Giovanni Siliotto di Sona volontario in Albania con ragazzi disabili: “Ho ricevuto più di quanto ho dato”

Ho sicuramente ricevuto più di quanto ho dato!”. Esordisce con questa forte affermazione il racconto di Giovanni Siliotto, 21enne di Sona (il primo a sinistra nella foto sopra) che, per 15 giorni, si è recato a fare volontariato in Albania, in una struttura situata nella località balneare di Velipoja, in provincia di Scutari, che ospita persone disabili per i soggiorni estivi.

La struttura è stata creata ed è gestita dall’associazione Progetto Speranza di Forlì. Ne avevamo parlato in occasione di un viaggio di solidarietà in Albania di un gruppo di alpini ci cui faceva parte anche il capogruppo di Lugagnano Fausto Mazzi. Tale viaggio era stato preceduto, l’anno prima, da un’altra missione di volontariato mirata alla ristrutturazione di un ponte costruito, sempre dagli alpini, nel 1993. Incontriamo Giovanni assieme a Fausto presso l’abitazione di quest’ultimo.

Giovanni studia scienze biologiche e Bologna. È il figlio di Rodolfo, noto ed apprezzato veterinario sonese che ha il suo studio a Lugagnano. Alla classica domanda sul perché non avesse ripercorso le orme professionali del papà dichiara sorridendo: “Non ci so fare molto con i grossi animali, me la cavo meglio nel micro con il microscopio alla mano!”.

La mia propensione verso l’attività di volontariato ci racconta Giovannitrae le sue origini dal percorso di scoutismo che ho svolto a Lugagnano. Alle terza/quarta superiore si viene orientati a scelte di esperienze di vita affini al concetto di servizio all’altro. Al momento non faccio parte del CO.CA. Comunità Capi, ma ho deciso di portare avanti, in prima persona, i valori e la testimonianza di questo insegnamento. In estate, durante la pausa dagli studi, cerco sempre qualche bella esperienza da vivere. Questa in Albania ha rappresentato proprio la ricerca di una esperienza che, in piccolo, fosse gratificante per me ma maggiormente significativa per altre persone a cui potessi donare il mio servizio”.

“Oltre a questo – aggiunge con i suoi occhi un po’ sognatori come lo sono quelli dei giovani curiosi – il mio sogno è girare il mondo e l’Albania era parte di questo mondo che voglio visitare”. Tra le possibili mete del suo viaggiare di quest’anno c’era anche la Giornata Mondiale delle Gioventù che si è tenuta a Lisbona, ma la scelta è caduta poi su Velipojia e i suoi ragazzi albanesi.

Spiega di averne sentito parlare per la prima volta da Andrea Soave, presidente dell’associazione Il Dono di Lugagnano, e prosegue: “Con Il Dono, assieme ad Andrea Chesini, ho vissuto anche l’esperienza di volontariato in Togo. Fausto Mazzi, che è il contatto principale della nostra comunità con l’Albania, mi ha poi fornito tutte le informazioni del caso. La scelta definitiva è scattata poi con l’evento La Grande Sfida del maggio di quest’anno, che ha visto la partecipazione di alcuni ragazzi albanesi, invitati dagli Alpini e supportati da Il Dono e dal Gruppo Primavera. Un incontro molto emozionante!”.

In quella occasione ad accompagnare gli ospiti albanesi furono la psicologa dell’associazione Suela, l’educatrice Leze e il presidente di Progetto Speranza Luigj.  Da lì in avanti, Giovanni inizia una fitta corrispondenza con gli educatori e con Ardit, un ragazzo del gruppo, allo scopo di gettare le basi per il successivo viaggio in Albania.

Sono potuto partire solo alla fine della sessione esami estiva ci diceper cui, quando sono arrivato, sono stato inquadrato nello staff con compiti di assistenza generica. Di solito l’assistenza è uno a uno tra persona disabile ed educatore. Il gruppo che seguivo era costituito da ragazzi con un certo livello di autonomia per cui il mio compito era seguirli nella attività quotidiane che svolgevano. Diciamo che svolgevo il compito di assistente generico”.  

Cosa può rimanere, nel bagaglio di vita personale, in un ragazzo così giovane che vive una esperienza così umanamente significativa? Mi porto a casa una maggiore consapevolezza della disabilità”, ci racconta dopo un attimo di pausa alla ricerca di una sintesi di questo vissuto.

