Femminicidio di Giulia: Oltre quel minuto di silenzio serve smettere di pensare che esistano mostri e che le donne se la siano cercata

Elena, la sorella maggiore di Giulia Cecchettin, ventiduenne barbaramente uccisa la settimana scorsa dall’ex fidanzato, in una lettera pubblicata su un quotidiano nazionale si esprime con grande fermezza a proposito di quanto accaduto: “Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto”.

Una frase del genere può lasciare perplessi se non ne si conosce la fonte, che è una poesia scritta da Cristina Torres Càceres, attivista peruviana. Elena ha ripreso questi versi per sottolineare il fatto che non sono sufficienti i minuti di silenzio, le panchine rosse, i fiocchetti sulla giacca, le fiaccolate. Il senso di quel “bruciare tutto” sta in una rivoluzione urgente, una ribellione prima di tutto culturale, un cambiamento forte e voluto dalla società intera, in cui tutti si devono sentire coinvolti ed attivi.

Oggi 21 novembre alle ore 11 in ogni scuola d’Italia, su sollecitazione del Ministero dell’Istruzione, si è osservato un minuto di silenzio per Giulia e per tutte le donne vittime di violenze. Si tratta sicuramente di un gesto sensibile, ma ricordarci per soli sessanta secondi della vittima numero 105 del 2023 in Italia non è abbastanza, non lo è più. Francamente avremmo semmai bisogno di urlare tutto il nostro sdegno, la nostra stanchezza, la nostra dignità continuamente ferita.

Quando Elena Cecchettin dice che: “Turetta non è un mostro, lui è un figlio sano della società patriarcale che è pregna della cultura dello stupro”, chiede di non definire “mostro” o “folle” chi ha ucciso sua sorella perché significherebbe considerare il responsabile della morte di Giulia “un’eccezione, una persona esterna alla società, della quale la società non deve prendersi la responsabilità”. Invece la responsabilità ci riguarda tutti.

Molti tendono a risolvere velocemente il problema decidendo che la scuola deve farsi carico dell’educazione affettiva dei ragazzi. Ultimamente ogni volta che qualcosa non funziona nel mondo giovanile, si dirotta la risoluzione delle criticità su attività che dovrebbero essere svolte a scuola. Molto comodo agire così, soprattutto se si tratta di un demandare senza creare le condizioni perché la scuola possa lavorare bene in tal senso, deresponsabilizzando la politica e le famiglie.

Siamo invece responsabili tutti, a partire soprattutto da quanto avviene nelle nostre case, e non basta inserire l’educazione sentimentale nei curricoli scolastici. Per sradicare qualcosa che è profondamente insito nella società non si può pensare che basti inserire un’ora di lezione o approfondimento nelle classi. L’educazione sentimentale o affettiva non si può ridurre a materia scolastica, aggiungendo un’ora o sottraendola ad altre materie, come per esempio alla letteratura, alla filosofia o alla storia, il cui compito fondamentale peraltro è spingere alla riflessione, all’empatia, alla ricerca di senso nel mondo, all’uso consapevole delle parole.

Tra l’altro non è nemmeno vero che sono solo i giovani di oggi che non sanno accettare un rifiuto, che mal interpretano il concetto di consenso, di libertà nei sentimenti. Altrimenti ad uccidere le donne sarebbero solo i maschi più giovani, ma i numeri dicono un’altra cosa. Gli adulti dovrebbero essere esempi, ma troppo spesso non lo sono. Vogliono un dialogo coi ragazzi, ma spesso preferiscono evitare il confronto sincero, anche il conflitto, e lasciarli con il cellulare in mano, dicendo sempre sì e spianando strade per comodità, rinunciando all’autorevolezza, non rendendosi conto che in questo modo non si cresce, non si sogna, non si desidera qualcosa davvero, si impara solo ad ingigantire il proprio ego e a reagire malissimo di fronte a una sconfitta o ad un rifiuto.

Dobbiamo capire che la crescita delle giovani generazioni è responsabilità di ciascuno, non solo delle scuole, e sempre, non solo nelle sei ore che quotidianamente i giovani trascorrono sui banchi. Sembra invece che fare soldi e successo, apparire belli e vincenti sia l’unica cosa che conta, su cui spendere tempo ed energie, quando in realtà ciò che serve costruire davvero è l’equilibrio per vivere insieme ad altri esseri umani imperfetti come noi e che ci possono rifiutare, abbandonare, ma anche amare e dare un senso al nostro esser nati.

Le persone non sono cose da usare e sfruttare a nostro piacimento. La violenza è fatta di istinti, di impulsi che non sono stati contenuti dall’educazione, dai valori morali. Chi dall’alto governa dovrebbe creare le condizioni migliori per una società che metta al centro e dia valore alla cultura del rispetto, non solo punire. Servono leggi più severe e tutele maggiori per chi denuncia, ma il problema non si risolve solo così.

In questo momento in cui il dolore ha spezzato il cuore di tanti e in cui siamo attoniti di fronte alla morte di una giovane donna di ventidue anni, dobbiamo guardare con profonda ammirazione e rispetto alla compostezza e dignità del padre di Giulia ed ascoltare la sorella che non chiede vendetta, ma invoca una rivoluzione culturale.

E’ inimmaginabile il dolore che la famiglia della vittima può provare in circostanze simili e così insensate, ma loro due ci insegnano che dobbiamo ripartire da quanto di buono c’è e darci da fare perché non sia un’eccezione. Esistono tanti uomini buoni, affidabili e amorevoli come padri, mariti, compagni, fidanzati e dobbiamo avere il coraggio di fare risaltare i modelli positivi per dare speranza ai ragazzi. Dobbiamo ripartire da qui e offrire noi adulti l’esempio, se vogliamo che le cose cambino, smettendola di minimizzare, di aggredire verbalmente, di scaricare su altri le nostre responsabilità, di voltarci dall’altra parte, di pensare che esistano mostri e donne che se la sono cercata.

“Se domani sono io, mamma, se domani non torno, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”.

Nata a Verona nel 1977, si è diplomata al liceo classico e ha conseguito la laurea in Lettere presso l'Università di Verona. Sposata, con due figli, insegna Lettere presso il Liceo Medi di Villafranca. Lettrice appassionata, coordina il Gruppo Lettura della Biblioteca di Sona.