Le migliaia di contatti al nostro sito (più di quindicimila le letture) e la fortissima risonanza social avuta dalla notizia che abbiamo dato qualche giorno fa del parto avvenuto su un’ambulanza del SOS di Sona è stata, per certi versi, una vera sorpresa. Non ci saremmo aspettati una diffusione e una partecipazione così ampia e così trasversale. Questo riscontro, non certo cercato, ha indotto più di qualche riflessione postuma.
Le domande che ci viene spontaneo porci sono: tanto consenso è un effetto imputabile al tipo di notizia a cui si fa riferimento nel post? Una nascita, appunto, che coinvolge emotivamente chiunque. O è un effetto legato alla reputazione di cui indiscutibilmente gode il SOS di Sona?
E’ innegabile che entrambi i fattori abbiano contribuito a fare da cassa da risonanza. Aggiungiamo poi che, istintivamente, siamo un po’ tutti portati ad appassionarci, a farci coinvolgere ed a provare entusiasmo per notizie positive e dal lieto fine.
Nel mondo del soccorso sanitario è possibile incrociare situazioni che coinvolgono l’intero ciclo della vita, dalla nascita alla morte. Si accompagna una nuova vita a venire al mondo, come nel caso di un parto in ambulanza, e si combatte la morte come possibile esito di un evento quale un malore improvviso o un incidente stradale. Situazioni opposte ed estreme per certi versi.
Ma nel mare magnum di tutto quello che rappresenta il soccorso sanitario non sempre è una questione di vita o di morte. Parliamo di un impegno molto tecnico e molto interventista nei casi estremi. Di pari dignità ci sono tutte le altre situazioni nella quali conta molto più la qualità della relazione e del tipo di approccio alle situazioni.
Tanto per essere concreti: accompagnare un paziente all’ospedale per la seduta di dialisi o intervenire per un Trattamento Sanitario Obbligatorio, rappresentano situazioni da gestire in maniera completamente differente rispetto ad un parto o ad un incidente stradale.
Quasi sempre finiscono sotto la luce dei riflettori solo le azioni eclatanti, mediaticamente parlando, e passano in secondo piano o sotto traccia le azioni altrettanto straordinarie dal punto di vista di pura relazione umana. Per certi versi, la mia è una critica al volontariato del soccorso che, a volte, vive molto di autoreferenzialità e autocelebrazione. L’essere riconosciuti per coloro che fanno qualcosa di speciale e unico è un’arma a doppio taglio che rischia di alimentare eccessivamente l’ego e ti fa deviare dal senso di quello che fai e dal perché lo fai: l’essere al servizio delle persone è una consapevolezza puramente elettiva che dovrebbe accompagnare quotidianamente l’azione di un volontario.
L’umiltà nell’approccio, lo spirito di adattamento rispetto alle situazioni che incontri, la capacità di ascolto del disagio e di accoglienza priva di giudizio, la capacità di mettere in secondo piano se stessi svuotando il proprio io per incontrare il diverso, sono splendide caratteristiche di tutti quei volontari che, quotidianamente, svolgono la propria opera nell’ assistenza agli anziani, ai malati terminali, ai portatori di handicap, ai bambini gravemente malati, alle fasce deboli della società, alle emarginazioni di qualsiasi genere. Spesso in silenzio, con grandi sacrifici personali, senza tangibili riconoscimenti pubblici, in continuità assistenziale di giorni, settimane, mesi o anni. Ci vuole molto coraggio.
Nutro profonda ammirazione per queste realtà. Nel mondo del volontariato c’è molto da imparare gli uni dagli altri. La varietà delle esperienze rappresenta la vera ricchezza di tutto il movimento. Quindi, perché fare volontariato? Non esiste una risposta che vale per tutti. Ogni volontario ha la propria ed è quella che ci si dà giorno per giorno per trovare le motivazioni per andare avanti. Se alla fine di un impegno da volontario senti che il tuo animo è più ricco per l’azione che hai fatto e per l’incontro avvenuto la risposta l’hai già dentro di te.