Il ruolo del dirigente rappresenta per gli studenti di molti istituti una figura di riferimento fondamentale all’interno dell’ambiente scolastico. Tuttavia, troppo spesso gli alunni lo percepiscono come “distante” dalla loro attività didattica quotidiana.
Noi, oggi, con questa intervista, vogliamo dimostrare come in realtà il preside sia molto più vicino agli studenti di quanto possa sembrare. Così, dopo il suono della campanella, ci dirigiamo verso l’ufficio del nostro dirigente Marco Squarzoni e notiamo fin da subito una caratteristica: non è nemmeno necessario bussare perché lui è già pronto, sull’uscio della porta, ad accoglierci calorosamente.
Che indirizzo ha scelto di intraprendere quando era adolescente? E come vedeva la scuola quando aveva la nostra età?
Ho conseguito il diploma all’istituto magistrale, l’attuale liceo delle scienze umane, che all’epoca apriva direttamente la strada per diventare maestro alle scuole elementari. Sinceramente ho sempre partecipato alle lezioni volentieri, sia perché mi piaceva la compagnia dei miei coetanei, sia perché trovavo interessanti le attività svolte e le materie. Proprio per questo, devo dire che il mio impegno nello studio era importante, anche se trovavo comunque il tempo di dedicarmi ad altre passioni nel pomeriggio.
Ma come si diventa dirigente?
Bisogna innanzitutto iniziare dal ruolo di docente, per poi entrare in graduatoria attraverso dei concorsi. E anche se in realtà negli anni i parametri di selezione cambiano, è necessario avere almeno 5-7 anni di servizio come insegnante. Personalmente, ho svolto il ruolo di preside per la prima volta in un istituto di Sona, nel 2007.

Molti insegnanti ammettono di non aver pensato a questa professione durante gli studi o all’inizio della loro carriera. Anche per lei è stato così?
A dir la verità io ho deciso di insegnare quando avevo quattordici anni, dopo le scuole medie. Poi, finiti gli studi, ho cominciato prima come maestro alle scuole elementari, per poi salire agli altri ordini. E ora sono assolutamente felice, proprio perché ho fatto quello che mi piaceva fin da subito.
E perché ha deciso di diventare dirigente? Cosa sentiva di poter dare in più alla scuola in questo modo?
Dopo aver acquisito tanta esperienza nell’insegnamento come docente e dopo aver ricoperto anche mansioni che richiedevano maggiore responsabilità, mi sentivo pronto a sostenere questo ruolo di guida. Anche se devo dire che l’impatto iniziale è enorme e può spaventare: non è come te lo immagini, soprattutto per le tante questioni burocratiche a cui inizialmente non si fa caso.
Che tipo di rapporto intercorre tra lei e gli insegnanti?
Reputo importantissimo che vi sia un rapporto di totale collaborazione. Personalmente credo che gli insegnanti debbano essere coinvolti nella costruzione dell’attività didattica nella sua totalità. Dal momento che la scuola è una grande comunità, è necessario che ognuno contribuisca a fare un “pezzetto”. Ad oggi, comunque, i feedback ricevuti sono positivi a riguardo.
E con gli alunni?
Per gli studenti altrettanto, e proprio per questo è importantissima l’apertura nei loro confronti. Come dico sempre, sia ai collaboratori, ma anche e soprattutto ai ragazzi, il mio ufficio ha una caratteristica particolare: la mia porta è sempre aperta!
Percepisce una grande differenza nel rapporto con gli studenti da quando ha abbandonato la cattedra?
Assolutamente. La “nostalgia dell’aula” e dell’insegnamento a volte si fa sentire, soprattutto quando passo per i corridoi e vedo i colleghi fare lezione, perché è evidente che la scuola si fa in classe. Poi, però, mi ricordo delle motivazioni che mi hanno portato a fare questa scelta e capisco di star facendo la cosa giusta: mai pentirsi delle scelte fatte.
Cosa crede che lei, in qualità di dirigente, potrebbe cambiare, o attuare, per migliorare questo istituto? Di cosa ha bisogno ora la nostra scuola, secondo lei?
Questa è una domanda complessa, dal momento che la scuola negli ultimi anni è diventata sempre più intricata. Inizierei con il dire che prima di tutto la scuola avrebbe bisogno di un momento di tranquillità, in modo da elaborare tutte le novità che sono arrivate nell’ultimo periodo, come per esempio il reinserimento dell’educazione civica e la continua variazione delle norme relative al PCTO. Poi è importante ammettere che il nostro istituto offre una moltitudine di attività diverse, che seppur possano sembrare quasi disorientanti, in realtà costituiscono una grande risorsa. Dunque, non sono sicuro che cercare per forza di “metterle in ordine” sia positivo. Una proposta che andrebbe sicuramente portata avanti è quella di una revisione dei programmi liceali, che dovrebbero essere più congruenti con il tempo attuale. Infatti, sia negli istituti tecnici, sia nelle scuole professionali, questa revisione è già stata apportata con riscontri molto positivi. Un altro aspetto da considerare è che i programmi scolastici dovrebbero permettere ai ragazzi di avere spazio per altre attività pomeridiane, perché sia queste, sia per esempio il semplice stare con i propri amici, costituiscono un elemento di crescita per l’individuo. Inoltre, l’obiettivo dovrebbe essere quello di attuare una didattica più attiva che miri allo sviluppo delle competenze degli studenti e non al semplice superamento delle verifiche.
Parlando di cambiamenti, qual è la sua opinione sulla nuova “settimana corta”? Crede che gli studenti riescano a trarne vantaggio?
Credo che sia stato un cambiamento positivo. Avere due giorni di riposo anziché uno permette agli studenti di “staccare” veramente e al corpo di recuperare. È vero che questo comporta l’aggiunta di un’ora ogni giorno, per un totale di sei ore. Tuttavia, non dimentichiamoci che fino a qualche anno fa le ore settimanali nei licei erano 35, di conseguenza la sesta ora esisteva già.
Ha già ricevuto molti “feedback” a riguardo?
Ad essere onesto per il momento non se n’è parlato molto. Prima del cambiamento, invece, la questione del nuovo orario era molto discussa, in particolare confrontandosi con gli altri istituti. Tireremo le somme di questo cambiamento con la conclusione dell’anno scolastico, grazie al riscontro di voi studenti.
Il Presidente della Repubblica le conferisce pieni poteri per cambiare l’intero sistema scolastico: quali caratteristiche dovrebbe avere un’ipotetica “scuola ideale”?
Io credo che prima di tutto la scuola avrebbe bisogno di spazi adeguati, con aree ricreative e aule diverse che permettano di spostare banchi, cambiare formazione, eccetera. Poi, sono dell’idea che, per quanto possa sembrare assurdo, così come la maggior parte degli istituti ha le palestre, le scuole più grandi una piscina dovrebbero avercela! Un’altra tematica da rivedere è la gestione del “tempo scuola”, che andrebbe assolutamente adeguato anche alla capacità attentiva dei ragazzi. Sono dell’idea che le lezioni dovrebbero cominciare più tardi e, perché no, prolungarsi anche nel primo pomeriggio. Qui è evidente però che si vedrebbe la necessità di avere una mensa, ambiente che al momento è impensabile costruire, ma anche aule pensate per svolgere i compiti e lo studio, in modo che gli studenti possano tornare a casa e dedicarsi ad altro. Sono poche, però, le strutture scolastiche edificate di recente e ciò non permette di attuare questo modello.