“Il Covid ci ha insegnato che dobbiamo ripartire dalle relazioni, anche in parrocchia”. Incontriamo il Coparroco di Lugagnano don Pietro

L’estate dei ragazzi di Lugagnano è da sempre caratterizzata da innumerevoli attività come i campi estivi, il Grest e l’animazione estiva che seguivano un inverno arricchito da incontri di catechesi, ACR, chirikoro, gruppo adolescenti ma l’emergenza pandemia ha stravolto ogni prospettiva e le attività dei giovani sono in sospeso da marzo.

Proprio i ragazzi, che necessitano di linee guida e sostegno più degli adulti, si trovano a dover affrontare la ripresa post-covid in un ambiente drasticamente diverso da quello che apparteneva loro. In primis la scuola ma non meno importante la rete sociale caratterizzante la loro quotidianità.

Sull’onda del recente evento “Hope & Go”, una sorta di magnalonga tra i parchi del territorio organizzata dal coparroco don Pietro Pasqualotto (nella foto di Gaetano Fattori) con le catechiste, abbiamo pensato di confrontarci proprio con lui su questo delicato argomento.

Ha riaperto gli incontri con i ragazzi in una serata allegra ma intensa dedicata a questa drammatica pandemia mettendoli a confronto con testimonianze forti e incisive di chi è stato malato e di chi ha prestato servizio per arginare l’emergenza. I ragazzi sono stati invitati a riempire un cartellone con le emozioni che hanno caratterizzato il loro periodo di lockdown e vedo capeggiare due parole in particolare: noia e paura. Due parole in apparenza contrastanti ma che dipingono bene il vuoto emotivo provato da questa generazione. Cosa ne pensa? 

Noia e paura, sono queste le due sensazioni più vive per loro perché abituati a ritmi precisi e cadenzati si sono ritrovati a gestire questa situazione complicata fuori dai loro spazi e dai loro impegni. Oltre alla paura della malattia e alla noia per l’inattività il loro vuoto è segnato dall’interruzione della dimensione relazionale. Seppure questa sia la generazione social io credo che sia proprio dalla loro dimensione relazionale che si debba ripartire. Mi sono rimaste impresse le parole accorate di una ragazza di quindici anni che mi ha detto “non sai cosa darei per poter tornare a scuola” o di quella preoccupata per non essere in grado di affrontare una scuola diversa da come era abituata a viverla. Di fronte a queste paure mi sono confrontato con altri preti e abbiamo pensato se la nostra priorità era come far ripartire il catechismo o andare a ricostruire la dinamica delle relazioni, indipendentemente da come lo fai. Da qui sono nate le idee per la serata Hope & Go, le serate giochi, il cinema all’aperto, la caccia al tesoro e un musical. Ad esempio un musical coinvolge tutta una serie di persone, da chi recita a chi canta, chi fa le luci, chi i costumi, chi le scenografie, chi le coreografie. E’ una situazione che ti permette di creare relazioni e attraverso quell’attività specifica far arrivare un’attività educativa.

Ci spieghi meglio il suo intento.

Si possono sfruttare in senso buono i momenti in cui ci si trova per organizzare e provare lo spettacolo per far passare un messaggio che sarebbe quello che come parrocchia farei passare attraverso le altre consuete attività ma che adesso devo far passare in altro modo. Tutta la dimensione dello stare insieme, come indicato dagli apostoli, è quello di cui c’è più bisogno ed è il modo di vivere il Vangelo adesso, in condivisione e lavorando insieme.

Eravamo abituati a delle super attività in questa parrocchia, caratterizzati da numeri importanti. Crede di poter comunque tenere attivo la spirito di partecipazione dei ragazzi?

Nelle parrocchie eravamo abituati a mettere su dei carrozzoni dove c’era quasi la sfida a vedere chi era più bravo. “Bravo quel prete lì, visto cosa ha fatto?”, il Covid invece ci sta dicendo che dobbiamo ripartire da qualcosa che si era perso, dobbiamo ripartire dalla dinamica relazionale. Ci ha sorpreso la partecipazione alle nostre prime serate (Ndr 80 alla magnalonga e 28 alla serata giochi) e non credo sia stato solo perché i giovani non avevano altro da fare, se sono venuti probabilmente avevano anche piacere di farlo. Riuscire a radunarli in situazioni piacevoli come il cinema o la caccia al tesoro sarà occasione per salutarsi e riallacciare i legami interrotti.

Come ha scelto il tema da trattare in questa prima serata? Perché ancora Covid? Non crede che i ragazzi fossero già abbastanza stressati dall’argomento?

Ho avuto un incontro amichevole con Pierluigi Briggi, Presidente del SOS, che mi ha aggiornato sulla sua salute e raccontato la sua esperienza da malato Covid in terapia intensiva. Abbiamo condiviso subito l’idea di rendere la sua testimonianza uno strumento utile a sensibilizzare le persone al tema. Quando con le catechiste stavamo pensando a come creare nuovi incontri ognuno ha dato la sua idea tra cui l’ascolto di testimonianze e quindi ho preso la palla al balzo. Mi piaceva l’idea che i ragazzi potessero “chiacchierare” con chi ha vissuto in molteplici modi la lotta al virus, da malato e poi guarito o da volontario che prestava servizio. Ho visto ragazzi curiosi e attenti che hanno tempestato i relatori di domande, sintomo che l’argomento è ancora vivo e sentito tra loro. In questo percorso mi sono fatto aiutare anche dalla psicologa che in un’iniziativa del Comune ha seguito un progetto con i nostri adolescenti sui social media e su cui mi voglio appoggiare anche per le prossime iniziative, giusto per avere delle indicazioni su quali sono temi e modalità di approccio per confrontarsi correttamente con i più giovani.

