Stavo uscendo di casa dove mi ero fatta una doccia fantastica, con una nutriente colazione. Ero già andata in palestra e stavo riflettendo sul colore dei miei capelli quando, spegnendo la mia televisione satellitare che mi dà la possibilità di vedere tutti i canali in tutte le lingue con i sottotitoli, ecco che compare la notizia.
Mi sono seduta arrabbiata, sconfortata, avvilita. Mi sono collegata su tutti i social (certo io ho internet a casa e in mobilità), ho guardato le diverse posizioni, ho letto e controletto. E poi ho cercato le opinioni dei miei giornalisti preferiti, dei miei intellettuali di riferimento e poi ancora dei miei nemici, della gente che disprezzo, dei politici a cui non assomiglio per niente e mi sono fatta un’opinione precisa: io non ho un’opinione.
O meglio non ho un’opinione che mi renda soddisfatta di me stessa. Perché dal mio divano è tutto semplice: siamo vulnerabili, la guerra è ingiusta, ma com’è possibile, i musulmani non sono tutti uguali, i controlli sono insufficienti e non ci sono più le mezze stagioni.
La realtà è che tutti noi, pur impotenti , pur inutili, possiamo fare qualcosa. Io per esempio sono andata subito in libreria e ho comprato per i giovani adolescenti con cui vivo un paio di libri che raccontino la situazione della donna nei paesi dove vige il regime dell’Isis.
Che raccontino piccole storie di piccoli eroi che nei loro terribili paesi, ce la vogliono fare. Contro tutti vanno a scuola, creano giornaletti sovversivi. Fanno la storia, quella che non si vede.
Quella ad esempio della foto del piccolo profugo musulmano in un campo di accoglienza con un cartello che dice “Sorry for Brussels”.
E poi sono andata a cercare filmati girati di nascosto a Raqqa. Sapete dov’è Raqqa? Ecco, io con tutta la mia sapienza, la mia tecnologia, non sapevo nemmeno il nome della capitale del califfato islamico. E ho visto le donne con il niqab (sapete cos’è? E soprattutto sapete come possa essere conviverci?) e bambini che a scuola imparano la guerra, con dovizia di particolari, a cui non insegnano l’arte, bambini per i quali il resto della storia del mondo rimarrà sconosciuta e poi uomini decapitati in piazza per i più svariati motivi.
E niente musica, né giornali, né intrattenimento. E il mio stomaco pieno, si è chiuso come quando ho letto Mille splendidi soli (l’avete letto?) e ho scoperto il mondo talebano.
E anche allora lo prestai a tutti. Cercavo proseliti. Poi si sa, ho mollato. Ho una vita io. Mica mi posso occupare sempre di tutto. Anche se non me la sono sicuramente meritata questa vita. Mi è capitata. Magari se fossi nata a Raqqa (siete mai stai a Raqqa?) e fossi stata un maschio, a scuola non avrei avuto la libertà di leggere un romanzo. Avrei dovuto prepararmi a farmi esplodere in qualche città.
Se fossi stata femmina nemmeno mi sarebbe stata concessa la scuola perché a 9 anni sarei andata in sposa a un vecchio che poi mi avrebbe fatta stuprare in piazza perché colpevole di chissà quale crimine. Ma io sono nata in Europa, sono libera e la guerra non mi fa paura.
Non la capisco del tutto, non trovo il bandolo: l’accoglienza, la tolleranza , l’integrazione, le armi, l’energia, la religione. No è troppo per me. Ma vi assicuro che nei prossimi mesi quei poveri ragazzini che mi frequentano, Oliver, Anita, Riccardo io li annoierò, io li stremerò perché loro non dovranno parlare per luoghi comuni, non dovranno farsi un’opinione tra un whatsapp e l’altro.
Il mio dovere di guerrigliera di provincia sarà informarli, usando un linguaggio di pace, di comprensione anche quando il sangue offusca le menti.
Ecco, noi che il sangue l’abbiamo visto poco e prevalentemente in televisione non possiamo perdere la lucidità. No, noi non possiamo. Accendiamo la luce e non dimentichiamoci chi siamo.
Ma soprattutto ricordiamoci che non è sempre merito nostro. Solo il Cielo lo sa.
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