Il dramma delle atlete della ginnastica ritmica ci chiama in causa (come genitori, allenatori, educatori)

In questi giorni si parla della ginnastica ritmica italiana in maniera sconcertante. Sembrerebbe che giovani atlete venissero sottoposte a vessazioni sul loro aspetto fisico da parte delle loro allenatrici.

Come tutti, conosco solo quello che viene divulgato dai media e lascio le valutazioni a chi si occupa del caso avendo tutti gli elementi. Però la vicenda mi porta come allenatrice, insegnante e donna di sport da sempre, a fare delle riflessioni.

Fare sport è da sempre sinonimo di salute e benessere fisico e mentale. Tutti gli sport, soprattutto ad alti livelli, presuppongono una perfetta forma fisica ottenuta con grandi sacrifici, ore e ore di allenamento, gare in giro per il mondo, attenta e scrupolosa alimentazione.

Ma qui si tratterebbe di altro, di portare giovani atlete a diventare ossessive della loro forma fisica. Lo sport, la passione di una vita che diventa un incubo, fatto di frustrazioni al limite di ogni sopportazione.

La mia riflessione però vuol andare oltre al fatto in sé, vorrei cercare di capire il perché. Cosa porta chi dovrebbe tutelare il bene psico-fisico di un’atleta (qualsiasi sia il livello) a spingersi tanto oltre?

Purtroppo, credo il mondo sportivo risenta dell’impronta errata di tutto un sistema di vita per cui la persona è misurata, è valorizzata non tanto per quello che è ma per quello che rende e per come appare.

Tutti noi allenatori vorremmo atlete e atleti in grado di vincere ogni competizione, di arrivare sempre più in alto, a volte a discapito proprio degli stessi ragazzi che alleniamo. Sembra quasi che dal loro risultato dipenda il nostro merito e forse così un po’ lo è. Ma noi siamo coloro che dovrebbero insegnare la tecnica, dovrebbero mettere al servizio degli atleti l’esperienza e le capacità di insegnamento ma non certo con le offese o le minacce.

Un atleta giovane ha bisogno di essere guidato, certo, alcune volte anche riportato nei binari della disciplina sportiva ma mai affossato e umiliato.

Ma un’altra riflessione mi viene istintiva: possibile che le persone vicine a queste ragazze, famiglie, amici, insegnanti, non si siano mai accorti del grave disagio che vivevano? Fa sempre parte forse di quello strano meccanismo per cui se sei un’atleta promettente, se hai doti da campione tutto il resto passa in secondo piano.

Le aspettative del mondo che gravita attorno ha tante aspettative. Contano di più le medaglie, contano i risultati sportivi. Chissà se quelle ragazze e gli atleti che abbiamo nelle nostre palestre, nei nostri campi sportivi sono tutti davvero felici, se a fare il loro sport preferito provano davvero quel benessere fisico e mentale che vorrebbero.

Ripenso ai miei tanti anni di insegnamento della pallavolo e sicuramente anch’io ho sbagliato, ho preteso dalle mie atlete comportamenti e risultati sportivi a prescindere, dimenticando che avevo in mano il loro sviluppo anche e soprattutto come persone.

Forse davvero dovremmo fermarci, guardare i volti di questi giovani e guardarli dentro. Lo sport deve essere vita, bellezza, condivisione, inclusione e non può e non deve essere mai frustrazione e negatività.

Nata e cresciuta a Sommacampagna, sono un’insegnante di scuola primaria e di educazione fisica. Alleno da anni il settore giovanile dell’A.S.D. Volley Sommacampagna e coordino i Centri Sportivi Promosport. Lo sport è da sempre nella mia vita e ho avuto la fortuna di farne il mio lavoro. Consigliere Comunale di Sommacampagna, nel primo mandato con delega alla scuola e ora con delega allo sport e pari opportunità. Ottimista, vedo sempre il bicchiere pieno. Mi piace stare in mezzo alla gente e nel tempo libero (poco) amo cucinare per gli amici.