Nel settembre 2021, Irene Genesini, residente a Lugagnano, aveva solo 22 anni, ma si è trovata a dover fare una domanda molto importante: “Allora, ho il cancro o no?”. “Tutto è iniziato con un dolore strano al polmone, che, un po’ per paura, mi ha spinta al Pronto Soccorso di Peschiera del Garda. Dopo una lastra al torace e degli esami del sangue è emerso che avevo una polmonite, ma soprattutto che in quella zona avevo dei linfonodi più grandi della norma. Dopo ulteriori approfondimenti e una visita con lo pneumologo, ho fatto una biopsia ad un linfonodo del collo. Dopo circa due settimane, questa mi ha dato la risposta che nessuno vorrebbe sentirsi dare. Avevo un tumore del sistema linfatico, un linfoma di Hodgkin. È stato mio papà a darmi la notizia quel giorno. Per un solo minuto, mi sono abbandonata allo sconforto, abbracciandolo e piangendo. Per un solo minuto. Dopodiché, mi sono ricomposta”.
Purtroppo, la risposta a quella fatidica domanda è stata “Sì”. È da quel momento che inizia per Irene un percorso estremamente intenso, affrontato con caparbietà e forza d’animo. “Con questa diagnosi in mano, sono stata indirizzata al reparto di ematologia dell’ospedale di Borgo Roma. Al primo incontro con il mio ematologo, il dottor Marco Sorio, mi sono presentata con una nota sul telefono su cui mi ero appuntata tutte le domande che avevo: dalle più stupide, come ad esempio se potevo stare a contatto con il mio gatto, alle più importanti, come quelle sulla perdita dei capelli o sugli effetti collaterali della chemioterapia. Per affrontare tutto al meglio, dovevo sapere tutto quello che mi stava aspettando: la mia mente doveva essere preparata a qualsiasi evenienza. Un’altra strategia che avevo adottato per poter mantenere un equilibrio – ci racconta Irene – era quella di documentare tutto quanto con delle fotografie, già dal momento in cui ho fatto la biopsia. Una volta chiarito il percorso, ho quindi iniziato a fare chemioterapia a settimane alterne, accompagnata da iniezioni per controllare il livello di globuli bianchi e farmaci per contrastare gli effetti collaterali. Nello specifico, c’era un farmaco che previene il vomito, che si chiama Akynzeo, che mi veniva dato prima di iniziare la terapia e che mi copriva per tutti e cinque i giorni successivi. Mi rifiutavo di iniziare se prima non prendevo quella pastiglia”.
Nel paziente giovane, come Irene, una diagnosi ad alto impatto emotivo come quella di cancro può portare alla negazione e di conseguenza a problemi di salute mentale e a una scarsa adesione alla terapia. Per lei non è stato così. Nei mesi successivi, Irene si è buttata a capofitto, si è sottoposta in modo ligio a tutte le terapie, con il supporto dell’equipe, ma soprattutto della famiglia, del ragazzo e degli amici più stretti.
“Se c’è una cosa di cui sono orgogliosa, è il modo con cui ho affrontato tutto il processo – prosegue Irene -. Rimango convinta di essere stata fortunata, perché il mio tumore è uno di quelli che ha una buona percentuale di guarigione. E questo è il pensiero positivo che mi ha accompagnata nell’ultimo anno. Il resto è venuto da sé: la cura c’era, quindi, bastava solo sottoporsi in modo ligio a tutto quello che era necessario fare. Un altro aspetto positivo è stato che, non appena sono arrivata in reparto, mi è stato chiesto se volessi iniziare un percorso di psicoterapia, e ovviamente ho risposto di sì. Sono convinta che sia qualcosa a cui tutti dovrebbero avere accesso e, di conseguenza, che tutti dovrebbero fare nella vita. Nel mio specifico caso, si è rivelata fondamentale sia per comprendere i meccanismi inconsci di difesa che mettevo in atto, come ad esempio il cercare di convincermi sempre di essere stata fortunata, sia per attraversare i momenti più complessi”.

