A chi è mai capitato di ricevere un audio non inferiore ai due minuti e mezzo? A chi è mai accaduto di ascoltare un audio che a causa del volume ha creato una situazione un po’ imbarazzante in compagnia o in ufficio? A chi è mai successo di ascoltare per vari minuti un mittente che non possiede il dono della sintesi e non va dritto al punto, ma tergiversa e alterna la sua voce a momenti di silenzio e rumori ambientali, causando un’inevitabile perdita di tempo?
Trovarsi in questa triplice situazione non è sicuramente una posizione invidiabile. Il diffusissimo e frequentissimo utilizzo dei messaggi vocali è ormai un dato di fatto, tuttavia sembra essere talvolta privo di un codice di galateo.
Ripercorriamo, quindi, la genesi e la storia dei messaggi vocali per capire il loro valore e l’utilità.
Fino al 2012 i messaggi vocali erano ormai destinati all’oblio, o comunque al lontano ricordo dei Baby Boomers, i quali lasciavano messaggi in segreteria utilizzando il telefono fisso. Con l’avvento e la successiva diffusione dei telefoni mobili e la moda degli SMS, i messaggi in segreteria subirono un graduale tracollo.
Nel 2012 una ricerca del Pew Research Center di Washington asseriva che la scomparsa dei messaggi vocali era ormai imminente, in quanto assolutamente meno preferibile dei testi digitati sulle tastiere degli smartphone.
L’anno dopo Messanger e WhatsApp introdussero i messaggi vocali senza il passaggio dalla segreteria. Una vera e propria risurrezione all’interno del settore della messaggistica, destinata a diventare nel corso del tempo un fattore alquanto significativo.
Oggi per molte persone il rapporto con gli audio su WhatsApp (citiamo questa app dato che tra quelle di messaggistica è utilizzata da circa il 95,1% degli utenti) è di amore e odio: un audio vocale è comodissimo per chi lo invia (che nel frattempo può camminare, cucinare o far altro), ma non è detto che sia adatto o agevole per chi lo riceve.
Essendo la matrice dei messaggi vocali non il telefono ma il walkie talkie, utilizzati in origine nell’ambito militare non per dialogare ma per impartire ordini o segnalare situazioni di emergenza, la comunicazione e lo scambio di battute tramite audio su WhatsApp diviene dilatata e resa meno efficiente (registro, invio, aspetto che il destinatario ascolti; questi’ultimo poi registra un messaggio di risposta che ascolterò appena l’avrò ricevuto, e così via).

Certo, reca maggior piacere sentire la voce della fidanzata o di un amico che ci invia un audio, o il suono autentico di una risata piuttosto che di un “ahahah” nero su bianco. Inoltre, è molto più elegante esprimere un contenuto col colore della propria voce piuttosto che arricchire un testo di emoji (faccine) o punti esclamativi, ma si tratta di elementi (facilmente) aggirabili.
Prima di inviare un audio su WhatsApp chiediamoci se è una comunicazione che il destinatario può ascoltare in qualsiasi momento e se il contenuto del messaggio non superi al massimo i venti secondi. In alternativa una telefonata è sempre il mezzo più efficace ed efficiente (e anche piacevole).
Prima di ascoltare un audio ricevuto leggiamo se nella chat è presente un “ascoltalo, è urgente”; altrimenti non poniamoci problemi e ascoltiamo il messaggio in un momento di nostra disponibilità, ma senza dimenticare la telefonata come strada alternativa da percorrere.
Una durata di un messaggio vocale superiore al mezzo minuto è accettabile quando si vuole enunciare una barzelletta, trasmettere un contenuto frivolo (una canzone trasmessa alla radio o un saluto pittoresco) o raccontare una situazione per cui chiamate in entrata o in uscita possono essere scomode a causa di motivi straordinari (come il fuso orario o la connessione internet, ad esempio).
Pertanto, non è il mezzo a essere il problema, ma l’uso che se ne fa. Est modus in rebus scrive Orazio nella sua opera Satire che in italiano si traduce in c’è una misura in tutte cose.