La Recensione
Di “It” da qualche mese si parla molto, dal momento che sta per uscire in Italia l’attesissimo film. Il libro, da cui è tratta la pellicola, risale al lontano 1986, ma è ben presente nella mente di tanti lettori, visto che questo tomo di milleduecento pagine è stato uno dei più grandi successi di Stephen King.
Sarebbe riduttivo etichettare il capolavoro del Re solo come romanzo horror o fantasy. Lo è sicuramente ma rientra a buon diritto anche nel genere del romanzo di formazione. La storia riguarda sette amici, sette ragazzini che a Derry, nel Maine, si trovano ad affrontare l’orrore. E visto che lo affrontano due volte, prima da bambini e poi da adulti, la narrazione procede in parallelo.
Il terrore, che sarebbe durato per ventotto anni, ma forse anche di più, ebbe inizio, per quel che mi è dato sapere e narrare, con una barchetta di carta di giornale che scendeva lungo un marciapiede in un rivolo gonfio di pioggia.
L’incipit del romanzo contiene una scena indimenticabile, quella di una barchetta che scende pigra lungo un rigagnolo d’acqua piovana e conduce ad un luogo buio e fetido, dove il lettore scopre l’assurda morte del piccolo George Denbrough. Questo è anche l’inizio di un incubo, che per i ragazzi di Derry durerà anni. Si trovano infatti ad affrontare un mostro di nome It, rappresentato come un clown spaventoso e mutante, Pennywise, che si mostra nitidamente solo ai bambini, terrorizzandoli nei posti più impensati della cittadina americana.
Le avventure e l’orrore che devono affrontare i protagonisti si snodano lungo due linee temporali: la gioventù e l’età adulta. Sì, perché da grandi, quando le loro strade sono ormai diversissime e lontane dal luogo natale, il gruppo di amici è costretti a tornare a Derry e a vedersi catapultato nuovamente nei ricordi angoscianti, nell’orrore e nel male, che aveva sconvolto la loro infanzia per sempre.
Nonostante l’insinuarsi dell’angoscia, che molesta la vita e i ricordi di tanti personaggi, il capolavoro di Stephen King tocca il cuore ed emoziona nel profondo, perché è soprattutto un inno all’amicizia, a quel legame che per i più fortunati dura nel tempo e sa conferire una forza indistruttibile contro cui il male non può vincere.
Il vero orrore, sembra volerci dire il Re, resiste solo in quelle persone che non sanno affrontare il male; usando la carta dell’amore, del coraggio e della speranza si può invece riuscire a sconfiggere la paura, la delusione, l’umiliazione.
Alla fine del libro ci si sente un po’ orfani perché è impossibile non immedesimarsi dalla prima alla milleduecentesima pagina nelle vite di Ben, Beverly, Richie, Bill, Eddie, Stan e Mike. Impossibile non sentire di aver respirato l’aria di Derry, visitato la sua biblioteca e camminato furtivi per le sue strade. Impossibile, dopo la lettura di “It”, continuare a guardare tombini e palloncini nelle stesso modo di prima. Garantito.
Allora vai senza perdere altro tempo, vai veloce mentre l’ultima luce si spegne, vattene da Derry, allontanati dal ricordo… ma non dal desiderio. Quello resta, tutto ciò che eravamo e tutto ciò che credevamo da bambini, tutto quello che brillava nei nostri occhi quando eravamo sperduti e il vento soffiava nella notte. Parti e cerca di continuare a sorridere. Trovati un po’ di rock and roll alla radio e vai verso tutta la vita che c’è con tutto il coraggio che riesci a trovare e tutta la fiducia che riesci ad alimentare. Sii valoroso, sii coraggioso, resisti. Tutto il resto è buio.
La scheda
“It” di Stephen King, Sperling & Kupfer, 1986, pp. 1216.