Un normale giovedì di gennaio, un qualsiasi giovedì di gennaio. Attorno alle 18 sono a Lugagnano in centro paese per un paio di commissioni. Parcheggio nella piazza davanti alla chiesa e mi dirigo a piedi in direzione della banca Unicredit, oltre l’anagrafe comunale.
Immancabile, quasi sbatto contro un’autovettura placidamente parcheggiata sulla pista ciclabile, ad impedire proprio in quel momento il passaggio di due ragazzine in bicicletta.
Nel mentre arriva il proprietario, un nostro concittadino che ha scambiato la pista ciclabile per il suo garage di casa, con la tranquillità di chi ha la forza e la coscienza dei giusti, e fa per montare in macchina.
Gli faccio sommessamente presente che quello non è sicuramente il posto dove parcheggiare e che con il suo comportamento incivile mette a repentaglio la sicurezza di quelle due ragazzine e di tanti altri. Aggiungo che a pochi metri vi sono due aree di parcheggio disponibili, e che anche fossero piene certamente non è comunque quello il luogo dove lasciare una macchina.
Lui mi guarda, sicuramente offeso da tanto osare, e lapidario mi risponde “fatti i cazzi tuoi”, accompagnando le parole con il tradizionale gesto che invita a seguire quanto indicato dalle parole.
Caro amico, proprio lì sta il problema. Che tutti, per troppo tempo, ci siamo fatti solo ed unicamente i “cazzi nostri”. Ma tu, come tantissimi altri, di comprenderlo non sei proprio in grado, con la tua bella auto parcheggiata sulle ruote e sui piedi dei nostri ragazzini. E con la testa inutilmente occupata solo da te stesso, dalla tua incivile comodità, dal tuo egoismo miope, dalla tua incapacità di guardare oltre le tue scarpe.
Occupata solo dai “cazzi tuoi”, come adoriamo dire.