Il libro: “I miei stupidi intenti” di Bernardo Zannoni. Storia di una faina e delle nostre paure più nascoste

La Recensione

“I miei stupidi intenti”, il romanzo d’esordio del venticinquenne Bernardo Zannoni, vincitore del Premio Campiello, ha per protagonista una faina di nome Archy. La trama ruota attorno ad un bosco, una collina e varie tane popolate da animali: la volpe Solomon è l’usuraio, il cane suo aiutante si chiama Gioele, i fratelli di Archy hanno nome Leroy, Louise, Cara, Otis. Leggendo queste prime informazioni, viene facile l’associazione con le favole di Esopo e Fedro, ma in questo caso la vicenda ha sfumature decisamente più cupe.

I momenti piacevoli, leggeri e spensierati sono pochi rispetto alle avversità che colpiscono gli animali che vivono attorno al bosco e che si trovano a lottare ogni giorno contro il freddo, la fame, la violenza e i soprusi.

Il luogo in cui si svolge la vicenda non è altro che una metafora della vita di ognuno e il protagonista, che narra in prima persona il suo percorso, dalla nascita alla morte, incarna i desideri, i dubbi e le paure di ogni essere vivente. Archy rappresenta sia il modo di sentire degli animali che quello degli uomini, celando sotto la sua pelliccia sia istinto che ragione, in perenne lotta tra loro.

La domanda che attraverso Archy il lettore si pone per tutta la durata del romanzo è cosa differenzi l’uomo dall’animale e quanto sia difficile riuscire a dominare gli istinti, siano essi brame amorose o aggressività, accettando i propri limiti ma sforzandosi di essere migliori delle bestie, giorno dopo giorno.

Il taglio è chiaramente filosofico ed è costante la riflessione sulla relazione tra vita e morte, sul senso dell’esistenza, sul ruolo di Dio nel mondo. La paura di morire e il tentativo costante di esorcizzare la inevitabile fine sono presenti in ogni pagina. Ogni giorno si avverte che è la lotta per la sopravvivenza di matrice darwiniana ad animare le azioni dei personaggi e a rendere il loro mondo spietato.

Legato al tema della morte c’è anche quello del tempo. L’intero libro si traduce in una riflessione su di esso a partire da un orologio, oggetto di cui la faina entra in possesso e che viene definito in negativo come qualcosa di malefico, rammentando continuamente, attraverso le lancette, lo scorrere delle ore e dei giorni che avvicinano alla fine, al limite della nostra esistenza sulla Terra.

I vari personaggi cercheranno di trovare un modo per interrompere questo inesorabile corso del tempo, sfruttando al meglio i momenti che restano da vivere e fissando dei ricordi, che come tesori possano far durare le loro imprese, piccole o grandi che siano, anche dopo che se ne saranno andati.

“Questo è il mio ultimo stupido intento: scappare, come tutti, dall’inevitabile”.

La Scheda

“I miei stupidi intenti” di Bernardo Zannoni, Sellerio, 2021, pp.252.

Nata a Verona nel 1977, si è diplomata al liceo classico e ha conseguito la laurea in Lettere presso l'Università di Verona. Sposata, con due figli, insegna Lettere presso il Liceo Medi di Villafranca. Lettrice appassionata, coordina il Gruppo Lettura della Biblioteca di Sona.