Questo sito ha pubblicato lo scorso 2 dicembre un interessante articolo di Giorgia Benedetti che, credo, abbia fatto pensare molti perchè descrive in modo incisivo il disagio dei giovani nei confronti della politica. L’articolista scriveva di: “binomio in contrasto, spazio vuoto, qualcosa da grandi”, manifestando però anche curiosità e speranza.
Sono nato e ho frequentato le prime scuole in una regione, il Trentino, ove l’educazione civica a partire dalle elementari, era materia alla quale veniva data molta importanza. Nel veronese, negli immediati anni successivi, ho potuto constatare che in tutte le Parrocchie operava un Circolo ACLI che forniva, assieme all’Azione cattolica, formazione nel campo sociale e civico, insistendo sul concetto del “bene comune”. In quegli stessi anni anche i Partiti fornivano ai giovani spazi importanti di formazione politica.
Ai nostro giorni c’è rarefazione di proposte disinteressate per impegnare i giovani nel politico, nel pre-politico e in generale nel sociale. Quali le ragioni? C’è un rimedio? Scuola e famiglie dovrebbero essere la fonte primaria per educare alla responsabilità, che significa invito a crescere assumendosi impegni, pagare per le scelte, intraprendere strade.
I programmi scolastici cartacei indicano da decenni le finalità del proprio operare in questo settore della formazione. Cito alcuni brani presi da: Programmi per la scuola media statale, operante dal 1979: la scuola… deve garantire il diritto di partecipazione ai valori della cultura, della civiltà, della convivenza sociale e di contribuire al suo sviluppo, deve provvedere alla.. “formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi della Costituzione”…offrendo “occasioni di sviluppo in tutte le direzioni, etiche, religiose, sociali, affettive, operative, creative”… e favorendo “la progressiva maturazione della coscienza di sé e del proprio rapporto con il mondo esterno”.
La famiglia è il luogo originale, primordiale nell’educazione: qui si impara la dipendenza, non ci siamo fatti da noi e da soli non potremmo farcela. Dare un’educazione significa fornire strumenti per leggere la realtà che è dinamica. E’ importante che venga trasmessa ai figli una tradizione non fatta di parole ma la propria esperienza, i propri valori, dai quali partire nella ricerca del proprio senso. Si è figli di una storia e si trasmette una storia. Ma per educare occorre anche essere in relazione con gli altri: libri, strutture, progetti senza relazioni sono solo ammaestramento.
Sono fuori tema scrivendo del ruolo della scuola e della famiglia, riferendomi al disagio dei giovani di fronte alla politica? Credo di no per la ragione che, parafrasando ciò che scriveva un autorevole scrittore di politica che visse molti anni orsono, i popoli non invecchiano, sono le persone che invecchiano e quindi ogni nuova generazione, se preparata e disponibile a operare per il “bene comune”, può creare una nuova società più democratica e solidale.
Il mio scritto intende rivolgersi ai “giovani dubbiosi” descritti da Giorgia Benedetti, (i dubbiosi sono già sulla strada giusta), genitori ed insegnanti della prossima generazione, invitandoli a prendere coscienza che spetterà soprattutto a loro partecipare al rinnovamento della nostra società civile. Superare i propri dubbi, affrontando anche il campo della politica, oltre che una sfida, è una necessità impellente.
Da anni verifichiamo purtroppo che la protesta è diventata il modo privilegiato di interloquire con le scelte della politica. Slogan scritti su lenzuoli o urlati al microfono non sono indicazioni, ma solo un modo per rifuggire dal confronto, immiserendo il valore della proposta. La cittadinanza moderna fondata esclusivamente sui diritti ha dimostrato i propri limiti. I giovani non devono associarsi a questo modo di fare politica, chiedendo spazi di visibilità, incoraggiamenti e “quote verdi”. Come in ogni campo della vita primo operatore deve essere chi ritiene necessario realizzare qualcosa di buono per se stesso e per il futuro della propria Comunità, impegnandosi a costruire. L’attesa di eventi esterni non giova ai risultati, gli spazi si conquistano, perché quelli concessi da altri spesso si pagano con disillusioni e modesti risultati.
Alexis de Tocqueville che visse negli USA fra 1831 e il 1832, per far capire come le cristallizzate strutture amministrative del vecchio continente avrebbero dovuto essere modificate scriveva: “In America non solo esistono le istituzioni comunali ma esiste anche uno spirito comunale che le sostiene e vivifica. Il cittadino della Nuova Inghilterra è attaccato al suo comune non tanto perché vi è nato quanto perché vede nel comune una corporazione libera e forte di cui egli fa parte e che val la pena di dirigere. Il governo federale conferisce potenza e gloria a quelli che lo dirigono, ma gli uomini che possono influire sui suoi destini sono in piccolissimo numero. E’ nel comune , nel centro delle relazioni ordinarie della vita , che vengono a concentrarsi il desiderio di stima, il bisogno di reali interessi, il gusto del potere e della fama, quelle passioni che turbano tanto spesso la società , cambiano carattere quando possono esercitarsi così vicino al focolare domestico , quasi in seno alla famiglia”.
Questo è lo spirito che dovrebbe animare i giovani oggi, se educati ad assumersi le responsabilità. La politica, anche a livello locale, è carente di progettualità perchè da anni si è ricercata la capacità di improvvisare, piuttosto che le competenze. Il breve periodo è sembrato lo spazio da colmare.
L’Amministratore locale, vincitore di una elezione, spesso è sembrato appagato dalla vittoria e non invece vincolato, dal voto popolare, ad implementare i progetti di programmazione e sviluppo già avviati. Come ripartire allora? Formazione politica, partecipazione soprattutto al volontariato sociale e di solidarietà abbinata, non in alternativa, all’interessamento diretto alle vicende del proprio Comune. Gli spazi nel tempo si presenteranno e, come sarebbe auspicabile, molte saranno le persone pronte a riempirli, con competenza e passione civica.
Concludo riportando la frase finale dell’articolo di Giorgia Benedetti che fornisce una buona indicazione per chi sente il desiderio di impegnarsi: “qualsiasi gioco sembrerebbe difficile ad uno spettatore seduto sui gradoni, ma se scendesse in campo rimarrebbe stupito dalla naturalezza dell’esecuzione e soprattutto ne avrebbe enormi soddisfazioni”.