Ebbene, cari affezionati lettori e lettrici del Baco, quale migliore occasione ci è data dall’essere stati inseriti nella zona gialla, per presentare la ricetta del risotto con lo zafferano?
Nel paradosso dell’Italia tricolore del bianco, del rosso e del verde, dell’Italia che veste le nazionali di azzurro e che versa in una crisi nera, quale migliore scelta poteva essere fatta dal legislatore nello scegliere il giallo, l’arancione e il rosso per definire le zone più o meno contaminate dal virus?
In questo tripudio di colori, a Sona è toccato in sorte il giallo zafferano! O sarà, forse, il giallo uniforme e patinato dei Simpson? O sarà, forsanche, il giallo traditore con il quale i maestri del colore tingevano il mantello di Giuda?
No, no! Noi che trascorriamo molte ore ai fornelli preferiamo il giallo dello zafferano, o anche il giallo delicato di un buon Custoza, finanche il giallo limone, ma mai e poi mai! il giallo traditore del mantello di Giuda.
E allora godiamocelo questo giallo e cuciniamoci un gustoso risotto.
Prima di tutto mettiamo a bollire l’acqua e prepariamo un buon brodo vegetale (guarda caso, tendente ad una sfumatura di giallo anche questo!); per semplificarci la vita quando sarà il momento di preparare il risotto, aggiungiamo subito un po’ di sale al brodo che si sta formando.
Nel tegame in cui andremo a preparare il risotto, con un po’ di burro e, se lo desiderate, con un cucchiaio di olio, facciamo imbiondire una cipolla finemente tritata. Vanno bene quelle cipolle dorate con la “buccia” che tende all’arancione, senza esagerare…
Quando la cipolla sarà stata sufficientemente stufata (a forza di decreti) è il momento di aggiungere il riso. Da buoni veronesi preferiamo il vialone nano, ma va bene anche il “Carnaroli”, l’importante è che tenga bene la cottura e non vada troppo presto “in pappa”.
Dopo aver fatto tostare il riso per un paio di minuti (e qui vi preghiamo di non fare confusione con la ricetta per i toast che è tutt’altra cosa e che l’unico giallo che potrebbe contenere sarebbe quello della maionese da aggiungere alla fine) aggiungiamo un bicchiere di vino bianco, che poi, in realtà è giallino e che si chiama bianco per distinguerlo dal vino rosso che invece, di questi tempi, speriamo di non dover usare in cucina.
Quando il vino si sarà sfumato come i nostri sogni, procediamo aggiungendo il brodo un po’ alla volta, tenendo il risotto “all’onda” e mescolando sempre con leggerezza.
Ricordatevi che il brodo deve essere bollente e il vino a temperatura ambiente, in questo modo non causerete traumi al risotto che state cucinando e che, anche per questo, manterrà il suo colore naturale tendente al giallo. Assaggiate ed eventualmente aggiustate il sale.
Quando mancheranno 3-4 minuti alla cottura, giù lo zafferano!
Non vi diciamo di prendere i pistilli e prepararli a loro volta, perché non mi risulta che nel nostro Comune ci siano coltivazioni di zafferano e quindi, procurarseli, oltre che ad essere costoso, potrebbe comportare anche un lungo viaggio: non dimenticate che, oggi come oggi, alle 22 in punto bisogna essere a casa; potete tranquillamente usare una bustina di preparato allo zafferano che si trova nei supermercati. Il giallo trionferà!
A cottura ultimata e a fuoco spento, mantecate il risotto con una abbondante manciata di parmigiano reggiano e con una noce di burro.
Non sorprendetevi se, ogni volta che preparerete questo risotto, otterrete un piatto dai colori vivaci ma sempre leggermente diversi, avrete ottenuto le famose “50 sfumature di giallo” tanto care al nostro legislatore.
Per inciso, il colore giallo del mantello di Giuda è stato scelto per contrasto con il prezioso mantello azzurro di Gesù (nel Rinascimento non c’erano colori sintetici e ottenere il blu e l’azzurro era costosissimo!) ed anche perché il giallo può trarre in inganno, facendo apparire d’oro ciò che oro non è; senza considerare che l’oro non si può gustare tanto quanto si può gustare lo zafferano.
E non preoccupatevi, se dovessimo finire nella zona arancione, abbiamo in serbo un grande risotto con la zucca. “Anche se gli affari van male, il corpo non deve patire” così recitava un vecchio adagio della tradizione veneta.