I politici locali non si facciano guidare dagli interessi di partito ma dalle esigenze del territorio. Ricordando Tocqueville

Tramite alcuni interventi pubblicati sul sito del Baco da Seta, da qualche tempo si è avviato sul territorio il dibattito se sia opportuno o meno che un Amministratore comunale, pur rispettando la legge, esprima nel ruolo il suo pensiero di contrarietà o di adesione a scelte politiche nazionali o regionali. La frase che sentiamo proferire da tutti i neoeletti Sindaci ai nostri giorni è “sarò il Sindaco di tutti i cittadini”. Tali affermazioni spesso non corrispondono però ai loro comportamenti.

Chi partecipa a convegni di partito, pubbliche manifestazioni di piazza pro o contro, con la fascia tricolore che rappresenta la totalità dei concittadini amministrati, si sta comportando come Sindaco di tutti?

Il Sindaco nell’ordinamento italiano è “l’organo monocratico a capo del governo di un Comune, detiene il potere esecutivo a livello locale ed esercita le funzioni che gli sono attribuite dalle leggi”. Inoltre, nel momento dell’assunzione della funzione, oltre che capo dell’Amministrazione, diviene anche Ufficiale del Governo (indipendentemente dal “colore” del Governo in carica) e quindi in questa veste agisce nel rispetto degli atti di indirizzo emanati dallo Stato (Ministero degli Interni).

E’ opportuno aggiungere che le democrazie liberali, quale quella italiana, tutelano le competenze di ciascun organismo e garantiscono, all’interno di un quadro generale definito dalla Costituzione, la loro autonomia deliberativa.

Pertanto, il Comune, la Provincia (in via di estinzione) e la Regione svolgono ruoli ed attività amministrative diverse, anche se spesso complementari, ma ciascuna di esse è autonoma nelle scelte. Il Sindaco, in particolare, dovrebbe assumere decisioni amministrative che derivano dall’aver colto le necessità del territorio, in un confronto costante e il più ampio possibile con i concittadini amministrati.

La collocazione partitica dello stesso, espressa o meno apertamente, non dovrebbe influenzare le sue scelte. Scriviamo di collocazione partitica, perchè quella politica non può che orientare sempre le scelte di un cittadino, anche quando è chiamato a ricoprire una carica pubblica.

Se servono scuole, strade, infrastrutture sociali e simili, le priorità dovrebbero restare tali per chiunque venga eletto. Purtroppo, però in una situazione esasperato di scontro partitico sul territorio, come è quello dei nostri giorni, anche il più piccolo Comune è “difeso” fino a garantire presenze di leader nazionali, vedi i comizi nelle ultime elezioni amministrative.

L’attività civica in quei casi viene sconvolta dal settarismo a scapito di un sereno confronto fra i cittadini sulle reali necessità della loro comunità. Siamo giunti a questo punto in Italia perchè da molti anni sono scomparsi sul territorio i cosiddetti “corpi intermedi” che facevano pre-politica sul territorio, con scuole formative, dibattiti e confronti.

Tale vitale tessuto era svolto da partiti, sindacati, A.C.L.I ed altre organizzazioni che offrivano un’offerta diversificata di formazione che consentiva a chi si presentava candidato alle elezioni di disporre di conoscenze adeguate per poter assumere, con competenza, ruoli decisionali.

Quando nei primi anni ’60 iniziai ad interessarmi di politica, nel Comune di Sona operavano in ogni frazione le sezioni dei quattro principali Partiti nazionali e sedi comunali di tre sindacati. Un giovane in quegli anni poteva anche contare, in ognuna delle quattro parrocchie, di corsi formativi delle A.C.L.I., associazione che affiancava, su temi sociali, l’attività dell’Azione cattolica.

Era, in ogni caso, garantita comunque una sostanziale divisione dei ruoli. Chi operava nel campo del volontariato formativo non assumeva in contemporanea ruoli di gestione amministrativa. In molti casi chi assumeva ruoli amministrativi importanti abbandonava, per tutto la durata del mandato, quelli che ricopriva nel partito di provenienza.

Quali le possibili considerazioni al termine di questo lungo scritto? Anche ai nostri giorni, a parere di chi scrive, chi amministra un Comune non dovrebbe esercitare anche ruoli politici di rilievo per garantire autonomia nelle decisioni e, per sembrare anche tale, non dovrebbe organizzare manifestazioni di apprezzamento o dissenso su vicende nazionali.

E’ stato scritto in un altro editoriale sul Baco: “se viene a mancare la spinta propulsiva dei territori, se le amministrazioni locali, le più vicine al cittadino, rinunciano al ruolo di interpreti e di guide anche politiche per le comunità che amministrano, cosa mai potrà arrivare a Roma?”. E’ un’ottima considerazione, ma non c’è di peggio in una democrazia liberale che si confondano i ruoli e le competenze.

La sussidiarietà non può essere tale da stravolgere compiti e responsabilità. I nostri giorni forniscono un quadro di disordine istituzionale che valorizzano l’affermazione sopra enunciata: Parlamentari che dettano le agende di lavoro ai Sindaci, senza poi assumersene le responsabilità, leader politici che indottrinano le proprie clientele per controllare progetti e programmi regionali, organi statali che intervengono in competenze di altri organi, anche quando questi ultimi sono tutelati da autonomia costituzione.

Dobbiamo stare a guardare allora, aspettando che la situazione peggiori al punto che, quando il buon senso prevarrà, sarà possibile recuperare solo modeste porzioni di buona democrazia partecipata? Nel 1835 Alexis de Tocqueville (nell’immagine sopra) uno dei Padri, con Montesquieu, delle democrazie moderne scriveva che “non si dica che è troppo tardi per tentare ciò, perché le nazioni non invecchiano allo stesso modo degli uomini e ogni generazione che si succede in esse è come un popolo nuovo che viene a offrirsi alle cure del legislatore”.

Giriamo allora l’ottimistica considerazione, affinchè se ne faccia carico, a chi è deputato ad educare i nostri giovani: famiglie, scuole e parrocchie. Ed il Comune non può chiamarsi fuori. Se è opportuno, forse, che gli amministratori non debbano esporsi in dibattiti e confronti su temi di valenza nazionale o regionale, possono però svolgere un ruolo nel campo della formazione appoggiandosi all’attività delle biblioteche, a quelle delle università popolari e di altri organismi presenti sul territorio dediti alla cultura.

Nato a Rovereto (Trento) il 24 maggio 1940, ha conseguito il diploma di ragioneria a Verona. Sposato, con tre figli, ha svolto l’attività di dirigente d’azienda. È stato per quindici anni un amministratore comunale come assessore e sindaco di Sona. È storico delle vicende del Comune ed è autore di pubblicazioni sulla storia recente e dei secoli passati del territorio di Sona e dell’area veronese.