Che senso ha chiedere ad un insegnante che può conoscere qualcosa sull’autismo ma non conosce quei ragazzi, quelle famiglie?

Si può comprendere che possa esserci una difficoltà nel rapportarsi con questi ragazzi o che si possa avere timore di comportarsi in maniera non adeguata, ma se c’è la buona volontà la maniera si trova. Le famiglie capiscono quando l’interlocutore è ben disposto a trovare una soluzione o quando invece cerca solo delle scuse per non venirti incontro.

La difficoltà maggiore, il passo ulteriore che si deve fare è di considerare ogni persona, disabile o no, in primis come Persona.

La disabilità non definisce la persona, ma è una sua caratteristica come lo sono i capelli biondi o gli occhi marroni. Per questo anche usare le parole giuste può aiutare a fare entrare un concetto. Non diciamo i Down, gli autistici, i sordi, ecc. ma Persone con, mettendo in primo piano la parola Persona e con essa il concetto che ognuno è diverso, ha una sua personalità e le sue caratteristiche come chiunque altro. Sarebbe come essere ancora convinti che le bionde siano oche giulive o che i rossi siano di cattivo carattere.

Per ambedue i casi, comunque, mi sento di dire che non sono stati dettati da cattiveria ma da ignoranza. Tanti passi sono stati fatti da quando le persone con disabilità, specialmente intellettiva, venivano tenute in casa con vergogna e per alcuni è ancora difficile vederle in ambienti “normali”. Una cosa è guardare le Special Olympics, o un programma televisivo, un’altra è trovarseli accanto in pizzeria. O magari che ci lavorano pure in pizzeria!

La strada dell’integrazione e dell’inclusione è già tracciata, si deve proseguire con tenacia perché episodi così non accadano più.

Mi auguro poi, che perlomeno ritorni di moda l’educazione ed il saper vivere civile, che a volte sarebbe già abbastanza.

Nata a Verona risiede a Lugagnano dal 1996. Sposata con Alessandro ha due figli, Matteo e Michele. Collabora nella gestione dello Studio Tecnico del marito. Amante della montagna, della vita all'aria aperta e della lettura.