“Ricordo che nel periodo in cui ho iniziato a fare la radioterapia – ci racconta – la sera mi ritrovavo a guardare le foto che avevo fatto nei mesi precedenti. È stato in quel momento che ho realizzato che avevo davvero il cancro. La spiegazione che mi è stata data è che fino a quel momento avevo corso con un’armatura addosso, un’armatura molto pesante, che mi stavo finalmente togliendo per la prima volta, mostrandomi vulnerabile. Riguardavo quei ricordi e mi abbandonavo al pianto, come se fino a quel momento non mi fossi accorta di quello che stavo realmente affrontando. Sentivo di essere arrivata ad un punto di sfinimento mentale tale per cui anche solo vedere l’ospedale di Borgo Roma mi faceva venire la nausea. E questa sensazione si palesava anche nel fatto che non avessi più nemmeno voglia di documentare ciò che mi accadeva. Oltre a questo vacillamento, ho avuto altri momenti difficili, e li ricordo tutti molto bene. Forse perché, tutto sommato, sono stati pochi. Ricordo una mattina in cui dovevo andare a fare colazione con delle amiche delle superiori: quando mi sono svegliata quella mattina ero priva di energie e questo mi ha reso impossibile andare. La sensazione di sconforto quel giorno era tanta, perché sentivo che il cancro mi stava togliendo l’opportunità di vivere anche queste piccole cose. Inoltre, durante questo periodo, è venuta a mancare mia nonna, il che ha reso tutto più impegnativo anche per i miei cari. L’unico modo per scacciare le cattive sensazioni di questi momenti era il rimanere positivi e il non prendermi mai sul serio. Ricordo serate passate con i miei familiari a giocare ai giochi da tavolo, in cui il solo rischio di perdere mi faceva sfruttare la compassione per vincere. Ricordo anche di aver fatto molte foto della mia testa senza capelli, per poi scoprire che sembrava quasi un uovo”.
Con alti e bassi, Irene si è trovata ad affrontare qualcosa di poco comune. La rete di supporto che ha avuto a fianco, data dai genitori sempre presenti a terapie e visite di controllo, dalle sorelle, dal ragazzo che le è rimasto a fianco anche nei weekend più pigri, ha permesso che il suo senso di positività si mantenesse tale.
Tuttavia, si tratta di un vissuto che solo chi ha sperimentato in prima persona può comprendere nei minimi dettagli. “C’è stato un momento, all’inizio, in cui ho sentito il bisogno di confrontarmi con una persona che questo percorso lo aveva già affrontato. C’era questa ragazza che conoscevo da un po’ di anni, che tramite i social aveva parlato del suo cancro, perciò, mi sono fatta coraggio e le ho scritto. Solo successivamente è emerso che le nostre diagnosi erano uguali e che quindi c’era tanto che potevo chiederle. Questo supporto ricevuto, sono riuscita poi a mia volta a darlo ad un’altra ragazza di recente. Ciò che mi sono sentita di fare è raccontare il mio vissuto e quali sono gli ostacoli che ho trovato io, magari consigliando anche gli escamotage che mi sono stati proposti, come la psicoterapia, o il mio tanto amato Akynzeo. È inutile preannunciare a qualcuno che sicuramente vomiterà con la chemioterapia, o che perderà i capelli all’istante. Io ho iniziato a perderli poco prima della seconda settimana di chemioterapia, e per questo ho deciso subito di rasare completamente la testa. Altre persone hanno affrontato questo problema dopo alcuni mesi. Ciò che è fondamentale trasmettere in questi casi è che qualcun altro ha già affrontato questo percorso con successo e che qualsiasi sensazione era compresa e legittima”.
Nel settembre 2022, dunque, Irene di anni ne ha 23 e la sua PET, l’analisi radiologica, è pulita. La domanda che si è trovata a fare questa volta è: “Ma quindi posso cantare vittoria?”. Dovrà continuare un percorso di analisi radiologiche ed ematiche per qualche tempo, ma il finale sembra lieto. La risposta è stata: “Tu canta e basta”.
“Quando si prende un’influenza, e ci si ritrova a letto con la febbre, si pensa sempre ‘Wow, come stavo bene prima!’. Mentre stavo male avevo una sensazione simile, ma moltiplicata per dieci, cento, mille volte. Ora ho chiaro che la salute è ciò che abbiamo di più importante e che dobbiamo essere grati alla vita già solamente per questo. Sono cosciente che non è la sola cosa importante, però la considero una buona fetta di felicità. Sento di aver realmente capito cosa conta nella vita, ho imparato a distinguere chi sono le persone importanti e le amicizie vere, e anche a non dare troppo peso ad alcuni problemi di poco conto. Ad oggi – conclude Irene – mi sento serena: sono grata alla mia famiglia, al mio ragazzo, ai miei amici e in generale alle persone che mi hanno aiutata. Insomma, sono grata alla vita! Sto riprendendo in mano la mia vita a 360 gradi: esco con gli amici e con il mio ragazzo, ho ricominciato a studiare per l’università. In futuro vorrei poter lavorare come maestra d’asilo con i bambini, che giocano tanto e si stufano in fretta, proprio come me!”.