In queste settimane assistiamo ad un vivace ed interessato dibattito su come la mano pubblica sta intervenendo, o come dovrebbe farlo, a sostegno del tessuto produttivo e delle famiglie in difficoltà a causa della chiusura delle attività economiche per la pandemia.
Sono state avviate iniziative da parte del Governo nazionale ed alcune dal Comune, con denari messi a disposizione dallo Stato o utilizzando fondi propri. Molte sono anche le iniziative caritatevoli in corso sostenute dal volontariato civico e dalle Parrocchie. E’ un buon esempio di attività solidali e sinergiche in un momento difficile per la nostra Comunità.
Non si tratta in effetti di fatti senza precedenti in quanto, se ripercorriamo la storia di Sona, troviamo altri momenti storici nei quali il tessuto sociale nel Comune di Sona ebbe necessità di interventi di sostegno pubblici e privati.
Ve ne segnaliamo alcuni nei quali fu soprattutto il volontariato caritatevole a supplire alle difficoltà dell’Amministrazione comunale di fornire un adeguato supporto economico.
Al termine del XIX secolo, dopo il passaggio del Veneto al Regno d’Italia, nelle nostre aree geografiche aumentò sensibilmente la povertà per molteplici motivi. Innanzitutto, si ridusse l’offerta di lavoro per l’interruzione della costruzione di opere militari da parte del Regno Lombardo-Veneto e dei flussi commerciali di esportazione verso l’Austria di prodotti agricoli ed artigianali. Inoltre, con alcune ordinanze, fatte applicare dalle guardie campestri assunte in gran numero, furono aboliti di fatto alcuni usi civici che erano tollerati fino dal Medioevo come il pascolo, il legnatico e la pesca nelle aree demaniali o private, non coltivate o inutilizzate.
Non ultimo per gravità, le nostre aree geografiche furono colpite da gravi malattie come il vaiolo, il tifo petecchiale e la pellagra e l’agricoltura subì gravi danni per le malattie che colpirono le viti ed il baco da seta.
Quando Sona passò al Regno d’Italia il 70% dei nostri concittadini viveva in un’agricoltura povera, in buona parte a colture estensive e senza irrigazione. Nel Bilancio comunale del 1868 la spesa di assistenza alle famiglie povere rappresentava un quarto della spesa complessiva ed in quello del 1890 quasi un terzo.
Il Comune forniva i medicinali ed i libri scolastici a chi era iscritto nell’elenco dei poveri, alimenti come farina, pane e latte e talvolta anche indumenti e coperte. Un bando di Concorso per la Condotta Medica comunale del dicembre del 1888 dichiarava che l’onorario era previsto anche per la cura gratuita dei poveri, “consistenti in una metà circa della popolazione”.
Gli interventi a favore degli indigenti da parte dell’Amministrazione comunale, con bilanci che potevano contare solamente su entrate raccolte sul territorio, erano modesti e furono numerose le iniziative delle Parrocchie e delle Associazioni di volontariato politico-sociale a mettere in moto iniziative sussidiarie.
Nacquero così nel periodo le Casse Rurali Cattoliche, le Società Operaie di Mutuo soccorso e le Congregazioni di Carità.
Il 23 maggio 1896 fu costituita la Società cooperativa in nome collettivo Cassa Rurale di Prestiti di Sona S. Salvatore con 15 soci ed il giorno successivo la Cassa Rurale di Prestiti di S. Giustina di Palazzolo, Società Cooperativa in nome Collettivo, anch’essa con 15 soci fondatori. Quota sociale Lire 2 (euro 10 a v.a.).
Gli statuti allegati ai due atti costitutivi erano molto simili: “le Società hanno per scopo il miglioramento religioso, morale ed economico dei soci, fornendo loro il denaro a ciò necessario, escluso qualunque fine politico. Possono far parte delle società persone giuridicamente capaci, che offrano la garanzia dell’onestà e moralità individuale, che non siano aggregate a società notoriamente contrarie alla Chiesa Cattolica ed al Governo costituito, che siano iscritte nei registri della popolazione delle rispettive Parrocchie o vi tengano frequente dimora, o vi abbiano relazione d’affari, che sappiano scrivere il loro nome e cognome e che non facciano parte di altre società a responsabilità illimitata. I soci hanno diritto di ottenere prestiti, di collocare denaro nella Cassa Sociale, di vigilare e sindacare le operazioni della Società, di prendere parte e votare nelle assemblee generali, e sono obbligati di rispondere con tutti i loro averi fra di loro in parti uguali e solidariamente rispetto ai terzi delle obbligazioni passive della società”.
Furono costituite anche alcune Società Operaie di Mutuo Soccorso le cui finalità erano di “prestare assistenza ai poveri, di procurarne l’educazione, l’istruzione, l’avviamento a qualche professione, arte o mestiere, od in qualsiasi altro modo il miglioramento morale ed economico”.
