L’11 luglio, la vittoria al Mundial di Spagna come oggi, Enzo Bearzot ed un’Italia differente

Enzo Bearzot dopo la trionfale ed irripetibile finale del Mundial in Spagna l’11 luglio 1982, che come oggi quarantun anni fa ci portò sulla vetta del mondo, affrontò quattro anni dopo in tono minore il mondiale messicano. Finito il quale, dimessosi, si allontanò da un calcio che non riconosceva più e rimase il simbolo di un’epoca da rimpiangere.

Nel Paese degli opportunisti, il “Vecio” – come veniva chiamato – non trasse alcun vantaggio dall’impresa spagnola, che meritatamente fece di lui e della sua pipa l’icona di generazioni di italiani.

Terminato il suo lavoro in azzurro, non cercò club da allenare, non gironzolò per talk show, non accettò accordi pubblicitari o contratti di consulenza. Semplicemente si mise da parte, passando le giornate a girare da solo in bicicletta a Milano oppure frequentando sempre il solito bar, dove – lo racconta lo scrittore Pietro Trellini – s’intratteneva a parlare di calcio (e di politica), sempre sottovoce, come era nella sua indole.

Visse, con dote oggi quasi scomparsa, un senso impeccabile ed introvabile dell’uscita di scena, senza aggrapparsi alla nostalgia della gloria. Non sentiva la necessità degli orpelli di quelle commemorazioni, spesso vuote o mal sopportate, che si riservano ai reduci.

I social erano di là da venire e in quell’Italia non si era ancora schiavi dell’ansia di apparire sempre e comunque, malattia moderna che si impone sul valore di ciò che realmente conta e di ciò che è fondamento e non sola immagine, sia nei rapporti privati che nelle vicende pubbliche. Al “Vecio” era più che sufficiente serbare dentro se la memoria di ciò che era stato e di ciò che aveva vissuto.

Bearzot ricordava ancora, e lo raccontava spesso, quel pomeriggio del 19 giugno 1938 “quando eravamo tutti nella piazza di Gradisca, dove vivevo da bambino, a sentire la voce del mitico Carosio dagli altoparlanti raccontare la finale di Parigi tra Italia e Ungheria”. E della sua finale, quella di Madrid del 1982, rammentava non tanto la partita quanto soprattutto la forza e le qualità di quel gruppo, ricordava “i ragazzi che mi buttavano in aria”.

Ma l’immagine più viva del Mondiale di Spagna, per lui, rimase sempre il bacio dell’altro grande vecchio di quel mondiale, Dino Zoff, dopo l’incredibile partita con il Brasile. Solo loro due nel centrocampo del vecchio stadio Sarrià. Un’altra Italia, e forse anche degli italiani differenti.

Nato nel 1969, risiede da sempre a Lugagnano. Sposato con Stefania, ha due figli. Molti gli anni di volontariato sul territorio e con AIBI. Nella primavera del 2000 è tra i fondatori del Baco, di cui è Direttore Responsabile. E' giornalista pubblicista iscritto all'Ordine dei Giornalisti del Veneto. Nel tempo libero suona (male) la batteria.