Il vaiolo a Palazzolo nel 1905

Riproduciamo integralmente due articoli pubblicati nell’agosto 1905 sui giornali L’Adige e Verona Fedele, riguardanti alcuni casi di vaiolo a Palazzolo.

Dalla loro lettura emergono due argomenti degni di considerazione. Anzitutto si vede come questo morbo, oggi totalmente debellato, a quell’epoca mietesse ancora vittime. In secondo luogo, dal tono del giornalista di Verona Fedele (il quale si meravigliava che un’epidemia che aveva provocato “appena” tre morti avesse potuto causare tanto clamore e allarmismo) si capisce come la morte per malattia contagiosa fosse considerata a quei tempi un’eventualità possibile, per non dire normale.

Oggi un fatto simile avrebbe risonanza nazionale, e susciterebbe denunce e polemiche.

Da L’Adige del 23 agosto 1905.

Già da parecchi giorni in città non si fa che parlare dell’infierire del vaiuolo nella nostra provincia e del suo pericolo grave che sovrasterebbe anche la nostra città se la infezione non venisse circoscritta. Abbiamo voluto assumere precise informazioni su quanto vi sono di vero sulla voce sparsasi e circolante con insistenza ed abbiamo potuto raccogliere a proposito i seguenti dati di fatto. Ferro Giuseppe proveniente da Metz 50 giorni fa arrivato a Palazzolo, ammalò di vaioloide, passata inosservata a lui e ai medici. Quindici giorni dopo l’arrivo, s’ammalò pure la madre di lui, Ferro Luigia di una forma di vaiuolo così mite da passare pure inosservata. Dopo altri otto giorni invece cadde inferma la figlia Ferro Dosolina, Palmiro Vicentini ed il figlio Ferro Luigi con forme gravi di vaiuolo confluente. Contemporaneamente la nuora di Ferro Luigia, maritata Carlotti, fu colpita da vaiuolo in un’altra parte della frazione di Palazzolo. In totale si sono avuti sette vaiolosi, dei quali i due primi con forme mitissime, mentre gli altri ebbero un’infezione così virulenta, che due di essi sono già morti. 

Da Verona Fedele del 25 agosto 1905.

Riceviamo da Sona 24. Da qualche giorno leggo dai giornali cittadini corrispondenze dai Comuni limitrofi riguardanti l’infezione vajolosa avvenuta nella frazione di Palazzolo di questo Comune. Come sempre in simili casi l’agitazione degli animi fece scrivere a quel corrispondente asserzioni molto esaltate, e persuase alcune amministrazioni comunali a dare disposizioni persino contrarie alle leggi. Una doccia fredda sarebbe utilissima a tutti costoro, la quale sarebbe immensamente benefica anche perché non lascerebbe più spaventare le popolazioni. Fu proprio il solito vetusto fatto: mons parturiet mus. Non rilevo neppure i dettagli molto inesatti della corrispondenza pubblicata stamane su altro giornale; dico solo e dichiaro che i fatti veri sono questi: un individuo reduce dai lavori in Svizzera, dopo qualche giorno che si sentiva indisposto chiamò il medico il quale subito constatò trattarsi di vajuolo; ma quell’individuo in quei giorni precedenti era stato a contatto coi parenti. Da ciò la diffusione del male, che il medico subito verificò, e ne fece immediato rapporto alla Autorità Comunale. Questa senza perdere un minuto di tempo impose rigoroso isolamento con severissima sorveglianza alle case infette e subito telegrafò alla Prefettura e medico provinciale informando: le autorità locali, il medico, il segretario comunale e tutti gl’impiegati con zelo encomiabilissimo si prestarono costantemente a che gli ordini emanati fossero eseguiti scrupolosamente. Un encomio speciale è dovuto al M. R. Arciprete ed al M. R. Cooperatore che si prestarono con abnegazione veramente evangelica, ma anche con intelligentissima attività. Il risultato ottenuto (che fuori di quelle tre case infette) non si verificò alcun caso di vajuolo, prova chiaramente che le disposizioni date erano di giusto criterio ed efficaci. Di sette colpiti, tre morti, gli altri in via di avanzata guarigione. Quando giunse il medico Provinciale in automobile, fatta una visita, approvò pienamente le disposizioni prese dall’Aut. Locale, come pure approvò poi la Prefettura con sua nota encomiando. Dunque riassumendo. Infezione importata senza colpa né delle Autorità, né del medico che non può essere indovino, ma subito circoscritta e direi repressa nel suo principio, ed ormai senza più pericolo della popolazione del Comune, e tanto meno dei limitrofi. Se terribile è il male, se grave fu il pericolo fu però coscienziosamente e col massimo rigore ed energia circoscritto e fermato. Ma devo aggiungere che fu anche grande l’esagerazione che certi tali esaltati o troppo paurosi vollero dedurne, inconscii che con tale sistema si può comunicare il loro spavento alle popolazioni, ciò che è pur sempre di grave danno. Tanto per la pura verità e per mettere le cose a posto e finirla con chiacchiere inesatte.

Nato a Verona nel 1956, lavora come medico di base. Dal 2003 è redattore del “Baco da seta”, su cui pubblica articoli che trattano quasi sempre di storia del nostro Comune. E’ presidente del “Gruppo di ricerca per lo studio della storia locale di Sona”, che fa parte della Biblioteca comunale di Sona.