Abito in via Manzoni a Lugagnano e più volte ho ricevuto corrispondenza di un concittadino che abita al mio stesso numero civico in via Minzoni, strada che s’interseca con quella in cui abito. Spesso succede anche viceversa.
Dopo aver più volte segnalato il ripetuto errore all’ufficio postale locale, senza risultato, abbiamo concordato, utenti Manzoni/Minzoni, di scambiarci personalmente la corrispondenza quando si verificherà ancora l’errore.
Questa vicenda mi ha consentito, però, di interessarmi al vissuto del don Giovanni Minzoni, valoroso oppositore del regime fascista, che Wikipedia così descrive nel profilo: “Medaglia d’argento al valore militare durante il periodo da cappellano nel corso della prima guerra mondiale, e vicino alle posizioni cristiano-sociali del partito popolare, fu da sempre oppositore del fascismo, e non mancò di mostrare la sua contrarietà e opposizione al nuovo regime che si venne instaurando in Italia nel 1922. Nell’agosto del 1923 fu aggredito da due squadristi fascisti e, a seguito delle lesioni riportate, morì poche ore più tardi”.
Da qualche giorno, la stampa nazionale più attenta ai percorsi storici ci sta ricordando che da quella tragica vicenda sono passati esattamente 100 anni.
Nel libro “Fregole de Storia. Appunti e spunti su Lugagnano e dintorni”, pubblicato nel 1997 da Massimo Gasparato, con la collaborazione di Gianluigi Mazzi, si descrive un’analoga vicenda, per fortuna senza le medesime funeste conseguenze, occorsa ad un sacerdote di Lugagnano, don Amadio Mazzi, che nel periodo era parroco ad Azzago, e che nella prima decade del secolo aveva regalato il terreno per la costruzione della prima scuola elementare della frazione di Sona.
Il parroco don Mazzi, una domenica nello stesso anno e mese in cui fu aggredito don Minzoni, in occasione di un comizio avviato nella piazza di Azzago da parte di “Camicie nere” aveva tentato di convincere i parrocchiani presenti alle funzioni religiose di non rispondere alle provocazioni, e venne per questo ritenuto ostile al nascente regime.
Nonostante l’intervento del sacerdote ci furono comunque tafferugli e violenze. La notte successiva un camion si fermò davanti alla canonica e gli occupanti intimarono a don Amodio l’apertura della porta, con modi assai bruschi.
Essendosi il parroco rifiutato di farlo, ruppero il vetro di una finestra e versarono benzina all’interno del locale. Il fuoco che seguì ed il fumo intaccarono l’abitazione ed in parte la chiesa parrocchiale limitrofadon Amodio, il sacrista ed un altro ospite della canonica fuggirono dal retro, nascondendosi fino a quando scoppi e rumori non cessarono ed allora, di manzoniano ricordo, si attaccò alle campane chiamando a raccolta i parrocchiani, che spensero l’incendio. La denuncia, presentata dal parroco all’autorità, circa l’assalto notturno venne tacitata ed archiviata velocemente.
Il fatto ebbe un notevole risalto a Lugagnano, e su tutto il territorio, per la sua gravità e per la notorietà della famiglia Mazzi coinvolta nella vicenda.
Il consiglio comunale di Sona, nella prima seduta dopo l’evento, stigmatizzò la vile aggressione al prelato concittadino, con una verbalizzazione molto dura nei confronti del governo che sembrava consentire simili atti eversivi, al punto che la Prefettura di Verona censurò il verbale della seduta nella parte in cui veniva criticato il mancato intervento del governo.