Era la Lugagnano del dopoguerra che si stava avviando verso una nuova primavera economica e demografica. Chi aveva delle attitudini imprenditoriali e non aveva paura a rischiare del proprio iniziava a dare vita a nuove attività commerciali che si insediavano nel tessuto sociale della comunità, divenendo con essa praticamente un tutt’uno.
Erano quasi sempre abitanti del paese connessi tra loro da una fitta rete di legami famigliari conseguiti attraverso i matrimoni. Erano compaesani che, con le loro neo attività commerciali, supportavano il crescente bisogno di servizi e beni di prima necessità delle nuove famiglie che stavano via via nascendo e crescendo. Non esistevano i centri commerciali, i bisogni delle famiglie trovavano soddisfazione all’interno del paese.
Una di questa è la “botéga storica” di Tomelleri Renata (nella foto di Mario Pachera), un esercizio commerciale di merceria abiti e tendaggi che nasce proprio in quel momento storico e sociale di grande fermento. A fondarla il capostipite Abramo, classe 1915, papà di Renata, supportato dalla moglie Jolanda, classe1919, conosciuta ai più come “la Manzata”. Jolanda di cognome faceva Manzato ed apparteneva ad una numerosa famiglia le cui radici sono fortemente saldate nella comunità di Lugagnano.
Della famiglia Tomelleri fanno parte anche altri due fratelli di Renata: Raffaele, detto “Lele”, conosciuto e stimato giornalista, nonché sindaco di Sona per un mandato, nonché mezz’ala dal piede raffinato della mitica squadra dell’AC Lugagnano di Giancarlo Apostoli, e Fausto, figura storica dell’ufficio distaccato di Lugagnano dell’anagrafe comunale, molto apprezzato per le sue qualità umane e professionali al servizio degli utenti.
Ricordo molto bene quando, da bambino e adolescente, mia mamma mi portava nel loro negozio a comprare da vestire. Ricordo una giovane Renata che lavorava a stretto contatto col il papà Abramo, quando era in negozio, e con la mamma Jolanda. Erano tempi in cui le famiglie numerose monoreddito non avevano grandi possibilità economiche e le spese sostenute per il mantenimento dei figli erano possibili grazie anche al credito d‘onore.
Ho ancora un ricordo nitido di mia madre che, dopo aver acquistato i vestiti per i figli, si rivolgeva alla Manzata dicendole: “Jolanda, passo a fine mese. Va bèn?” “Stai tranquilla, Irma. Non ghé problema”, era la risposta. E a fine mese la Irma arrivava a saldare il debito. Si chiudeva il cerchio di un rapporto tra fornitore e cliente che non aveva bisogno di “pagherò” scritti, si basava sulla fiducia e sulla stima reciproca.
“L’attività è stata messa in piedi da papà prima degli anni 50”, ci racconta Renata. E aggiunge: “Con la sua bicicletta all’inizio e con il furgone poi svolgeva l’attività di ambulante direttamente nelle case e nelle corti sia di Lugagnano che dei paesi limitrofi: Sona, Sommacampagna, Castelnuovo. Con una predilezione per Custoza. All’inizio era in società con il fratello Giovanni, che era più appassionato per gli animali. Erano tempi in cui vigeva ancora il baratto: un pezzo di tessuto per creare una camicia veniva pagato con una gallina. Dopo un paio d’anni le loro strade professionali si divisero”.
“Abitavamo – ricorda – nella casa dove ora c’è la sede Scout a fianco della chiesa. Era la casa costruita dal nonno nel 1906. Era abitazione, magazzino e garage per il camion. Tra le pareti di casa e le mura della chiesa, costruita successivamente, c’era poco più di un metro di spazio”.
Le richieste di abbigliamento e stoffe da parte delle mamme di famiglia erano in costante aumento, per cui Abramo decise di aprire, nel 1961, il negozio di merceria e abbigliamento, la cui prima sede era nello spazio commerciale che si trova sull’angolo di via Don Giovanni Bosco di fronte al bar e poco distante dal distributore di carburante della famiglia Castioni. Il trasferimento nella sede attuale avvenne nel 1973.
“Aprì il negozio anche per il futuro della figlia”, ricorda con emozione Renata. E continua: “Avevo 15 anni e iniziava la mia avventura di commerciante affiancandomi alla mamma. In negozio eravamo io e lei, mentre papà, con il suo fido camion, proseguiva la sua attività di ambulante su e giù per i paesi, a fare il lavoro per cui era nato. Jolanda cominciò a prendere pratica anche nella produzione di tendaggi, per cui oltre a merceria ed abbigliamento, il negozio si arricchì anche di questa offerta alla clientela. Non avevo ancora la patente e giravo già nelle case per prendere le misure o installare le tende”.
