La Recensione
Ruth Malone è la Marilyn Monroe del Queens. Ha ventisei anni, i capelli rossi fiammanti, la voce roca, un corpo sinuoso, abiti strizzati e tacchi alti. Ha lasciato il marito e vive sola in un appartamento in cui la polvere non viene tolta di frequente ma le lenzuola sì, dal momento che spesso e volentieri di sera porta a casa dal pub uomini sempre diversi, nonostante abbia due figli piccoli di cui occuparsi. Questo fa chiacchierare tutto il quartiere. Non c’è donna che non le rivolga occhiatacce e la consideri una minaccia o una poco di buono.

Siamo a New York negli anni Sessanta e quando i figli scompaiono improvvisamente nel nulla, per essere poi trovati morti, tutti danno la colpa a lei. Ruth Malone non può essere una buona madre dal momento che è divorziata e provocante. L’opinione del quartiere è che si sia sbarazzata dei figli per vivere più liberamente le sue storie di sesso. Eppure lei nega tutto e le prove schiaccianti non si trovano.
Il giallo dell’esordiente Emma Flint tocca il tema della condizione femminile, in una società che condannava le donne a essere solo mogli devote e madri premurose, con l’unica ambizione nella vita di sposare l’uomo giusto e metter su famiglia in una bella casa.
Una donna provocante come Ruth Malone non può essere anche una brava mamma e quindi nessuno tenta di credere alla sua innocenza, a parte un giovane giornalista, che cercherà di trovare la verità andando oltre i pregiudizi.
Si tratta di un thriller psicologico avvincente, in cui le pagine volano, ma anche un libro che fa riflettere sulla condizione delle donne di ieri ma anche di oggi. In qualche frangente della propria vita, ogni donna è stata Ruth Malone.
La protagonista è stata giudicata, condannata, usata e disprezzata non solo dagli uomini ma anche dalle donne stesse, che, invece di provare a capirla, la colpevolizzano, perché guardare negli occhi di Ruth significherebbe mettere in discussione loro stesse, i principi su cui hanno basato la loro esistenza, scoprendo magari di non essere nè libere né felici.
Quell’uomo non aveva idea di cosa volesse dire sentirsi in colpa. Non sapeva cosa voleva dire lasciare i bambini soli in casa o con una babysitter appena adolescente per andare a lavorare otto ore filate su un paio di tacchi alti che ti scorticavano i piedi, servire da bere a degli stronzi che pensavano di essersi comprati il diritto di palpeggiarti a ogni giro di bevute. Non sapeva cosa voleva dire lasciare i bambini addormentati mentre incontravi un uomo che avrebbe pagato per la tua compagnia perché tua figlia aveva bisogno di un paio di scarpe nuove. Non sapeva cosa voleva dire mandare i bambini a letto con la fame, cercando di saziarli con l’acqua e aggiungendo un goccio di whisky per farli dormire, perché se li avessi lasciati mangiare a volontà non ci sarebbe stato niente per la colazione, perché gli assegni di quel fannullone del padre erano sempre scoperti. Non sapeva cosa voleva dire tornare a casa dopo dodici ore di lavoro, con le loro facce impresse nella mente dall’inizio alla fine, aggrapparsi al dolce profumo della loro pelle mentre pulivi il vomito dalle scarpe e raccoglievi mozziconi di sigaretta da un bicchiere ancora mezzo pieno. E poi varcare la soglia di casa e sentire il loro baccano: gli strilli, le grida e le continue richieste, di cibo e di attenzione, e sentire che la loro esistenza – tutto il loro versare, tirare, strappare, chiedere – ti metteva voglia di dare tutti i soldi che avevi in borsa alla babysitter e supplicarla di restare. O, in mancanza di soldi e di babysitter, di scappare perché eri così stanca, e avevi bisogno di un momento di solitudine. Di pace. Quell’uomo non ne aveva la più pallida idea.
La Scheda
“Tutta la verità su Ruth Malone” di Emma Flint, Piemme, 2019, pp. 333.