E aggiunge: “È come se questa esperienza mi avesse donato una nuova visione per cui il rapporto con una persona disabile non rappresenta più un problema per me. Questa riflessione è stata ancor più amplificata quando lessi, sfogliando le notizie dall’Italia, della morte di Michela Murgia. Un articolo che la citava riportava una sua frase che è risultata azzeccatissima con il mio sentire di quel momento. Si collegava anche ad un altro libro sulla disabilità della scrittrice Ada d’Adamo, anche lei scomparsa per malattia qualche mese fa”.  

La frase della Murgia a cui fa riferimento Giovanni è la seguente, tratta dal libro della scrittrice appena scomparsa “Noi siamo tempesta”: “Essere malati in un certo senso vuol dire essere speciali, ma solo se c’è qualcuno che quella specialità decide di amarla così com’è. Altrimenti essere speciale è solo un modo gentile per dire che sei solo”.

Il libro di Anna d’Adamo è “Come d’Aria”, dedicato alla figlia disabile e vincitore del premio Strega Ragazzi. Parla della lotta che devono compiere, quotidianamente, le famiglie per vedere garantiti i diritti di un figlio o di un familiare disabile.

Acquisire la consapevolezza che quando incontri una persona disabile hai davanti un essere speciale – prosegue Giovanni – ti aiuta a percepire la disabilità nella sua normalità. Se capiamo che con lei non possiamo fare tutto e non possiamo parlare di tutto, e l’accettiamo e le vogliamo bene per quello che è, significa non fare di questa sua specialità un fattore di isolamento. Questa percezione mi è arrivata in modo netto. Ho passato del tempo con ognuno dei ragazzi presenti. Le loro limitazioni non mi hanno impedito di scambiare empatia con loro. Cose semplici tipo dammi il cinque, il giocare assieme, lo scambiarsi un abbraccio. Ho accettato lo scambio con loro vivendo anche le mie difficoltà per una esperienza umana che mi era sconosciuta. Non sono stato un ‘servo passivo (passatemi il termine) al loro servizio, ho dato me stesso, ho dato il mio amore e ne ho ricevuto tanto”. 

L’impegno che si propone Giovanni per l’anno prossimo è ripetere l’esperienza in Albania e portare con sé anche qualche amico. “Voglio diffondere questa esperienza di missione che mi ha incredibilmente sorpreso. Ero partito molto stanco perchè il periodo di studio pre viaggio era stato molto intenso. In due settimane sono rinato”, conclude.

Nel salutarci non mi sfugge uno spontaneo abbraccio che Giovanni riserva a Fausto. È un gesto di affetto di un giovane verso colui, che potrebbe essere il nonno, che l’ha aiutato a vivere una esperienza di vita che è diventata parte del suo bagaglio di uomo.

Il compito della rete del volontariato è creare, sempre più, le condizioni affinché i giovani vengano stimolati ed incuriositi a vivere esperienze umane come quella che ha portato Giovanni in Albania.

Il vissuto sul campo, il toccare con mano l’effetto delle proprie azioni vivendone i benefici, gli scambi sociali e culturali con altre nazioni, la non paura a vivere le differenze, l’affrontare le difficolta attorno a sé e con la necessità di modellare e modificare il proprio modo di vedere e sentire, fanno crescere. E quando questi ragazzi tornano, sono più ricchi dentro.

E con l’esempio personale diventano positivamente contagiosi.

Sono nato a Bussolengo l'8 ottobre 1966. Risiedo a Lugagnano sin dalla nascita, ho un figlio. Sono libero professionista nel settore della consulenza informatica. Il volontariato è la mia passione. Faccio parte da 30 anni nell'associazione Servizio Operativo Sanitario, di cui sono stato presidente e vicepresidente e attualmente responsabile delle pubbliche relazioni. Per 8 anni sono stato consigliere della Pro Loco di Sona. Ritengo che la solidarietà, insita nell’opera del volontario, sia un valore che vale la pena vivere ed agire. Si riceve più di quello che si dà. Sostengo la cooperazione tra le organizzazioni di volontariato di un territorio come strumento per amplificare il valore dei servizi, erogati da ognuna di esse, al cittadino.