“Io e i miei fratelli avevamo propensione allo studio – racconta – e questo faceva molto piacere a papà, che ci incitò a proseguire con gli studi. I miei fratelli seguirono poi altre strade professionali e la mia era, nel pensiero di Abramo, destinata al negozio. Frequentai l’avviamento professionale di tre anni post scuola media all’istituto Lavinia Mondin in città. Allora erano poche le persone che si recavano in città per studiare. Fu una bellissima esperienza di studio. Una volta finita la scuola chi si diplomava era letteralmente preso di mira da offerte di lavoro. Ma il mio futuro era già scritto, ed era un futuro, diventato poi presente, che amo tuttora”.
È un lavoro a cui Renata è molto legata e si capisce dal suo racconto. Nonostante gli anni che passano, si vede ancora saldamente presente dietro il bancone del negozio a servire i clienti.
“Quando la mamma iniziò a distaccarsi dall’attività per sopraggiunti limiti di età – ricorda – non la prese bene ed andò un po’ in crisi. La sua vita era il negozio e le relazioni che all’interno coltivava. Un po’ mi rivedo in lei. Allontano ogni giorno l’idea di staccarmi dalla mia creatura perché, finché la salute me lo permette, tirare su le serrande del negozio ogni giorno ed accogliere i clienti mi fa stare bene”.
Nel negozio di paese il cliente non è un numero ma una “storia personale, familiare, di vita”; andargli incontro, consigliare e trovare la cosa giusta, la giusta misura, capirne le esigenze o proporre soluzioni alternative è un’arte che si insegna nei corsi di marketing, ma che sempre più raramente si coniuga con la passione che si acquisisce con l’esperienza.”Qualche anno fa c’era una signora – ricorda Renata – che veniva spesso da me a prendere dei tessuti per farsi i vestiti. Si chiamava Imelda. Aveva fatto la sarta ed era molto brava in questo. Siamo diventate amiche, rimaneva qua a chiaccherare, a parlare della sua passione per i tessuti e la loro lavorazione. Lavorava ad uncinetto e faceva dei lavori splendidi”.
Il ricordo di Renata si sposta poi sul “Libro”, una consuetudine degli anni passati di fare credito ai clienti che non potevano saldare al momento dell’acquisto. Il “Libro” era un registro tenuto in negozio su cui veniva segnata la merce consegnata ai clienti e che poi gli stessi avrebbero saldato o a rate o fine mese. Chiamiamolo “conto vendita” nel gergo commerciale attuale. A me piace chiamarlo “credito d’onore”.
“Era un patto dettato da fiducia nei clienti – ricorda Renata – che nella stragrande maggioranza dei casi non veniva mai disatteso. Qualcuno se ne è anche approfittato e a volte i crediti dovevamo andare a riscuoterli a domicilio dopo varie insistenze oppure venivano persi. Ma finché è stato possibile farlo dal punto di vista fiscale, non abbiamo mai avuto dubbi nel concedere credito alle famiglie che avevano bisogno e che erano meritevoli di fiducia. Ricordo che quando papà si ritirò dall’attività (aveva circa 80 anni) era felice nell’affermare che non vantava crediti nei confronti di nessuno, segno che aveva incontrato principalmente gente onesta nella sua carriera professionale”.
Un altro ricordo che riporta Renata, con emozione, ai primi anni della sua carriera di negoziante è l’allestimento delle vetrine del primo negozio per il Natale: “Ci eravamo avvalsi della Lina Boscaini che aveva il negozio di fiori lì vicino. Fece uno splendido lavoro! Le vetrine erano favolose, anche perché disponevamo di stoffe talmente belle e curate, che ricordo ancora e che vorrei ancora qui con me, che davano prestigio al negozio. Vivevamo in cinque in uno spazio condiviso tra abitazione e negozio. Ma che bei anni! Si stava costruendo la nostra attività commerciale”.
Racconti di anni scanditi da relazioni umane profonde, dove i ruoli di commerciante e cliente si intersecavano nei solchi della fiducia e della stima reciproca. Essere commerciante di paese era motivo di orgoglio e soddisfazione. “Non che ora non lo sia – conclude Renata – ma in quegli anni era qualcosa di speciale”.
Nella comunicazione che le aziende fanno della loro immagine, ove esiste una radice di storicità di servizio, viene messa bene in evidenza. Storicità significa competenza, conoscenza, solidità, identità. Fattori distintivi. La relazione, altro fattore distintivo, non è altrettanto evidenziabile. Quella va raccontata, ma prima va vissuta.