A Sona capoluogo fu costituita nel 1883 la Società di Mutuo Soccorso fra gli Operai, per assisterli in caso di malattia o infortunio. Chi si iscriveva doveva pagare una tassa di entrata da 1 a 3 Lire ed un contributo mensile di 50 centesimi. In caso di malattia riceva, a secondo delle disponibilità di cassa, un sussidio di almeno 50 centesimi al giorno.
Nacquero anche le Società di Mutuo Soccorso la Fratellanza, nel 1893 con 50 soci, e la Società di Mutuo Soccorso Indissolubile, nel 1894 con 86 soci.
A San Giorgio in Salici nel 1886 furono costituite la Società di Mutuo Soccorso l’Unione, di area socialista, con 60 soci e nel 1888 la Società Operaia di Mutuo Soccorso la Fratellanza con 100. Nel 1896 fu fondata la Società Cattolica “La Pace” che provvedeva a distribuire sussidi per malattia, cronicismi ed impotenza al lavoro con 102 soci, che contribuivano con lire 0,75 mensili.
A Palazzolo fu costituita nel 1884 la Società Cattolica di Carità Reciproca fra operai e agricoltori, con lo scopo di aiutare i soci nella necessità, in particolare in caso di malattia. Nel 1895 registrò 166 soci effettivi e 11 soci onorari, con un patrimonio di Lire 3.000 (Euro 14.000 ai nostri giorni).
A Lugagnano iniziò ad operare nel 1897 la Società Cattolica di Mutuo Soccorso con 90 soci. Tassa di ammissione Lire 2 e contributo settimanale di Lire 0,25.
Con l’inizio del nuovo secolo cessarono progressivamente, nell’arco di pochi anni, le attività delle Casse rurali e delle Società di Mutuo soccorso ed assunsero maggiore importanza le Congregazione di Carità che per statuto operavano “per distribuire sussidi ai poveri e procurare soccorsi ai bisognosi”, ed i Lasciti caritatevoli che in una situazione economica di diffusa indigenza, sulla quale i modesti bilanci comunale non potevano che influire marginalmente, riuscirono a fornire assistenza economica a molte famiglie ed alla stessa attività amministrativa.
Tra i Lasciti va segnalato il Lascito Romani. Annibale Romani era nato nel Trentino austriaco in una famiglia dedita dal 1700 al commercio “di commestibili” e, dalla metà dell’800, anche all’attività di filanda. Alla morte del padre ottenne in eredità le proprietà “all’Estero” e si trasferì a Sona. Filantropo e amministratore pubblico, fondò l’asilo di Sona capoluogo e, alla sua morte nel 1903, lasciò le sue proprietà al Comune per il suo mantenimento. Il lascito-donazione comprendeva un fabbricato, la propria abitazione e la Rugola, un fondo agricolo di ettari 41.
Altro caso a Sona fu il Lascito Cavazzocca. Il Colonnello Dr. Giuseppe Cavazzocca lasciò all’Asilo di San Giorgio un corposo lascito, accettato dal Comune con delibera il 2 marzo 1915. Ma poiché l’Asilo risultava di proprietà del Parroco dovette essere trasformato in Ente Morale. Il lascito, in attesa della conclusione della procedura burocratica, fu depositato momentaneamente nelle casse comunali, facendo decorrere un interesse del 5%.
Vi fu poi il Lascito Bevilacqua La Masa. Nel 1898 la duchessa Felicita Bevilacqua, non avendo figli, con testamento dispose che le rendite del suo patrimonio fossero destinate alla fondazione di un “asilo di quiete” nel “quale vengano ricoverate persone benemerite dell’umanità per studi od opere speciali, aventi determinati requisiti e che gli avanzi delle suddette rendite siano erogate in sussidi a famiglie povere dimoranti nelle Parrocchie ove sono situati i beni”. Questo legato fu diviso fra tre Parrocchie, Bussolengo, Sn Massimo e Lugagnano, poiché il patrimonio, la Cà Brusà, si trovava in tutte tre e fu utilizzato in buona parte per sussidi caritatevoli. La prima ripartizione, con la rendita dell’anno 1907, fu distribuita nel 1910 e fu pari a L. 1.200 (euro 5.000 a v.a.). Ai poveri di Lugagnano venne assegnata la somma di L. 475,71 così distribuita, secondo le disposizioni testamentarie: L. 140 per doti alle giovani maritate durante l’anno 1909; L. 210 per soccorsi alle vedove nella misura non inferiore di L. 30 ciascuna; L. 25,71 per orfani e L. 100,00 in soccorsi ad ammalati.
Altro lascito fu il Lascito Palazzoli. Eugenia Palazzoli, deceduta a Torino il 25 aprile 1907, ma residente in località Ferrari di San Giorgio in Salici, lasciò con testamento olografo L. 200 (euro 800 a v.a.) per i poveri di San Giorgio in Salici, e L. 200 per l’Asilo infantile.