Se questa è un’estate diversa così sarà anche il prossimo inverno, giusto?

Con don Giovanni ho parlato di come sarà il catechismo ma ancora oggi non sappiamo le disposizioni che ci saranno ad ottobre. Se prima si diceva loro di stringersi per fare posto adesso li si deve dire di allargarsi. Un’ipotesi potrebbe essere di fare catechismo ogni 15 giorni alternandosi in due gruppi ma chissà, è tutto da vedere. Mi sono dovuto scontrare spesso con le catechiste preoccupate per non aver terminato il programma o per la mancanza di conoscenze, talvolta mnemoniche, dei principi religiosi, purtroppo siamo abituati a ragionare in termini scolastici ma è una dinamica che deve essere smantellata perchè altrimenti i ragazzi si trovano a rivivere in parrocchia quello che vivono sui banchi di scuola tra libri e quaderni rischiando di non essere più incisivi. Con i problemi che abbiamo oggi dal punto di vista della fede e la vita ecclesiale è necessario non fossilizzarsi. Portiamo il peso degli stereotipi e stiamo pagando il prezzo di questo passaggio epocale.

Cosa intende? Che la Chiesa deve rivedere il modo di approcciarsi agli uomini?

C’è una frase di Giovanni Paolo II che mi guida: “Questo è un tempo meraviglioso per essere preti”, scritto nel 2003 e ancora valido, e non solo per noi preti. E’ sempre necessario distinguere il bene dal male ma bisogna anche saper cogliere l’opportunità persino dentro questa situazione. Dio abita il nostro tempo e io sono figlio di questo tempo e che mi piaccia oppure non mi piaccia come credente mi chiedo cosa mi stia dicendo il Signore e come io possa essere sale della terra e luce del mondo in cui sono nato. Quindi, visto che non ho la macchina del tempo per scegliere dove stare, decido di vivere adesso trovando il bello. Qual è la sfida che mi aspetta come chiesa? Quella di vivere con il sorriso il mio essere prete nonostante tutte le difficoltà. Bisogna affrontare le sfide con entusiasmo.

Ci sta dicendo che il post-Covid dovrebbe essere un’occasione per migliorare?

Più o meno, perchè se prima avevi paura di cambiare adesso o cambi o perdi il treno. Bisogna saper cogliere il momento, quindi quello che stiamo facendo adesso sarà pur poca cosa rispetto a un Grest iperorganizzato che occupava per un mese 300 ragazzi e 100 animatori ma visto che non è stato possibile e visto che non è detto che si sarebbe dovuto andare avanti così per altri mille anni, ho cercato delle idee nuove per tenere viva la comunità, soprattutto per i ragazzi e per le famiglie.

Chi la sta aiutando con queste nuove attività?

In tanti, gli adolescenti stessi che probabilmente saranno i nuovi animatori, qualche adulto che mi tiene in contatto con gli altri genitori, le catechiste stesse. Stiamo cercando di ridare identità alla parrocchia e perché no, accogliere anche chi si approccia per la prima volta. Ad esempio chi, partendo da una critica sul gruppo facebook “Sei di Lugagnano se…”, si è reso disponibile a riqualificare il campo da basket del centro parrocchiale e l’area verde. Ecco quindi che una critica a cui rispondi diventa un’occasione. Ma questa miglioria come il progetto di riqualificazione dell’intera area del centro parrocchiale, accantonato temporaneamente, serve nella misura in cui c’è il riscontro umano. Posso avere un centro meraviglioso ma se non c’è nessuno a che serve? Quindi da un lato c’è il timore di come sarà il futuro ma dall’altro è uno stimolo perché questo è il momento opportuno per dare una svolta facendo cose che prima non avevi il coraggio di fare. O mi lascio gestire dalla situazione o sono io a gestirla. Ad esempio un altro dei miei obiettivi è mettere in rete i vari gruppi di supporto alle nostre attività come scout, ACR e adolescenti che possono collaborare anziché essere gruppi distinti. Per concludere questa è la sfida che ci aspetta adesso e se riusciamo a coglierla nella sua essenza e nella sua urgenza bene altrimenti aspettiamo ma senza la garanzia che il prossimo treno che passa ci porti in un viaggio migliore.

Nata il 29 gennaio del 1976, parte attiva da sempre nella comunità di Lugagnano, con una breve interruzione per trasferimento a Decimomannu vicino a Cagliari. Ha conseguito la maturità scientifica presso il liceo Galileo Galilei a Verona e attualmente è impiegata in un’Agenzia di Assicurazioni. Sposata e madre di due figli, trova sempre il tempo per dedicarsi alla sua passione, la lettura.