La Recensione
Il romanzo storico di Geraldine Brooks, che racconta quanto accadde tra 1665 e 1666 ad Eyam, il “villaggio della peste” nel Derbyshire, ha come titolo Annus mirabilis, locuzione latina che sta per “anno meraviglioso”.
Poiché la trama si basa su fatti storici a dir poco tragici, sembrerebbe più opportuna la scelta di un titolo come “annus horribilis”, tuttavia la motivazione va cercata nell’’Oxford English Dictionary, dove si dice che l’espressione “annus mirabilis” si trova nel titolo di un poema inglese di John Dryden, riguardante gli eventi del 1666. Anche se l’Inghilterra venne colpita dal Grande incendio di Londra e dalla peste, Dryden volle vedere nell’assenza di calamità più grandi la mano di Dio, in quanto la presenza del numero satanico 666 avrebbe potuto portare, a suo parere, disastri maggiori.
Geraldine Brooks si trovò per caso nel “villaggio della peste” nell’estate del 1990 e venne profondamente colpita dalla storia del contagio e dalla sofferenza dei suoi residenti. Decise così di narrare gli eventi che coinvolsero Eyam documentandosi con grande rigore, utilizzando fonti storiche seicentesche che spaziavano dai testi medici ai diari e ai sermoni dell’epoca.

La storia inizia con un sarto, che arriva a Eyam da Londra cercando ed ottenendo alloggio presso la casa di Anna Firth, l’umile vedova protagonista del romanzo. Inconsapevolmente, oltre a stoffe e merletti, porta con sé il contagio e in breve tempo i bubboni cominciano a comparire sul corpo di tanti abitanti del villaggio, portandoli velocemente alla morte.
Il rettore propone che tutti gli abitanti si mettano in quarantena, isolando l’abitato, in modo che la peste non possa varcare i confini di Eyam. Anche se la storia è romanzata, quanto succede nel Derbyshire è storicamente documentato e permette di ritrovare molte sensazioni, paure e dinamiche simili a quelle che oggi hanno riguardato la diffusione del Coronavirus.
L’autrice riesce magistralmente a raccontarci il terrore e la diffidenza che si diffondono tra la gente, lo scontro tra scienza e fede, la superstizione, ma anche la solidarietà umana, mentre le pagine scorrono veloci, riuscendo a tenere incollato il lettore, in un susseguirsi di vicende piene di dolore ma anche di amore, di morte e di vita, di perdita e resurrezione.
Ogni abitante del villaggio nel romanzo reagisce a suo modo: alcuni pensano la peste sia un meritato castigo inflitto da Dio, altri cercano affannosamente di trovare la cura affidandosi alla scienza, altri ancora hanno bisogno di un capro espiatorio su cui far ricadere le colpe e sfogare la rabbia. Infine ci sono quelli, pochi, che non hanno tempo per le parole perché troppo impegnati a portare aiuto ai malati, ai moribondi, salvandoli dalla disperazione attraverso un gesto pietoso, come la protagonista Anna.
Come i suoi contemporanei del diciassettesimo secolo, Anna non sapeva cosa fosse la peste o come si diffondesse. La Yersinia pestis – peste bubbonica, morte nera, pestilenza – è un’infezione devastante di batteri che producono potenti tossine. Le enfiagioni della peste – i bubboni – sono linfonodi che si sono trasformati in tessuto necrotizzato ed emorragico. Entro uno o due giorni, un vasto numero di batteri invade il sangue, provocando una febbre che può superare i 42°, emorragia e trombosi. Fin dall’antichità si era osservata una moria di ratti che accompagnava la peste, ma solo nel 1898 uno scienziato, P.L. Simond, pubblicò sugli Annali dell’Istituto Pasteur una scoperta, da lui fatta, secondo la quale i responsabili della trasmissione della malattia agli esseri umani nel novanta per cento dei casi erano le pulci di ratti infetti. Nel 1666 in Inghilterra la popolazione, colpita dal male, sbagliò bersaglio e credette che a diffondere la malattia fossero i gatti e i cani. Il conseguente massacro di questi animali eliminò i predatori dei ratti e dunque fece dilagare ancora di più la malattia. La peste esiste ancora. L’OMS ne registra tra i mille e i tremila casi all’anno.
La Scheda
“Annus mirabilis” di Geraldine Brooks, Neri Pozza, 2003, pp.334.