L’A.I.R.E. (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) ha registrato alla fine del 2012 4.340.000 iscritti, con un incremento del 30% di fuoriusciti rispetto al 2011.
Poiché circa la metà di chi si stabilisce all’estero per più di 12 mesi non si registra all’A.I.R.E., a lasciare il nostro Paese è sicuramente un numero più elevato. I nuovi emigrati sono sempre più giovani e la maggior parte di loro possiede una laurea.
Se ne vanno per cercare opportunità di vita migliori soprattutto dal Veneto e dalla Lombardia e i Paesi più gettonati sono Germania,Regno Unito, Svizzera e Spagna.
Andrea Tommasini, 35 anni (nella foto), uno dei tanti giovani italiani trasferitisi all’estero dopo l’università, da anni lavora e vive stabilmente nel vivace centro di Barcellona. Non è solo la città catalana a rientrare nelle esperienze lavorative di Andrea, il quale ha vissuto anche a Buenos Aires, in Argentina. Ma andiamo con ordine.
Qual è stata l’occasione che ti ha portato per la prima volta all’estero?
Durante l’ultima fase del mio percorso universitario presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione a Padova, ho avuto la possibilità di studiare, grazie all’Erasmus, per un anno a Barcellona. Sono partito senza conoscere praticamente la lingua e sono rimasto là per dodici mesi, durante i quali ho conosciuto varie persone, che col tempo sono diventate amiche.
Cosa ti ha portato in Argentina e poi, di nuovo, a Barcellona?
Terminata l’università, ho ottenuto una borsa di studio offerta dal M.A.E. e del C.R.U.I., che mi ha permesso di lavorare presso l’Istituto Italiano di Cultura in Argentina, a Buenos Aires, per tre mesi, che tra una cosa e l’altra sono poi diventati due anni. L’esperienza in Argentina mi ha permesso di conoscere culture ed ambienti molto diversi dal mio, viaggiare tanto (sulle Ande, in Brasile, in Bolivia…) e continuare a parlare lo spagnolo. Nel 2005 ho preferito tuttavia tornare in Europa, per essere più vicino a casa e vivere in una città dove mi ero trovato molto bene, cioè Barcellona.
Hai trovato facilmente lavoro a Barcellona?
Non è stato facile trovare un lavoro in sintonia con il mio percorso di studi. Inizialmente ho dovuto adattarmi per potermi mantenere senza pesare sulla mia famiglia. Ho condiviso un appartamento con altri sette amici e trovato un lavoro presso il call center di una compagnia aerea. Per due anni ho così potuto pagarmi un Master in Gestione Culturale, poi ho iniziato a lavorare all’ufficio stampa di una casa editrice che si occupava di saggistica e, quando questa ha ridotto il personale, ho trovato un impiego in un’altra, che pubblica narrativa; qui lavoro dal 2010 a tempo indeterminato. Ho preso casa a Barcellona e ci vivo stabilmente, tornando dalla mia famiglia, a Lugagnano, in genere due-tre volte all’anno in occasione delle Feste.
Che cosa apprezzi di più della città catalana?
Di Barcellona apprezzo la vivacità culturale, l’apertura mentale, la buona qualità della vita. Mi muovo facilmente con i mezzi pubblici o con la bici per andare alla casa editrice. Mi piace molto anche Madrid, dove mi reco spesso per lavoro, soprattutto in occasione della Fiera del Libro. Negli ultimi anni però la situazione è cambiata, a causa della crisi economica globale e per il cambio di governo. Si registra un alto tasso di disoccupazione giovanile e nel campo editoriale, di cui mi occupo, la situazione non è rosea, come del resto si nota anche in Italia. Gli spagnoli leggono più degli italiani ma la situazione è critica ovunque. Non credo tuttavia che, se perdessi l’impiego, rientrerei a Verona. Si dice che se sei all’estero da più di cinque anni o torni definitivamente o non torni più perché ti sei integrato. Risiedo in Spagna da otto anni e credo di essermi inserito nel tessuto sociale, nonostante la nostalgia di casa mi colpisca, ogni tanto.
Cosa ci puoi dire del rapporto lettori-libri in Spagna?
Effettivamente in Spagna si legge più che in Italia, basti pensare che il volume delle vendite dei due mercati è uguale, ma in Spagna vivono circa 20.000.000 di abitanti in meno rispetto all’Italia. Tuttavia i dati sono ben lungi dall’essere buoni. Gli autori italiani che si leggono di più sono Federico Moccia (che di fatto vende più in Spagna che in Italia), classici come Umberto Eco o Andrea Camilleri (che proprio a febbraio riceverà un premio a Barcellona), o giovani come Paolo Giordano (autore de “La solitudine dei numeri primi”). Claudio Magris è un personaggio che suscita grande interesse. Personalmente gli unici italiani con cui ho lavorato sono Giancarlo De Cataldo, un ottimo professionista di cui pubblicheremo un libro questo mese, e Giampaolo Morelli (sí, l’ispettore Coliandro ha anche scritto un libro).
Che cosa ti manca di più di Verona e dell’Italia?
Sicuramente grazie ai voli low cost e ad internet le distanze un po’ si accorciano, tuttavia sento la nostalgia di casa, mi mancano la mia famiglia e i miei amici storici. Ci sono certi giorni in cui, quando mi alzo, vorrei poter parlare la mia lingua natale. Anche se mi riesce ormai molto facile esprimermi in spagnolo e sto imparando anche il catalano, l’italiano resta la lingua in cui penso, quella che mi riesce immediata e spontanea. E poi, da buon veneto, mi manca il baccalà con la polenta, che gusto davvero solo quando sono a Lugagnano!
Che consiglio ti senti di dare ai giovani che stanno progettando il loro futuro lavorativo?
Sicuramente credo sia importante la flessibilità, il sapersi adattare alle varie situazioni, cogliere al volo le opportunità che si presentano sulla propria strada facendone occasioni di arricchimento. Un’esperienza all’estero è secondo me ormai fondamentale e sarebbe importante, una volta arrivati in un Paese straniero, non frequentare solo italiani, ma cercare di stringere nuovi legami, allargare gli orizzonti, per apprendere mentalità diverse,ambientarsi più facilmente e migliorare la propria conoscenza linguistica.