Vi fu poi il Legato Maggi. Il dr. Pietro Maggi, docente universitario, lasciò con testamento la somma di 3.000 lire austriache a fini umanitari al Parroco di Palazzolo che investì la somma in un mutuo fruttante il 5%. Ricordiamo che recentemente l’Amministrazione comunale ha intestato la Biblioteca comunale a suo nome. Pietro Maggi fu scienziato, poeta e letterato di vaglia e abitò per molti anni a Palazzolo. E’ opportuno segnalare che al cambio del secolo gli asili infantili da ritrovo pre-scolare di semplice custodia, a seguito dell’adozione di nuove intuizioni pedagogiche, si trasformarono in vere scuole e che, a seguito delle donazioni, furono in grado di fornire anche i pasti, con rette molto modeste, svolgendo quindi un servizio di supporto economico molto importanti per le famiglie.
Sul finire del secolo una nuova legislazione mise ordine in materia di assistenza e di beneficenza. I lasciti, le opere pie ed i legati dovettero essere trasformati in istituzioni pubbliche di beneficenza.
Vi fu un secondo momento nel quale la mano pubblica fu chiamata ad intervenire a sostegno dell’economia locale ed in quella occasione il Comune fece lo sforzo più importante per supplire all’inesistenza di sussidi statali ed alle scarse disponibilità fornite dal volontariato caritatevole. Il periodo fu il quinquennio successivo alla fine della Prima Guerra Mondiale.
Molti militari del Comune che rientrarono dalla guerra non trovarono un lavoro, soprattutto perché le campagne “depredate” delle produzioni bovine per fornire l’esercito e coltivate in modo discontinuo per la mancanza di mano d’opera non furono in grado di assorbire, nel breve periodo, le molte manovalanze disponibili.
Lo Stato mise a disposizione dei fondi a sostegno della disoccupazione, ma gli importi furono così modesti che non giunsero mai a Sona ed in molti altri Comuni, ove la base dell’attività economica era l’agricoltura.
Come sempre, se lo Stato non risponde il cittadino si rivolge al Sindaco, l’interlocutore pubblico più vicino ai problemi quotidiani della Comunità. Gli Amministratori locali di Sona, eletti nel 1920, cercarono di intervenire in ogni modo, richiedendo ai titolari di fondi agricoli o di attività artigiane o industriali di collaborare, offrendo posti di lavoro o denari per sostenere l’attività della Congregazione di Carità comunale.
I modesti risultati ottenuti esasperarono la situazione e si creò nel Comune una situazione di turbolenza continua, anche dovuta al fatto che stava cambiando il clima politico nazionale e locale. Vi furono manifestazioni di piazza, anche talvolta con l’intervento della forza pubblica, chiamata per sedare i tumulti più accesi. I Consigli comunali richiamavano in piazza cittadini esasperati da una situazione economica veramente insostenibile e talvolta dovettero essere convocati fuori sede.
L’Amministrazione comunale, sulla la spinta di queste sollecitazioni, intraprese una iniziativa lodevole, ma assai rischiosa, perché superiore ai mezzi di un Comune di modeste dimensioni quale era Sona. Per fornire opportunità di lavoro deliberò di costruire, in concorso con il comune di Bussolengo, una strada che partendo dal cimitero di Palazzolo giungesse sulla Bussolengo-Pastrengo, seguendo il tracciato di una strada vicinale che non era carrabile.
La relativa Delibera consigliare segnalava che “sentito che è probabile che vi siano ancora 600 milioni di lire stanziati dal Governo per la disoccupazione” e sosteneva “che la disoccupazione eccita gli animi e favorisce l’odio di classe”. Proseguiva poi dichiarando che la scelta era necessaria “ritenuto essere dovere del Comune andare incontro ai bisogni dei lavoratori”, ed assunse una spesa di L.60.000 (euro 60.000 a v.a.) da coprire con mutui.
Per realizzare l’opera furono impegnati una sessantina di operai, per 10 ore al giorno, con una paga di L.1,60-1,80 l’ora, tre carrettieri che ricevettero un compenso orario di L.2,50-3,60 e cinque muratori con una paga oraria di L.2,30. L’iniziativa non risolse però il grave problema economico e la turbolenta sociale continuò. L’Amministrazione comunale nel 1923, a solo tre anni dall’inizio del mandato, dette le dimissioni. Venne prima nominato un Commissario Prefettizio, quindi il Podestà.
Arrivando ai giorni nostri, della crisi sanitaria che stiamo vivendo, leggendo, giorno dopo giorno, i numeri forniti da fonti economiche informate appare evidente che la situazione economica e sociale nazionale è destinata a peggiorare per un non breve periodo e saranno quindi messi a dura prova i rapporti civici e interpersonali.
Leggendo quanto sopra descritto del passato sonese è possibile cogliere che l’attività amministrativa ed il volontariato trovarono modalità e momenti sinergici per ridurre i disagi dovuti ad un’indigenza diffusa, in forme ben più gravi di quelle che probabilmente si creeranno nelle prossime settimane.
E’ importante che anche in questo frangente nella nostra Comunità tutte le sue componenti sappiano privilegiare i momenti di coesione sociale, come fecero nel passato. E’ una scommessa che non possiamo perdere.
Nella foto, 1938, seconda elementare a San Giorgio in Salici.